domenica 19 ottobre 2014

50 ANNI FA NASCEVA L'AUTOSTRADA DEL SOLE. L'ITALIA MALATA DI OGGI NON E' PIU' IN GRADO DI OPERE COSI'



In occasione dei 50 anni dalla realizzazione dell'Autostrada del Sole, la RAI ha dedicato una fiction all'evento che andrà in onda lunedì e martedì. Allo stesso argomento dedica la sua riflessione Giovanni Belardelli, sul Corriere della Sera, osservando come debba veramente la nostra nazione deve essere stata colta da una qualche malattia se nel dopoguerra, e per 20 anni, siamo stati capaci di ricostruire un paese distrutto, cambiare e diventare un paese industrializzato ed evoluto, per poi arrestarci (anni 70'), iniziare a consumare le risorse e le rendite di posizione accumulate (80 e 90), per poi iniziare un declino prima lento e ora più veloce (l'attuale secolo). 
Per realizzare l'autostrada del sole ci vollero 8 anni. Nessuno di noi vedrà la fine della Salerno Reggio Calabria, e noi romani, dopo i lustri necessari per la metro A, vediamo il ripetersi pari pari della stessa Odissea   con quella C. E stiamo parlando di opere che servono una sola città, per quanto grande come la capitale...figuriamoci quando si tratta di imprese più estese.
Diciamola tutta : oggi "la strada dritta" non si sarebbe realizzata.
Burocrazia, infernale giungla normativa, scandali e giudici lo avrebbero impedito, come accade ora.


Il miracolo dell’autosole 
lezione per il paese bloccato



Può accadere che, come avviene per gli individui, anche le nazioni si ammalino? E che dunque, come tutti gli ammalati, non riescano più a fare ciò che in precedenza sembravano in grado di realizzare con facilità e naturalezza? La fiction Rai dedicata alla costruzione dell’Autostrada del Sole, in onda lunedì e martedì sera ( La strada dritta ), sembra destinata a sollevare precisamente un interrogativo del genere.
In soli otto anni di lavori, tra il 1956 e il 1964, venne realizzato un tragitto di oltre 700 chilometri, da Milano a Napoli, con soluzioni tecnicamente all’avanguardia per l’epoca. 

Cinquant’anni dopo lo stesso Paese sembra essere diventato incapace di portare a termine qualunque grande opera in tempi decenti e senza che tutto l’incartamento dei lavori finisca nelle aule dei tribunali: dapprima per i ricorsi al Tar, poi per i quasi altrettanto inevitabili casi di corruzione.
Per rimanere nel campo dei trasporti, appare davvero impietoso confrontare con la realizzazione dell’Autosole la vicenda della metro C di Roma: allungamento dei tempi, lievitazione delle varianti e dei costi, incertezze sul tragitto finale dell’opera (non si sa se riuscirà ad arrivare a San Pietro o dovrà interrompersi a Piazza Venezia); infine, indagini della magistratura e della Corte dei conti. In questo e in tanti altri casi, i ritardi nei lavori, l’aumento dei costi, gli episodi di corruzione hanno necessariamente dei responsabili con un nome e un cognome, che spetta alla magistratura accertare. Ma dietro i singoli episodi, sembra difficile che non ritorni un quesito come quello iniziale: cosa ci è successo, di cosa si sono ammalati l’Italia e gli italiani per avere dismesso, o almeno così sembra, quella voglia e capacità di fare caratteristica del Paese uscito dalla guerra, protagonista prima della ricostruzione e poi del cosiddetto «miracolo economico»? Proprio il confronto tra l’Italia di oggi e quella di mezzo secolo fa rende infatti improponibile ogni spiegazione che tiri in ballo un presunto carattere nazionale e sollecita piuttosto a cercare, come per qualunque malattia, le condizioni che ne abbiano facilitato la comparsa. Tra esse, ai primi posti, va probabilmente collocato quel «dedalo infernale di norme» del quale ha parlato su queste colonne Sergio Rizzo in relazione alla mancata messa in sicurezza del Bisagno: una giungla di regole che, pensata per rendere più stringenti i controlli, ha finito spesso col favorire quanti guadagnano dai ritardi, dalle varianti, dai ricorsi.
L’Italia soffre insomma di una sorta di ipergiuridicizzazione, fondata sul «ruolo eccessivamente preponderante della formazione giuridica» nell’ambito della pubblica amministrazione (così M. Bianco e G. Napolitano in un recente volume della Banca d’Italia su L’Italia e l’economia mondiale ), ma che attraverso l’azione pubblica si è estesa a tutta la società.  

Il Paese soffre di quella prevalenza della cultura della forma sulla cultura dell’efficacia (e dunque dei risultati) che tutti sperimentiamo quotidianamente attraverso i rapporti con le pubbliche istituzioni.
Non diversamente dalle fiction dedicate ad Adriano Olivetti e al maestro Manzi, alle sorelle Fontana e al fondatore dell’Ignis Giovanni Borghi, quella sulla realizzazione dell’Autosole ci sollecita dunque a riflettere su come eravamo qualche decennio fa, su ciò che allora sapevamo fare. Sta a tutti noi evitare che questo si risolva in una mera operazione nostalgia, dunque nello sguardo compiaciuto e malinconico insieme verso un passato finito per sempre, ma possa servire a interrogarci sulla condizione di crisi del Paese e delle sue capacità di fare, e su ciò che possiamo mettere in campo per uscirne.

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