Bè, siamo tutti renzo centrici, nel bene e nel male, dopo essere stati, per 20 anni, berlusca dipendenti (anche lì, poca differenza tra i favorevoli e i contrari : restava la dipendenza emotiva ed argomentativa).
Rivendico di non essere stato mai un aficianado del Cavaliere. Di natura un po' scettica, questa rivoluzione liberale (pur essendo parole magiche per me), mi suonava strana, alleata Forza Italia alla Lega secessionista e alla statalista Alleanza Nazionale. E infatti...Poi, nel 2001, l'arrivo ai vertici di gente come Cicchitto e Bondi, tanto per citare due dei corifei più gettonati, mi aveva tolto ogni illusione. Sono stato però un fiero avversario degli anti berlusconiani, trovando inaccettabile la falsificazione storica della loro vulgata : i mali dell' Italia tutti da addebitare al Cavaliere, il Male Assoluto, la causa del declino...
Ecco, sono passati tre anni di governi "altri", il declino non si arresta, e i mali (debito spropositato, corporazioni di tutti i tipi, conservatorismo sindacale, spese pubblica inarrestabile) che non si riescono a combattere, non sono certo nati nel 1994. Questo senza contare quello che ripeto sempre agli smemorati di Collegno : è vero che dal 1994 fino al 2011 (potremmo allungare, per fare cifra tonda e suggestiva, fino alle elezioni 2013, con il quasi pareggio contro Bersani, favorito dall'avvento del Grillismo) il Berlusconismo è stato l'elemento più caratterizzante della storia italica, ma è altrettanto vero che in quei 3-4 lustri, la sinistra (centro), ha governato tanto quanto, con Dini sostenuto da D'Alema e i futuri margheritini, poi dal 1996 al 2001 con prima Prodi e poi D'Alema, e dal 2006 al 2008 ancora con Prodi.
Berlusconi ha governato pochi mesi nel 1994, poi il quinquennio dal 2001 al 2006 e circa tre anni dal 2008 al 2011. Se fate le somme, vedete che ho ragione io. Il fatto poi che "siccome c'era Berlusconi" le riforme non si potevano fare, bé vediamo oggi quanto fosse pretestuoso (e demenziale) : Renzi le riforme, se riuscirà a farle, lo dovrà anche se non soprattutto al "soccorso azzurro".
Ciò ricordato, l'articolo di Belardelli sul Corsera spezza, per un secondo, il renzicentrismo, e mette il dito sulla piaga del desolante panorama del centro destra, con un Berlusconi ormai quasi 80enne (ha compiuto i 78 a settembre scorso) , e tanta confusione tra i pretendenti alla successione. Adesso si sente anche parlare di Della Valle, che tra l'altro non si è mai collocato in quell'area, volendo apparire un Liberal (linton e Blair si staranno facendo pazze risate...), e alla cui riuscita, del caso, non credo. No, un leader nuovo non c'è, e del resto, come nota opportunamente sempre Belardelli, regnando Renzi nel PD, è finito anche il coagulante di sempre : l'anti sinistra.
Alla fine, cose del programma di centro destra (alcune anche realizzate, ma poi abrogate dalla sinistra) come il superamento del bicameralismo perfetto, dell'articolo 18, della concertazione con i sindacati come must (anche se domani il Premier li riceverà...), forse verranno realizzate dall'uomo della provincia fiorentina.
E allora, visto che in Italia per fare le cose di "destra" c'è bisogno di un governo di sinistra, e ora c'è un leader che si appalesa adatto alla bisogna, perché ostacolarlo ?
Non farà rivoluzioni liberali, che non sono nel suo DNA, però qualcosa di sensato sì, pensano in molti.
Tanto, qual è l'alternativa ?
So che molti miei amici hanno pensato e votato così, alle europee.
E , continuando così le cose, potrebbero farlo anche alle politiche.
Dannose pigrizie
del centrodestra
di
Giovanni BelardelliLe polemiche costanti entro Forza Italia e tra questa e l’Ncd sono solo l’aspetto più appariscente e superficiale della grave crisi in cui si trova ormai il centrodestra di matrice berlusconiana: una crisi testimoniata sia dalla crescita dei consensi che i sondaggi attribuiscono alla Lega e a Fratelli d’Italia, sia — e soprattutto — dal fatto che l’intero centrodestra non pare in grado di andare oltre Berlusconi. Il leader di FI resta infatti una «risorsa» irrinunciabile dal punto di vista dei consensi elettorali (benché regolarmente calanti) e al contempo un ostacolo insormontabile per qualunque rinnovamento della leadership.
Ma dietro le polemiche contingenti — che si tratti dello scontro tra Fitto e Berlusconi o dell’attacco di Alfano a chi vorrebbe sottrargli senatori — sta soprattutto l’esaurirsi della ragione principale e sistemica che per vent’anni aveva reso possibile a Berlusconi e al centrodestra di collocarsi al centro della politica italiana. Dopo aver proposto nel ‘94, e poi nella pratica rapidamente archiviato, la «rivoluzione liberale» a base di meno tasse e minor presenza dello Stato nella vita dei cittadini, Berlusconi doveva approdare a un partito e a una coalizione di tipo moderato, in cui confluiva anche una parte del personale politico della Prima Repubblica. Si trattava di un moderatismo mai ben definito, che sul piano culturale e ideale non andava molto oltre il richiamo alle posizioni della Chiesa su temi cosiddetti «eticamente sensibili». Peraltro il carattere intrinsecamente individualistico-acquisitivo del messaggio berlusconiano (nonché lo stesso stile di vita del fondatore di Forza Italia) rendevano mai del tutto credibile quel richiamo.
Ma l’indeterminatezza e la contraddittorietà della fisionomia e dei contenuti politici di un centrodestra sempre oscillante tra appello ai moderati e riproposizione della «rivoluzione liberale» delle origini non hanno per nulla ostacolato i ripetuti successi elettorali che tutti ricordano. Il fatto è che quei successi si fondavano su due fattori che prescindevano dagli effettivi programmi politici delle coalizioni di centrodestra. Il primo aveva a che fare con la figura stessa di Berlusconi, che si era presentato nel ‘94 come «uomo nuovo» per antonomasia, imprenditore di successo estraneo ai limiti della vecchia classe politica, capace proprio per questo di una proposta, del tutto nuova per l’Italia, fondata sul rapporto diretto tra il leader e gli elettori. Come è evidente, l’immagine del ‘94 del dinamico leader «antipolitico» è da tempo diventata improponibile: perché, al di là delle vicende giudiziarie che lo hanno colpito, Berlusconi ha ben vent’anni di attività politica alle spalle e perché, come leader «anticasta», Renzi e Grillo sono più credibili di lui (che oltretutto — anche questo inevitabilmente conta — è vicino agli ottant’anni).
Soprattutto, però, è venuto meno l’altro decisivo fattore che stava dietro i successi del centrodestra: il fatto di rappresentare in primo luogo l’antisinistra. Nonostante le molte e ripetute delusioni, prima fra tutte la mancata riduzione del peso delle imposte, milioni di italiani hanno continuato per anni a votare FI o PdL soprattutto per evitare una vittoria della sinistra. Per vent’anni, insomma, il centrodestra ha pigramente goduto di una rendita di posizione e ha potuto limitarsi a sfruttare il carisma di Berlusconi, senza curarsi di definire una fisionomia e una proposta politica per quando il fondatore di FI fosse uscito di scena.
Con la comparsa di Renzi, leader del principale partito della sinistra che però attacca frontalmente la Cgil e dichiara che gli imprenditori debbono poter licenziare, la rendita di cui il centrodestra berlusconiano ha vissuto per tanti anni è scomparsa e con essa qualunque prospettiva politica che non sia di sostanziale subalternità al Pd, stando dentro oppure fuori dell’esecutivo. E certo non sarà con trouvailles come la prossima presentazione, da parte di FI, di cento giovani sotto i 35 anni che le cose potranno cambiare.
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