Credo che i miei amici lettori più esperti di cose economiche apprezzeranno la lucida, e come sempre infarcita di piacevole leggerezza ironica, analisi che Alessandro Fugnoli fornisce in merito ai nuovi messaggi provenienti dalla FED americana.
Signori, il pronto soccorso veramente chiude, e inizia l'ora di ricamminare di più con le proprie gambe.
Quindi basta QE, i dollari lanciati dall'elicottero di Bernanke, e presto anche i tassi risaliranno per uscire dal sottoscala dove sono stati messi per dare ossigeno all'economia americana, farla ripartire, e con essa l'occupazione, dopo la grande crisi iniziata nel 2007-2008.
Mi viene da pensare che adesso la Merkel e i suoi diranno : ecco, vedete, anche gli americani chiudono i rubinetti....Bè, un po' truffaldina come tesi, visto che per oltre un lustro li hanno tenuti SPALANCATI, laddove l'Europa tedesca si è mostrata assai arcigna e severa, da questo punto di vista.
Gli americani cercano un ritorno alla normalità finanziaria dopo aver visto un'economia reale che dà segni abbastanza costanti di buona salute. In Europa non stiamo decisamente nella stessa situazione.
Il PIL americano sta oltre il 3%, la disoccupazione al 6, in Europa questi livelli, specie il primo, anche la Germania se li sogna (noi e altri stiamo col segno meno, figuriamoci...).
Viceversa, se questo ritorno all'ortodossia avverrà senza scompensi, la ricetta americana, con tutti i suoi QE e congelamento dei tassi, si sarà rivelata quella giusta. E quella euro tedesca di conseguenza sarà stata ed è quella sbagliata.
Buona Lettura
ORFANI O EMANCIPATI?
Musica nuova da una Fed finalmente grintosa
Basta con la Fed lamentosa, iperprotettiva e mammona della
Yellen. Basta con il mantra della ripresa fragile, degli occupati che in realtà
hanno un lavoro finto, dell’inflazione troppo bassa e di un’economia bisognosa
di Quantitative easing semipermanente e di tassi mantenuti a zero per
l’eternità, ogni volta con una scusa diversa. Saremo maliziosi, ma nella svolta
della Fed e nella sua nuova musica, brillante e grintosa senza essere
falchesca, vediamo stagliarsi sullo sfondo Stanley Fischer, il vicegovernatore
che Obama ha voluto al fianco della Yellen (che gli è stata imposta dalla
sinistra del partito democratico). Il settantunenne Fischer, il professore che
ha allevato la metà dei banchieri centrali d’Occidente, lo studioso che non è
solo un accademico e che ha dato eccellente prova di sé da governatore della
Banca d’Israele, è probabilmente l’unico, nel direttorio della Fed, ad avere la
sicurezza di sé necessaria per sganciarsi dalla melassa emergenziale e buonista
degli ultimi 14 mesi (calcolati dal momento in cui Bernanke ha fatto marcia
indietro sul tapering nel settembre 2013) e lanciarsi sulla strada della
normalizzazione. Sia come sia, a un mercato che era abituato ai Fomc che
servivano zuccherini a sorpresa e che anche questa volta si aspettava un
comunicato in cui la fine del Qe veniva avvolta tra mille cuscini soffici e
morbidi, è stata invece servita l’idea che l’inflazione sarà bassa solo
temporaneamente e che il mercato del lavoro è ben più forte di quanto non ci si
era raccontati. Non bastasse, non una parola è stata dedicata a piangere sulla
difficile situazione di altre aree del mondo, a partire dalla nostra.
Insomma, cari mercati, non solo vi ritiriamo il Qe, ma ci
riserviamo di alzare i tassi quando sarà il momento. Poiché non siamo falchi vi
lasceremo ancora qualche mese di tempo (da due mesi a due anni, ha detto
Fischer nei giorni scorsi, ironico ma non troppo) ma toglietevi per favore
dalla testa quell’idea balzana che abbiamo cominciato a sentire in giro, quella
che dice che i tassi, con una scusa o con l’altra, non li alzeremo mai. Che
cosa può avere indotto la Fed a questa svolta, che non è solo di linguaggio? Il
primo elemento è che effettivamente il mercato del lavoro è più tirato di
quanto non si era pensato. I disoccupati calano velocemente e cresce il numero
dei settori in cui per trovare personale qualificato bisogna cominciare a
pagarlo di più. Questa non è una buona notizia, né per i bond né per
l’azionario. Significa infatti che la vita residua dell’espansione americana è
più breve di quanto credevamo. Più breve non significa però brevissima. La
crescita potrà proseguire ancora per un periodo lungo (magari non i dieci anni
su cui alcuni hanno fantasticato), ma i tassi reali, almeno in America,
dovranno cessare di essere negativi e portarsi a zero. Con un’inflazione
pervista al 2 per cento nel 2016 questo vuole dire Fed Funds sullo stesso
livello. Il secondo elemento è che il mercato deve smetterla di essere ancora
più colomba di una Fed già ultraespansiva. Mentre la Fed, nell’ultimo periodo,
ha fatto intendere che la metà del 2015 potrebbe essere il momento giusto per
iniziare ad alzare i tassi, i futures dei Fed Funds hanno continuato a prezzare
Vogliamo potere alzare i tassi in qualsiasi momento, ci sta dicendo il Fomc, e
l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un mercato che si faccia prendere in
contropiede e si abbandoni al panico, come abbiamo visto succedere nell’estate
del 2013. Per cui svegliatevi, per favore, e organizzatevi per tempo. Basta,
insomma, con i corsi teorici su come sopravvivere nell’acqua bagnata dei tassi
sopra zero. Basta con l’ipotesi di farvi immergere il primo mese con l’alluce,
il secondo con il piede, il terzo fino alle ginocchia e così via, con
l’assistente sociale che vi tiene per mano e lo psicologo che vi fornisce il
dovuto supporto. A un certo punto vi butteremo in acqua e basta. Ormai siete
grandi e dovrete almeno provare a cavarvela da soli. Il terzo elemento è il
petrolio. Mentre i mercati ne leggono la discesa come segno della debolezza
della domanda, la Fed vede probabilmente il grande shock positivo da offerta,
che equivale a un consistente taglio delle imposte sui consumi. Si noti che la
discesa a 80 dollari non ha finora indotto nessuno a diminuire la produzione.
Le case americane hanno in larga misura confermato i loro programmi di
espansione della loro attività. Con l’energia a buon mercato a perdita d’occhio
cresce lo spazio di manovra per la normalizzazione dei tassi.
Il quarto elemento che può spiegare la svolta della Fed è
che per aiutare davvero la malandatissima Europa non bisogna più fare le
colombe a oltranza. Una Fed lamentosa che continua a rinviare il rialzo dei
tassi frena il rafforzamento del dollaro e rischia addirittura di indebolirlo.
Per avere un euro debole Draghi ha infatti bisogno di una Fed che alzi i tassi
(o minacci credibilmente di farlo) e attiri in questo modo capitali da tutto il
resto del mondo, Eurolandia in primo luogo. La reazione dei mercati, dopo il
disappunto iniziale, è stata tutto sommato costruttiva. Il dollaro, che era
pronto a indebolirsi, si è subito rafforzato. La borsa ha provato a scendere e
a fare i capricci. È del resto una borsa viziata da anni di Qe, di tassi a zero
e di continue coccole verbali. In seguito ha prevalso la considerazione che se
la Fed parla in questo modo è perché pensa davvero che la crescita americana
sia solida.
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