domenica 26 ottobre 2014

LA FORZA DI RENZI E' LA DEBOLEZZA DELL'EUROPA


Angelo Panebianco registra come una vittoria di Renzi l'accordo che si va profilando con la Commissione Europea, con l'accettazione da parte di quest'ultima di un leggero sforamento italiano. Per la Francia la UE dovrà digerire di più. Ma la Francia, da sempre, gode di una indulgenza diversa, per il rapporto preferenziale che ha con la Germania. Meglio così, visto che queste due nazioni sono quelle che più si sono fatte la guerra anche prima che la Germania divenisse una nazione (l'unità tedesca è addirittura successiva a quella italiana, però prima c'era il regno di Prussia). Però, come ricorda sempre Panebianco, l'alleanza Italia - Francia, che Renzi vorrebbe, non si realizza per indisponibilità di Parigi, che preferisce lasciare le cose come stanno, visto che finora ha potuto continuare a fare come voleva, con deficit sempre ben superiori al consentito, senza riforme di sorta. Ma in questo modo come è possibile che la politica europea cambi, modificando così anche la percezione sempre più negativa dell'Unione da parte dei cittadini europei ?
Non solo la categoria dei contrari all'Europa aumentano, così come gli euroscettici, ma è in fortissima crescita la schiera dei cd. "euroflebili" (di cui il camerlengo fa parte).




GLI ALLEATI IMPROBABILI
di Angelo Panebianco


Matteo Renzi ha fatto la voce grossa con Bruxelles e, salvo sorprese, ha vinto. La Commissione — la nuova, quella di Juncker, che sta per insediarsi — accetterà nella sostanza le correzioni italiane alla nostra legge di Stabilità. Se Renzi ha vinto lo deve non solo alla qualità della manovra ma anche al fatto che aveva l’esplicito sostegno del presidente della Repubblica e del governatore della Banca d’Italia e quello implicito della Banca centrale europea. E al fatto che l’Unione ha accumulato troppe criticità per potersi permettere un conflitto con un Paese-membro dell’importanza dell’Italia. Il socio di maggioranza, la Merkel, lo ha compreso.
Bene per l’Italia, possiamo dire, ma possiamo anche aggiungere che ciò migliora lo stato di salute dell’Unione? Non sembra. Soprattutto perché questa vicenda conferma ciò che si sapeva, ossia che è possibile una correzione al margine, politicamente contrattata, ma non lo è una svolta significativa nella politica dell’Unione. Il che rende difficile riassorbire quel malessere così diffuso in Europa che da tempo ne sta corrodendo le istituzioni.
Una svolta richiederebbe nuove alleanze, soprattutto quell’intesa stretta fra Francia e Italia in grado, sulla carta, di funzionare da contrappeso rispetto alla forza tedesca: un’alleanza che Renzi ha inseguito fin dal suo arrivo a Palazzo Chigi. Come abbiamo constatato, quell’alleanza non si è realizzata e forse non si realizzerà mai. Per l’indisponibilità della Francia. Essa preferisce trattare sottobanco con la Germania piuttosto che capitanare un’alleanza volta a riequilibrare il peso tedesco. Possiamo anche ritenere che la scelta del presidente Hollande non sia lungimirante: che cos’altro potrebbe bloccare il dilagante nazionalismo antieuropeo di Marine Le Pen se non un’inedita capacità francese, di intesa con l’Italia e altri, di imporre cambiamenti nella politica dell’Unione? Resta che quella scelta non è stata fatta dalla Francia e il governo italiano è costretto a prenderne atto.
Se non una intesa, per lo meno una convergenza occasionale l’Italia l’ha comunque realizzata ma con la Gran Bretagna: per la comune opposizione alla richiesta di Bruxelles di maggiori contributi al bilancio comunitario. Si tratta però di un’intesa fragile, soprattutto perché la Gran Bretagna ha un piede ancora nell’Unione e un altro già fuori. Il partito indipendentista (antieuropeo) è in crescita di consensi, l’antieuropeismo è ormai molto diffuso.

Se ci sarà nel 2017 il referendum promesso da Cameron, pochi scommetteranno sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione. Per inciso, checché ne pensino coloro che sarebbero contenti di vederla andare via, la defezione britannica darebbe forse il colpo di grazia all’Unione: nessuno vedrebbe più ostacoli che possano impedire il definitivo compimento di un’Europa a misura della Germania, e ci sarebbe probabilmente una crisi di rigetto, una reazione antitedesca ancora più forte di quella oggi in atto in una parte rilevante dell’elettorato europeo.
Il successo europeo di Renzi e la crisi dell’Europa sono connessi. Si vedono luci e ombre nell’azione del presidente del Consiglio. Le luci: Renzi ha rimodulato il discorso italiano sull’Europa, ha imposto un cambiamento di atteggiamenti e di linguaggio. In Europa chiede rispetto, dichiara di non accettare lezioni, cerca di suscitare l’orgoglio italiano. Non ha l’atteggiamento un po’ remissivo e complessato di certi governanti italiani del passato. Anche se, va ricordato, quegli atteggiamenti remissivi erano il frutto della cattiva coscienza italiana, segno della nostra incapacità di rimediare alle storture del Paese: un Paese che, dopo la nascita dell’eurozona, aveva fatto il furbo, aveva pensato che fosse possibile ottenere vantaggi dalla moneta unica senza pagare il prezzo di un serio risanamento interno.
Dunque Renzi non ha solo cambiato stile, ha anche mostrato di essere pronto al confronto duro: l’episodio della pubblicazione della lettera riservata della Commissione è emblematico. Da giocatore abile quale è si è ancora una volta mostrato pronto a correre rischi calcolati.
Ma ci sono anche le ombre. L’azione di Renzi, nei termini in cui si è sviluppata, sarebbe stata impossibile solo pochi anni fa, quando le istituzioni europee erano assai più forti, autorevoli, legittimate. È perché l’Unione è in crisi, perché nelle opinioni pubbliche circola molta insofferenza verso le sue istituzioni, i suoi uomini e i suoi riti, che oggi è più facile fare la voce grossa e spuntarla. È un segno del cattivo stato di salute dell’Unione. Anche quando la nostra squadra vince resta il sospetto di avere contribuito a segare ancora un po’ il ramo su cui noi europei siamo tutti seduti. 

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