Davide Giacalone continua a seguire le sorti della Legge di Stabilità e veramente, come con De Filippo, gli esami non finiscono mai. Il tratto fondamentale, pare di capire, di quella che pure dovrebbe essere tra le principali leggi del governo, è la vaghezza, per non parlare di fumosità. Si descrivono gli obiettivi, gli intenti, ma rimane oscuro, per lo più, se i modi indicati per perseguirli siano fattibili, in primis, e comunque idonei, in secundis.
Perplessità che provengono anche da soggetti istituzionali, come la Ragioneria dello Stato e il Quirinale, che pure senza criticare esplicitamente, anche perché, come spiega bene l'opinionista, sarebbero autentici autogol per l'Italia di fronte agli organi europei, prendono tempo riservandosi di meglio pronunciarsi.
La sensazione è che Renzino, incalzato dalla necessità di presentarla sta benedetta Legge, abbia voluto mettere tutti di fronte al fatto compiuto, dicendo a Quirinale e Ragioneria "che volete remare contro ?".
Tra l'altro, qualche giorno fa Filippo Facci criticava Napolitano per essersi esposto pubblicamente esprimendo apprezzamento per la manovra particolarmente inclinata verso crescita e lavoro, per poi far scrivere ai redattori delle note del Quirinale che la stessa era oggetto di "attento esame". Quindi anche al Quirinale hanno iniziato ad acocntentarsi delle buone intenzioni ?
Spalle al muro
Mettiamo, per pura ipotesi teorica, che la Ragioneria generale dello Stato abbia avuto ragioni per non “bollinare” la legge di stabilità, non convalidandone le coperture, o che il Quirinale, dopo l’attento esame promesso, ne abbia rilevato le incongruenze e ne chieda la riscrittura. A quel punto il governo italiano dovrebbe ritirare il testo inviato alla Commissione europea, totalizzando una continentale figura barbina. Uscendo dall’ipotetico e dal teorico, quindi, se qualche aggiustamento dovrà essere fatto si dovrà procedere quasi di soppiatto, per evitare di danneggiare l’Italia.
Ciò significa che l’invio temerario, l’esposizione scoppiettante, l’integrazione nelle trasmissioni televisive, innescano un pericoloso conflitto istituzionale, mettendo la Ragioneria e il Colle nelle condizioni di dovere rinunciare al proprio ruolo (più la Ragioneria, per la verità, perché questa storia che al Quirinale si debbano sempre rifare i conti e rivedere tutto è fuori dai binari costituzionali, è un allargamento smisurato della prudenza che volle la firma del Colle). In altre parole, sono con le spalle al muro: o validano o ci espongono a pericoli eccessivi.
Proprio per ragioni di convenienza, nel braccio di ferro che si è determinato nell’intera Unione europea, era stato suggerito al governo italiano di anticipare la legge di stabilità. Di presentarla ben prima della scadenza ultima (15 ottobre). Hanno preferito attendere l’ultimo minuto. Per essere precisi, però, lo hanno sforato, perché è vero che il testo è stato spedito entro i termini, ma, come si dimostra, privo dei necessari visti. Senza contare che il dibattito pubblico, da una settimana, si sviluppa senza che esista un testo da leggere e studiare, ma solo slides e interviste da commentare.
Non è semplice malcostume. E’ una condotta inaccettabile.
Nessun commento:
Posta un commento