Interessante questo scambio di riflessioni tra un lettore del Corriere e Sergio Romano sui concetti di liberalismo, il rapporto tra libertà economiche e personali che divise due giganti come Benedetto Croce e Luigi Einaudi.
Buona Lettura
La destra e la sinistra
Due concetti invecchiati
Due concetti invecchiati
Più o meno un secolo fa il mio maestro Benedetto Croce sosteneva che il liberalismo è una concezione etico-politica che, avendo come fine la maggiore libertà dell’individuo e la maggiore libertà di tutti, doveva ricercare caso per caso, secondo la situazione storico-politica del momento, la soluzione migliore per raggiungere quel fine; e la soluzione poteva essere a volte di tipo liberistico e a volte di tipo statalistico; ossia, possiamo dire, di destra o di sinistra, due parole che si richiamano a quei sistemi economici allora imperanti.
A me giovane liberale (anni Quaranta) queste cose piacevano molto in quei tempi di forte contrapposizione ideologica. Figuriamoci oggi. Oggi le ideologie sono morte; il comunismo ha perso e ha vinto la società aperta. Lei non pensa che i concetti di destra e di sinistra, storicamente legati a due ideologie che non esistono più, appartengano ormai a un antiquariato culturale? E che la sfida moderna non è fra destra e sinistra, ma fra giusto e sbagliato?
Sergio Lepri
sergio.lepri@rm.tws.it
Caro Lepri ,
Dietro la tesi di Croce vi era la convinzione che la vera libertà fosse un affare di etica e coscienza, con aspetti quasi religiosi, e che quella economica, invece, appartenesse alla categoria dei comportamenti pratici, destinati a mutare secondo le esigenze del momento. Era perfettamente concepibile, quindi, che uno Stato liberale restasse tale pur nazionalizzando alcuni settori dell’economia. Questa tesi era per molti aspetti la risposta di Croce a Palmiro Togliatti, con cui dovette convivere nel secondo governo Badoglio, formato dopo la «svolta di Salerno». Ma fu anche materia di una lunga discussione (civile, con qualche reciproca stoccata) tra il filosofo napoletano e Luigi Einaudi, economista, senatore e futuro primo presidente della Repubblica italiana.
Einaudi riconosceva che l’intervento dello Stato nell’economia fosse in molti casi utile e desiderabile, ma non tollerava che le libertà di possedere e d’intraprendere fossero considerate libertà minori. Mentre il filosofo teneva a una netta distinzione tra la sfera pratica della vita economica e la sfera morale e spirituale della coscienza, Einaudi pensava che fra le due vi fosse un inevitabile nesso. Non vi è libertà, scrisse in una delle sue repliche a Croce, «in una società economica nella quale non esista una varia e ricca fioritura di vite umane, vive per virtù propria, indipendenti le une dalle altre, non serve di un’unica volontà».
La discussione durò più di trent’anni e divenne la materia di un libro pubblicato dall’editore Ricciardi di Napoli sotto il titolo Liberismo e liberalismo . Più recentemente questo libro è stato nuovamente pubblicato in una collana del Corriere della Sera («Laici e cattolici. I maestri del pensiero democratico»).
Le confesso, caro Lepri, che le mie simpatie, in questo caso, vanno alla tesi di Einaudi. Ma i due contendenti, all’atto pratico, erano altrettanto pragmatici ed egualmente contrari alle contrapposizioni schematiche fra statalisti e liberisti. Lei ha quindi ragione quando scrive che destra e sinistra sono ormai categorie antiche, poco utili per l’economia dei nostri giorni. Sono care soprattutto a coloro che non riescono a nascondere una certa nostalgia per la «lotta di classe».
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