venerdì 7 novembre 2014

OSTELLINO E I GIUDICI "PERMALOSI"


Dura ed ineccepibile, a mio parere,  reprimenda contro la suscettibilità della casta dei magistrati, accompagnata da un potere di repressione che altri soggetti, ugualmente permalosi, si sognano.
Chi infatti può querelare per diffamazione con il vantaggio che a giudicare della cosa saranno suoi colleghi, facilmente sensibili se non addirittura solidali con il querelante ? 
Problema vecchio, oggettivo, tanto che si pensa di superarlo col trasferimento dei processi rispetto alla sede dove il giudice coinvolto esercita il suo ruolo. Soluzione assai debole.
Non so se nel momento in cui scrive l'articolo Ostellino sia stato toccato dal braccio permaloso della Legge. E' assolutamente possibile, visto che è uno tra quelli che più volte, parlando dei processi contro Berlusconi, ne ha denunciato la valenza politica. Non so se tutti quanti ne hanno scritto siano stati intimiditi in questo senso, forse no. Ma diversi sì. Certo, bisogna vedere come si esercita il legittimo diritto di critica, ma nel caso di Ostellino, polemista sicuramente duro ma in generale corretto, sarei portato a pensare che il professionista non tracimi dai limiti.
Del resto, Filippo Facci riportava oggi la notizia della condanna di Totò Cuffaro per lo stesso reato di diffamazione nei confronti di Antonio Ingroia.  La ragione starebbe nell'aver detto il politico siciliano che "Ingroia aveva partecipato ad una cena con l'imprenditore Michele Aiello, condannato per associazione mafiosa". 
Ebbene, spiega Facci, nessun giornale, nel riportare la notizia, si è sprecato nell'osservare che la condanna, se effettivamente così motivata, sarebbe ben curiosa perché quella cena VI FU, e che Cuffaro sbaglio sul periodo, non sul fatto. Anche qui, bisognerebbe approfondire, però io una discreta fiducia anche in Facci ce l'ho, né del resto sentenze del genere mi stupiscono in sé. 
In realtà, lo si ripete sempre, il sistema Giustizia va riformato e tra le cose importanti da cambiare parecchie riguardano proprio il pianeta magistrati. Solo che la lodevole ostilità di Renzi per la concertazione, l'affermazione sacrosanta del principio che le leggi le fanno il Parlamento e il Governo, non i sindacati o le altre categorie interessate, che vanno sì ascoltare ma senza diritti di veto, dovrebbe estendersi anche a CSM e ANM, il che invece non tanto pare...




Quei giudici così refrattari 
all’esercizio della critica
di Piero Ostellino


Forse, è venuto il momento di chiedersi realisticamente attraverso quali canali passano, nell’Italia d’oggi, repubblicana, laica, democratica, antifascista, il rifiuto dello spirito critico — che è, poi, il tentativo, neppure tanto indiretto, di imbavagliare il sistema informativo — e la negazione degli stessi sviluppi della deriva totalitaria in corso.
Non passano attraverso i canali del Parlamento e, in generale della politica; partiti e uomini politici — che pur in proposito non si fanno mancare niente e tendono a nascondere la mano dopo aver tirato il sasso — sono, evidentemente, anche troppo compromessi per affrontare, per via giudiziaria, eventuali critiche serie.
Passano, piuttosto, attraverso i canali di un sistema giudiziario che — al riparo della propria indipendenza politica, ma non ideologica — si ritiene al di sopra, non solo di ogni sospetto, ma anche di giudizio, cioè «in speciale missione, da parte di Dio, per redimere gli uomini». Una sorta di moralismo questa, che è, poi, l’anticamera di ogni totalitarismo... 

È infatti sufficiente esprimere un qualche giudizio critico su una sentenza e rivelarne — ancorché entro gli ambiti concettuali di un’opinione politicamente argomentata — l’oggettiva natura di supplenza politica, perché scatti, da parte di qualche procura o di singoli giudici, la denuncia, spesso assiomatica e poco argomentata, di «diffamazione per mezzo stampa», con relativa richiesta di spropositati indennizzi finanziari. Dopo che un’altra sentenza ha contraddetto e annullato quella in questione, la denuncia, se reiterata, finisce, inoltre, con assumere una ambigua, arbitraria, doppia funzione.
Prima: di sanzionarlo e, allo stesso tempo, di mandare un messaggio intimidatorio al giornalista, colpevole solo di aver fatto il proprio mestiere e di aver rilevato, entro limiti politicamente argomentati, l’oggettiva natura di «supplenza politica» assunta dalla sentenza stessa.
Seconda: di sanzionare e, allo stesso tempo, di mandare un altro «avvertimento», questa volta agli editori del giornale oggetto di denuncia: badate che, se non mettete a tacere quel giornalista, e chiunque altro lo voglia imitare, le richieste di indennizzo saranno, d’ora in poi, più pesanti.

La dura realtà è che quel «legno storto», che è l’uomo per sua stessa natura, non diventa automaticamente dritto solo perché ha vinto un concorso e le sue sentenze non hanno una natura politica solo perché formulate «in nome della legge».
Che l’uomo-magistrato non sia «il legno storto dell’umanità» ma sia, per definizione, dritto, è, diciamola tutta, solo una presunzione, ben coltivata e propagandata, dal marketing razionalistico settecentesco e dagli interessi corporativi novecenteschi degli stessi interessati. Tutto sta, allora, nel prendere atto che, per dirla con Montesquieu, quel terribile mestiere che consiste nel giudicare il prossimo non è esente da imperfezioni, ma è perfettibile come ogni altra manifestazione umana e, in quanto tale, inevitabilmente esposto a giudizio critico. È sufficiente sapere, allora, che, in un Paese civile e in un ben organizzato sistema giudiziario, agli (eventuali) errori può ovviare lo stesso sistema, sia attraverso i suoi vari gradi di giudizio, come già accade, anche se da noi con colpevoli tempi biblici, sia, in caso di malizia accertata, attraverso l’organo di autogoverno degli stessi magistrati, il Consiglio superiore (Csm). Sempre che esso non si riduca, come tende a fare, a rappresentare un’altra istanza corporativa fra, e contro, le tante in cui è frazionato il Paese... 

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