Tutti evocano Andreotti, come inventore primo della tattica dei "due forni", con la DC, partito di perenne maggioranza relativa, disinvolto nel dialogare ora col PSI, ora col PCI, per portare avanti il governo. Fu Craxi a disvelare il bluff, e tramontato definitivamente il progetto del "compromesso storico", valorizzò alla grande il suo scarso 12% elettorale per prendersi Palazzo Chigi e caratterizzare la politica di tutto il decennio '80 della prima Repubblica.
Se interpreto bene Giovanni Orsina e il suo editoriale oggi su La Stampa, anche quello di Renzi è un bluff, tutto basato sul terrore delle elezioni che attraversa trasversalmente il Parlamento. Lo credo bene. Quanti sono certi di non rientrarci più ? Tantissimi. Mai così tanti come a questo giro.
Gli ortotteri, praticamente tutti, tranne quei 3-4 che si sono guadagnati una qual certa visibilità, restando dentro il movimento : Di Maio e Di Battista e un altro paio al massimo. Tutti gli altri ? Di nuovo alle parlamentarie, ma stavolta il duo Grillo e Casaleggio potrebbero essere più accorti nel gestire la cosa, visto i tanti giuda registrati con un sistema dove, nel 2013, 20.000 internauti scelsero i rappresentanti di 8 milioni di elettori... Poi ci sono quelli di Scelta Civica (orfani del desaparecido Monti), NCD di Alfano per non parlare della UDC di Casini e Cesa...La loro scomparsa potrebbe addirittura non essere quotata dai bookmakers, per eccesso di probabilità. Non va tanto meglio ai forzisti, partito chiaramente allo sbando, con un leader sempre più proiettato a cercare di garantire la propria PERSONALE sopravvivenza politica, che non a rifondare veramente il centro destra. Salvini e Meloni sono più sereni : il primo perché il suo lepenismo in salsa italiana sta andando benino pare, mentre la Meloni ha già mostrato di avere coraggio e di non avere paura a giocarsela, accettando il rischio di non farcela.
A sinistra, renziani a parte, le cose non stanno meglio. SEL ha il destino segnato di Scelta Civica, con Vendola ormai politicamente defunto e senza un successore valido. Alle Europee, con lo sbarramento al 4%, se la sono cavata di un soffio e avevano dalla loro la suggestione Tsipras. Il secondo dopo lo spoglio, in quella lista si sono messi a litigare, quindi esperienza quantomeno da correggere. La sinistra piddina ? Mineo, Casson, ma anche Fassina, D'Attorre, Bindi....Parlo solo dei più noti. Quanti di questi varcherebbero di nuovo il portone di Montecitorio ?
Ecco, è QUESTA la vera forza di Renzi, che NON è stato eletto nel 2013, e NON ha in parlamento il suo partito. Approfittando di quella non vittoria (rigore sbagliato a porta vuota), se n'è fatto un altro, pure con lo stesso nome. Ma i parlamentari eletti appartenevano, in stragrande maggioranza, alla vecchia parrocchia. Certo, in molti poi hanno già fatto il salto della quaglia (figuriamoci...tutti tengono famiglia !), però non tutti. La cosa non pesa troppo alla Camera, dove comunque il Porcellum ha prodotto tali effetti benefici che la minoranza interna, senza defezioni ALTRE, non ce la farebbe a minare l'esecutivo. Al Senato è tutt'altra musica. Lì gli effetti della sconfitta di Bersani si fanno sentire tutti, e la maggioranza ufficiale è risicata.
Si vede dal ricorso bulimico al voto di fiducia, dove appunto scatta il capestro, per TUTTI ! E quindi, non solo facilmente si assiste al rito dell'obbedienza in nome della fedeltà al partito, ma si può anche contare con qualche appoggio esterno alla maggioranza, in primis i transfughi grillini.
Ma come scrive bene Orsina, in questo modo si va avanti con la legislatura, ma è difficile governare veramente. Lo si è visto con Letta e non è che Renzino, che tanto parlava di impaludamento per giustificare la coltellata mollata al compagno di partito, stia facendo molto meglio.
Certo, l'uomo è più disinvolto, e quindi il regalo elettorale di 80 euro non ha esitato a farlo, laddove Letta ha dovuto soffrire le pene dell'inferno per togliere l'IMU sulla prima casa (quest'anno tornata sotto altro nome, e maggiorata) e non ha evitato l'aumento dell'IVA. Ma Enrichetto aveva più rispetto e timore per Bruxelles, ci teneva a non sforare i conti. Renzi, come detto, ha altra disinvoltura, e non ha timori di litigare con i "burocrati d'Europa". Finché Draghi gli tiene a bada spread e mercati...
Per le due riforme parzialmente varate, e che già si sa dovranno essere ritoccate entrambe, quella elettorale e quella del Senato, è stato fondamentale l'appoggio di Berlusconi, il famoso patto del Nazareno.
Senza i voti soffertissimi di Forza Italia, nemmeno quelle due leggi sarebbero quantomeno in vitro !
Se il patto viene giù, veramente Renzi pensa di poter andare avanti per altri 3 anni e mezzo raccattando maggioranze continuamente variabili? e per fare cosa ?
In realtà, il brillante storico ed opinionista politico fa una chiosa amara e largamente condivisibile : nella situazione politica emersa dalle elezioni del 2013, con l'assetto istituzionale persistente, quali rivoluzioni riformiste potranno mai venire fuori, Nazareno o meno ?
Buona Lettura
Se salta il patto del Nazareno si va al voto
La rottura eventuale del cosiddetto patto del
Nazareno – che, secondo quanto diceva l’altroieri il presidente del
Consiglio, al momento scricchiola pericolosamente –, non sarebbe cosa da
nulla per l’attuale situazione politica italiana. Al contrario: non è
affatto improbabile che, se si verificasse, quella rottura sia in grado
di avviare una slavina destinata a concludersi in primavera con le
elezioni anticipate.
L’accordo con Berlusconi non è un elemento accessorio del governo Renzi, ma ne ha rappresentato finora una condizione fondamentale. Si rammenti fra l’altro che il primo incontro fra i due, il 18 gennaio scorso, non ha seguito ma preceduto di qualche settimana l’ascesa del segretario democratico a Palazzo Chigi. Il senso che il patto ha per Renzi va cercato sul terreno aritmetico prima ancora che su quello politico. Impegnato a scalare il vuoto della politica italiana, e perciò appoggiato sul nulla; guardato in cagnesco da molti parlamentari del suo stesso partito; impossibilitato a fare forza sui grillini; dotato di una maggioranza risicata in Senato: dove altro avrebbe potuto trovarli Renzi i voti alle Camere per sperare almeno di realizzare il suo ambiziosissimo programma, dopo il fallimento di tutti i suoi predecessori?
Dell’utilità che il patto ha avuto per Berlusconi si è detto tante volte: dopo essere stato condannato, dopo esser decaduto da senatore ed essere stato sospeso dalla vita pubblica, dopo essersi auto-emarginato passando all’opposizione del governo Letta, nel rapporto con Renzi Berlusconi ha ritrovato la ribalta e si è visto restituire la possibilità, se non di decidere, quanto meno di partecipare alle decisioni. Se però per l’uomo di Pontassieve il bilancio dell’accordo è stato quasi interamente positivo – fatte salve le critiche, aspre ma modeste nell’impatto concreto, dei settori più antiberlusconiani del Pd e della cultura di sinistra –, quello di Arcore ne ha pagati cari i vantaggi: si è «scoperto» a destra, cedendo terreno alla Lega di Salvini; e al contempo ha regalato spazio al centro allo stesso Renzi. Da qui le incertezze.
Da qui le insurrezioni interne a Forza Italia – la più importante, da ultimo, quella di Raffaele Fitto –, e le difficoltà di Berlusconi nel governare i suoi parlamentari. Da qui il desiderio di far pagare a Renzi un prezzo più alto, in particolare sulla legge elettorale. E da qui infine la risposta politicamente assai abile del presidente del Consiglio: eleggere insieme al M5s un membro del Consiglio superiore della magistratura e uno della Corte Costituzionale. Minaccia implicita ma quanto mai chiara di sostituire al patto del Nazareno un accordo coi grillini.
Se la prospettiva di Renzi è quella di continuare a governare, tuttavia, e non di andare alle urne appena possibile, questa minaccia rimane assai debole. Con un Movimento che decida infine di mettersi a fare politica sarà possibile magari convergere su un nome o un provvedimento, ma come potrebbe il presidente del Consiglio appoggiarvi continuativamente le proprie ambizioni riformistiche, non esattamente modeste? Come potrebbe tenere insieme il sostegno dei grillini e la presenza nella maggioranza del Nuovo centrodestra, che già ha cominciato a protestare? Che cosa ne farebbe della riforma del Senato, approvata in prima lettura coi voti di Forza Italia e con l’opposizione dura del M5s? E se, nel momento in cui Giorgio Napolitano decidesse di fare un passo indietro, dovesse sceglierne il successore d’accordo con Grillo, come potrebbe poi conquistare quel centro elettorale al quale ha parlato in questi mesi, e che sembra ben disposto ad ascoltarlo? Sarebbe troppo perfino per Renzi.
Per queste ragioni, come si diceva in apertura, la fine eventuale del patto del Nazareno non sembra il preludio di una nuova e diversa fase di stabilizzazione del nostro sistema politico, ma d’una corsa al voto. Con un sistema elettorale riformato, se si riuscirà a riformarlo. Ma perfino con le attuali regole proporzionali, se il processo riformistico dovesse fallire. Un’eventualità, quest’ultima, tutt’altro che impensabile.
Certo: la politica italiana è tale che magari il patto del Nazareno smetterà ben presto di scricchiolare, tutto tornerà come prima, e le molte pagine che in questi giorni sono state dedicate ai suoi gemiti – comprese quelle su cui è stampato quest’articolo – troveranno un giusto destino nell’avvolgere dentici e branzini. Dall’incarto del pesce, però, non manca di emergere un messaggio un po’ meno effimero e tutt’altro che confortante: Nazareno o non Nazareno, finché questa è la situazione politica e istituzionale del Paese, leggi ambiziose e riforme incisive possiamo pure scordarcele.
L’accordo con Berlusconi non è un elemento accessorio del governo Renzi, ma ne ha rappresentato finora una condizione fondamentale. Si rammenti fra l’altro che il primo incontro fra i due, il 18 gennaio scorso, non ha seguito ma preceduto di qualche settimana l’ascesa del segretario democratico a Palazzo Chigi. Il senso che il patto ha per Renzi va cercato sul terreno aritmetico prima ancora che su quello politico. Impegnato a scalare il vuoto della politica italiana, e perciò appoggiato sul nulla; guardato in cagnesco da molti parlamentari del suo stesso partito; impossibilitato a fare forza sui grillini; dotato di una maggioranza risicata in Senato: dove altro avrebbe potuto trovarli Renzi i voti alle Camere per sperare almeno di realizzare il suo ambiziosissimo programma, dopo il fallimento di tutti i suoi predecessori?
Dell’utilità che il patto ha avuto per Berlusconi si è detto tante volte: dopo essere stato condannato, dopo esser decaduto da senatore ed essere stato sospeso dalla vita pubblica, dopo essersi auto-emarginato passando all’opposizione del governo Letta, nel rapporto con Renzi Berlusconi ha ritrovato la ribalta e si è visto restituire la possibilità, se non di decidere, quanto meno di partecipare alle decisioni. Se però per l’uomo di Pontassieve il bilancio dell’accordo è stato quasi interamente positivo – fatte salve le critiche, aspre ma modeste nell’impatto concreto, dei settori più antiberlusconiani del Pd e della cultura di sinistra –, quello di Arcore ne ha pagati cari i vantaggi: si è «scoperto» a destra, cedendo terreno alla Lega di Salvini; e al contempo ha regalato spazio al centro allo stesso Renzi. Da qui le incertezze.
Da qui le insurrezioni interne a Forza Italia – la più importante, da ultimo, quella di Raffaele Fitto –, e le difficoltà di Berlusconi nel governare i suoi parlamentari. Da qui il desiderio di far pagare a Renzi un prezzo più alto, in particolare sulla legge elettorale. E da qui infine la risposta politicamente assai abile del presidente del Consiglio: eleggere insieme al M5s un membro del Consiglio superiore della magistratura e uno della Corte Costituzionale. Minaccia implicita ma quanto mai chiara di sostituire al patto del Nazareno un accordo coi grillini.
Se la prospettiva di Renzi è quella di continuare a governare, tuttavia, e non di andare alle urne appena possibile, questa minaccia rimane assai debole. Con un Movimento che decida infine di mettersi a fare politica sarà possibile magari convergere su un nome o un provvedimento, ma come potrebbe il presidente del Consiglio appoggiarvi continuativamente le proprie ambizioni riformistiche, non esattamente modeste? Come potrebbe tenere insieme il sostegno dei grillini e la presenza nella maggioranza del Nuovo centrodestra, che già ha cominciato a protestare? Che cosa ne farebbe della riforma del Senato, approvata in prima lettura coi voti di Forza Italia e con l’opposizione dura del M5s? E se, nel momento in cui Giorgio Napolitano decidesse di fare un passo indietro, dovesse sceglierne il successore d’accordo con Grillo, come potrebbe poi conquistare quel centro elettorale al quale ha parlato in questi mesi, e che sembra ben disposto ad ascoltarlo? Sarebbe troppo perfino per Renzi.
Per queste ragioni, come si diceva in apertura, la fine eventuale del patto del Nazareno non sembra il preludio di una nuova e diversa fase di stabilizzazione del nostro sistema politico, ma d’una corsa al voto. Con un sistema elettorale riformato, se si riuscirà a riformarlo. Ma perfino con le attuali regole proporzionali, se il processo riformistico dovesse fallire. Un’eventualità, quest’ultima, tutt’altro che impensabile.
Certo: la politica italiana è tale che magari il patto del Nazareno smetterà ben presto di scricchiolare, tutto tornerà come prima, e le molte pagine che in questi giorni sono state dedicate ai suoi gemiti – comprese quelle su cui è stampato quest’articolo – troveranno un giusto destino nell’avvolgere dentici e branzini. Dall’incarto del pesce, però, non manca di emergere un messaggio un po’ meno effimero e tutt’altro che confortante: Nazareno o non Nazareno, finché questa è la situazione politica e istituzionale del Paese, leggi ambiziose e riforme incisive possiamo pure scordarcele.
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