Sul Garantista è apparsa una storia di cronaca piuttosto inquietante per la sua particolarità.Abbiamo una coppia di Milano. lui carabiniere, lei con due figli avuti da un'altra relazione. Un grande amore, appassionato, secondo la rappresentazione vetero romantica, che ammette che a volte questo tracimi nella violenza, di lui contro di lei, più spesso, per gelosia magari. Fin qui, direte, a ragione, nessuna originalità. Nemmeno il fatto che lei difenda il suo uomo, incarcerato perché qualcuno (non Lei ; non ho capito se siano stati dei passanti, i vicini di casa, i medici dell'ospedale che hanno refertato la donna) ha registrato gli scoppi violenti, pare rivolti talvolta anche nei confronti dei minori della compagna, sarebbe una cosa nuova. Quante volte la vittima è complice del suo carnefice, specie nei casi dei cd. amori malati ?
No, la cosa particolare sta nella difesa della donna che non dice, come molte sue "colleghe", bugie tipo "sono caduta" "sono disattenta, sbatto contro le porte".... No, lei afferma sostanzialmente "se menavamo tutte e due" . Oddio, essendo del milanese non avrà usato esattamente questa espressione, che però rende meglio l'idea. In concreto, la versione è ; io lo provoco, anche con le mani, e lui reagisce.
Insomma, litigi che non si limitano, come più ordinariamente avviene tra le coppie, a strilla belluine, ad una violenza che resta verbale, ma dove volano gli schiaffi. Però da parte di entrambi. In questo caso, lui è in carcere, da un mese, lei, che a suo dire mena quanto lui, è fuori che scongiura che sia liberato.
Io, come voi, ho dei dubbi su quanto racconta la donna, però un'avvertenza. Non pensate che la violenza domestica sia coniugata solo al maschile. E' quella mortale che vede la netta prevalenza dell'uomo, ma a livello più basso, varie indagini sul tema hanno stabilito che in occidente - non solo in Italia - i casi in cui è l'uomo ad essere vittima di angherie anche violente da parte del partner sono assolutamente numerose. Leggere, per credere, il post in cui ne parlammo : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2012/11/maschi-violentati-sembra-una.html
Semplicemente, più spesso questi casi non si traducono in denunce, specie nel sud dell'Europa dove il mito della virilità persiste e l'uomo non confessa di essersi fatto malmenare...
Insomma, la versione di M.A. (le iniziali riportate dal servizio di cronaca che trovate di seguito) non è magari probabile, però non impossibile.
Per i giudici lui la picchia. Ma lei nega e lo difende
Di lui, L.A., carabiniere 32enne rinchiuso da un mese nel carcere milanese di Opera con l’accusa di maltrattamenti nei confronti di M.A., la sua compagna 39enne, e di quest’ultima. Che ora si appella ai giudici affinchè facciano uscire di prigione il suo amato. Perché la presunta vittima di questa storia, madre di due minori tirati in ballo anche loro in questo caso, continua a ripetere al suo avvocato Francesco D’Andria che il fidanzato «non deve pagare con il carcere qualcosa che non ha commesso». E ribadisce fino allo sfinimento: «A litigare eravamo in due, anzi, ero io a provocarlo e i ceffoni volavano da entrambe le parti».
Insomma, la presunta vittima di violenza dice di non essere vittima, ma anche parte attiva in quell’ultima colluttazione, che le ha fatto rompere due costole. E afferma tramite il suo legale che la pena del carcere, in una fase ancora di indagine a carico del compagno, è davvero «iniqua e sproporzionata». Eppure l’avvocato D’Andria non nasconde quella che appare ai suoi occhi, e agli occhi di molti, una vicenda “anomala”. Anomala se non altro perché i due fidanzati continuano a scriversi quotidianamente lettere d’amore, visto che lei deve ancora essere autorizzata ad andarlo a trovare. Divisi dalle sbarre che tracciano la linea di confine tra il mondo fuori e quello in cella, i due continuano ad amarsi. Con appellativi, baci e abbracci virtuali.
Nonostante quei tanti litigi che hanno portato il giovane carabiniere in carcere. L’unico pensiero della presunta vittima di maltrattamenti è che il suo presunto carnefice torni a casa. È lei stessa a dire che non c’è alcun pericolo che quell’uomo possa farle realmente del male. Perché quei dissapori, non solo verbali, sono solo una follia momentanea, una passione incontrollata che l’ultima volta, un mese fa durante il fine settimana di Ognissanti, che ha portato all’arresto del 32enne, ha preso il sopravvento.
Il militare del nucleo radiomobile aveva già ricevuto una denuncia per aver aggredito la donna in strada con un casco in testa. La scena era stata vista da due passanti, anche se la ragazza aveva negato. E anche in quest’ultimo episodio, nella foga concitata della lite, racconta lei, lo ha provocato e non ha tenuto giù le mani. Tra calci e ceffoni tirati da entrambi, lei è inciampata e si è rotta due costole. Ma «lui non voleva farmi del male. Deve uscire dal carcere», dice ora disperata. Ma il gip ha ritenuto di doverlo lasciare dietro le sbarre per tutelare la presunta vittima e i suoi figli.
Già i suoi figli: il militare, secondo gli accertamenti degli inquirenti, aggrediva spesso anche i due minori (avuti in una precedente relazione). Era solito chiamarli ”bastardi”, sottolinea l’accusa. Ma anche qui la presunta vittima lo difende e sminuisce le accuse. Anche l’avvocato D’Andria, legale della donna, rileva il «paradosso di una vicenda dove la pena del carcere appare sproporzionata. Bastava il divieto di avvicinamento alla mia cliente, e in caso di violazione poteva scattare la carcerazione, una carcerazione che al momento è preventiva». Ma anche in questo caso, se al carabiniere fosse stato imposto dal giudice il divieto di avvicinamento alla compagna, la storia sarebbe la stessa. La disperazione di non vedersi, di stare lontani, quella passione incontrollata è diventata un tormento. Per entrambi. E questa, non tanto la privazione della libertà per lui, ma l’assenza dell’amato per lei, rischia di essere la vera condanna. Una condanna che fa impallidire i peggiori criminali: quella di dover stare lontani da chi si ama. Infatti, la paura (fondata) della donna, come spiega l’avvocato D’Andria, è quella che nulla potrà tornare come prima.
I due vivevano insieme da alcuni mesi, tra alti e bassi ma innamorati. Poi quelle baruffe che li hanno inguaiati con la giustizia. Il timore della 39enne è che un domani, se tornasse tutto come prima, tra amore e baruffe, i servizi sociali possano toglierle i figli, ritenendola inidonea alla potestà genitoriale.Quella passione che fa perdere il controllo raccontata dal poeta Orazio, è forse la vera colpevole di questa storia? O forse, i due protagonisti della storia sono entrambi colpevoli? Se lui fosse davvero un violento, e lei stesse ritrattando tutto per quell’amore che acceca, creando un pericoloso precedente nelle storie dove ci sono veri colpevoli e vere vittime, di fronte a dati allarmanti e all’ordine del giorno di violenze e femminicidi? E se invece lei avesse fatto mea culpa, giudicando lei stessa, da presunta vittima, che quell’uomo è innocente?
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