venerdì 23 gennaio 2015

FU RENZI IL CAPO DEI 101 BENEMERITI CHE CI HANNO RISPARMIATO PRODI PRESIDENTE ?



Il 19 aprile 2013, 101 benemeriti rifiutarono l'indicazione del proprio partito e non votarono Prodi come nuovo Presidente della Repubblica. Sarò sempre grato a questi sconosciuti, che tali sono rimasti (benemeriti sì, coraggiosi meno). Da allora la dietrologia, scienza non esatta di molti eventi umani, tra cui ovviamente la politica, è sempre stata attiva nel cercare di dare un nome e un volta ai "giuda". Fino a poco tempo fa il principale indiziato era D'Alema, che ha sempre seccamente smentito l'accusa, minacciando anche querele. Sicuramente era uomo che aveva però annusato la cosa, tanto che proprio dopo un dialogo con lui Romano Prodi, alla vigilia del voto, disse alla moglie che lo avrebbero trombato, come in effetti fu.  D'Alema ha sempre risposto che si trattava semplicemente di conoscere di politica : l'indicazione di Prodi, dopo l'affossamento di Marini, era stata gestita male, con fretta imprudente, e quella era stata la conseguenza.  Tra i tanti nomi dei cospiratori ipotizzati, certo era entrato anche Renzi - che io però ricordo come, almeno formalmente, fosse stato uno di quelli che il nome di Prodi invece lo aveva suggerito, ed è da lì che iniziai a prendere distanza dal toscanaccio...- ma nessuno era stato mai così esplicito nell'accusa come Fassina (notoriamente uno che però non è propriamente sereno,  a livello personale, nei confronti del segretario). 
Sia come sia, meno male che andò così, e speriamo che veramente siano bluff e provocazioni quelle  di coloro che tornano a fare il nome del professore bolognese come Capo dello Stato. Un ex boiardo democristiano, permaloso fino al livore, che mai potrebbe minimamente essere considerato un presidente accettabile dai cittadini  di centro destra e moderati in generale. 
Incrociamo le dita. 

Di seguito, la Guerzoni sul Corsera si diverte a giocare allo "scopri il colpevole", riandando a quei giorni di aprile e tratteggiando le ipotesi di allora e di oggi.




Quella guerra tra bande e le accuse incrociate
nel giorno più nero del Pd

 

ROMA Il Parlamento (e i gruppi del Pd) non sono cambiati dal giorno livido dell’agguato contro Romano Prodi, il frutto avvelenato di vecchi rancori, tradimenti e vendett e incrociate che innescarono una catena di lutti politici. Il 19 aprile 2013 è una data che il Pd porta impressa nel suo dna, severo monito degli errori da non ripetere. I 101 franchi tiratori che affossarono l’ex premier — incoronato di fresco con una standing ovation al teatro Capranica — sono ancora a volto coperto e la loro identità resterà celata dal voto segreto.
Dopo venti mesi di tormenti la dolorosa autoanalisi non è finita. Chi furono i registi del trappolone ai danni dell’intero Pd? «Il capo dei 101 è Renzi», accusa a sei giorni dal voto Stefano Fassina. E la ferita mai suturata riprende a sanguinare. L’unico farmaco è «la lealtà» suggerisce Bersani, colui che ha pagato il prezzo più alto. E la domanda che assilla i protagonisti di quella pagina nera è se il Grande Complotto possa vedere un remake, magari a parti invertite. Silvio Sircana, storico portavoce di Prodi, si augura che i grandi elettori «riescano a trovare un candidato forte e credibile e che non si facciano invischiare in questo tipo di inciuci». L’ex senatore del Pd resta convinto che l’obiettivo dei cecchini fosse «radere al suolo Bersani». L’ordine di eseguire la sentenza non arrivò però da un solo capocorrente, «fu il combinato disposto di una guerra per bande che si consumò, in modo un po’ cialtrone, sulla persona di Prodi».
Le bande, appunto. Quelle correnti che sono da sempre il male endemico del Pd. Nelle ore drammatiche in cui si cominciava a parlare di mutazione genetica del Pd, Sandra Zampa sfogava il suo dolore indicando D’Alema e Fioroni. Quindi annunciava l’autosospensione dal gruppo, perché riteneva «impossibile restare seduta accanto a chi ha accoltellato Prodi alle spalle come un sicario». Nel tempo la vicepresidente del Pd si è convinta che «tutti parteciparono per arrivare a quel risultato e molti si sono pentiti». Se avessero conosciuto meglio il «Prof» e intuito che si sarebbe sfilato dopo la batosta, il giorno dopo lo avrebbero votato.
Tutti traditori? Dalemiani, fioroniani, bersaniani e renziani, anche? Il perimetro è troppo largo per distinguere volti nel mucchio. Quanto all’allora sindaco di Firenze, una delle tesi difensive è che Renzi non avesse le truppe per affossare Prodi, da solo. «Non ne aveva la f orza», lo assolve Antonio Bassolino. Sandro Gozi, ora a Palazzo Chigi, si è addannato per mesi alla caccia dei «killer del fondatore».
«I franchi tiratori? Provate a chiamare Fioroni e D’Alema», insinuava Felice Casson. Ma D’Alema ha sempre smentito con un certo vigore complotti e regie occulte del fattaccio, minacciando denunce contro i «calunniatori». E se gli accusatori teorizzavano che l’ex premier avesse lasciato le impronte digitali con quei quindici voti incassati per se stesso, lui andava in tv e reagiva buttando la croce su Bersani: «È una vergogna autentica. Si cercano capri espiatori, ma come potevo impedire che 15 persone mi votassero? ».
Capri espiatori, la stessa espressione a cui affida la sua difesa Beppe Fioroni. L’ex ministro amico di Franco Marini, altra vittima illustre del fuoco amico democratico, uscì dall’aula brandendo il cellulare. Aveva fotografato la scheda con scritto PRODI: «C’era un clima da caccia alle streghe. Ero sotto stress emotivo, ma non lo farei mai più. Una regia creò il delitto perfetto precostituendo i killer in quelli più scontati». Renzi? «È stato iperattivo su Marini, su Prodi non ci credo».
Dal Mali, la mattina in cui fu mandato al massacro con una telefonata di Bersani, Romano chiamò il già líder Maximo per sondare la sua reazione alla candidatura e la risposta non gli suonò di buon auspicio. «Benissimo — si congratulò D’Alema, come ha raccontato Alan Friedman —. Ma decisioni così importanti dovrebbero essere prese coinvolgendo i massimi dirigenti». Prodi, che già a Bersani aveva comunicato i suoi dubbi sulla «nobiltà del casato» pd, chiuse il telefono e disse alla moglie che era finita. Il verdetto dell’urna confermò il cattivo presagio e l’allora sindaco dichiarò che la candidatura di Prodi poteva ritenersi decaduta. Una velocità che insospettì, tra i tanti, anche la lettiana Paola De Micheli, ora al governo: «La prima gallina che canta ha fatto l’uovo...».
Pippo Civati fu il primo a prevedere che i 101 sarebbero entrati al governo e rivendica di non essere stato smentito: «Nasce tutto da lì. Lo schema delle larghe intese e i governi di Letta e poi di Renzi hanno preso l’abbrivio da quel voto». Il 29 gennaio che accadrà? «Sarebbe un bel segnale vedere 101 franchi tiratori nella prima votazione, sul nome di Prodi... Hanno sottovalutato il problema e adesso si ripropone».

Monica Guerzoni

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