In un'assemblea molto dibattuta, alla fine è prevalsa, per il momento, la tesi di non proclamare uno sciopero contro la riforma della responsabilità civile dei magistrati, una barzelletta nella versione attuale della legge VAssalli.
Ma questa idea, di dover in qualche modo rispondere dei propri errori - regola generale per tutti gli altri - alle toghe "alte" proprio non va giù e sembra che abbiano chiesto di essere ricevuti dal Presidente della Repubblica per perorare il loro privilegio.
Confidiamo che Mattarella si mostri educato e nulla di più.
Bella la riflessione di Vincenzo Vitale, su Il Garantista, sul dogma dell'indipendenza del magistrato.
Un giudice capace di giudicare sarà anche indipendente, mentre uno che è sia incapace non è meno dannoso ancorché sia salvaguardata la sua indipendenza.
Ineccepibile, eppure non è un pensiero diffuso.
Magistrati sull’orlo di una crisi di nervi
Meno male che in seno alla Associazione Nazionale Magistrati è prevalsa la linea contraria allo sciopero della categoria, per protestare contro la legge sulla responsabilità dei magistrati che la Camera si accinge a discutere e ad approvare.
Tuttavia, dalla vicenda emergono due aspetti che meritano una qualche riflessione. Innanzitutto, è quanto meno strano che a spingere in particolare per lo sciopero sia stata la corrente di Magistratura Indipendente, vale a dire quella tradizionalmente considerata moderata e certo non estremista. Ciò prova, se ancora ce ne fosse bisogno, come in realtà le correnti della magistratura non si distinguono più tanto per ragioni ideologiche, ma solo per motivazioni attinenti alle sfere di potere e di influenza di ciascuna.
Ne viene che bisogna prendere atto come ormai gli effettivi schieramenti della magistratura operino in modo trasversale, avendo riguardo al raggiungimento degli obiettivi di volta in volta fissati e a null’altro. Detto in altre parole, lo schermo dell’ideologia, ancora efficacemente adoperato fino a pochi anni or sono, oggi sembra tramontato
Da un secondo punto di vista, è notizia fresca che i vertici della Anm avrebbero chiesto un incontro urgente al Capo dello Stato Mattarella, proprio alla vigilia della approvazione della legge sulla responsabilità dei magistrati alla Camera e perciò all’antivigilia della prevedibile promulgazione della stessa da parte del presidente della Repubblica.
Questo tentativo, che non sappiamo se e quando riuscirà, suona davvero strano, inusuale e probabilmente dissonante con la corretta impostazione dei rapporti istituzionali. Infatti, per un verso, appare inopportuno che questo incontro si svolga poche ore prima che la Camera licenzi il testo della legge e che il Capo dello Stato la promulghi: l’iniziativa della Anm potrebbe essere letta come un tentativo di interferenza con i lavori parlamentari o con le funzioni del Capo dello Stato.
Cosa dovrebbero dire i magistrati a Mattarella o, peggio, cosa potrebbero chiedergli? Esprimergli preoccupazione o disappunto per il varo della nuova legge ad essi sgradita? Ma in questo caso Mattarella non potrebbe che allargare le braccia, rinviando ogni dissenso ai canali istituzionali nei quali esso va convogliato per poter sortire un qualche effetto, vale a dire gli schieramenti parlamentari.
Chiedergli un parere personale sulla legge o sulle maggioranze dalle quali essa è sostenuta? Ma in questo caso Mattarella non potrebbe che tacere, essendogli impedito dal ruolo “super partes” che ricopre di lodare o di criticare le singole leggi che gli vengono sottoposte per la promulgazione.
Infine, potrebbero i vertici della Anm indurlo a ritenere la legge incostituzionale per un qualche profilo, per esempio quello attinente alla indipendenza della funzione giudiziaria, e perciò a negare la firma per la sua promulgazione? Potrebbero. Ma senza costrutto. Infatti, una forma di responsabilità, peraltro assai attenuata come quella prevista dalla legge in esame, è sempre l’altra faccia della indipendenza e della libertà, al punto che non si possono evocare queste senza immediatamente mettere in campo anche l’altra.
Insomma, per necessità chi è libero ed indipendente o si colloca nella prospettiva della tirannide oppure deve accettare di essere anche responsabile dei propri atti: non è possibile essere liberi e non responsabili. Si tratterebbe di una finta libertà, di un potere esercitato in modo indiscriminato, assoluto.
Non solo.
Questa ossessione per l’indipendenza, sventolata ad ogni occasione come una sorta di feticcio dogmatico, suona alquanto patetica. Nessuno infatti presta attenzione alla semplice constatazione che il valore sommo e davvero ineliminabile per chi è chiamato ad esercitare il giudizio sulle azioni del prossimo non è l’indipendenza, ma la capacità personale di rendere giustizia: per questo si può affermare che il giudice ha da essere un “esperto d’umanità”.
E per questo, in un suo aureo e breve studio di parecchi anni or sono – titolato Per questi motivi, che è la formula con cui si chiudono le motivazioni delle sentenze ( P.Q.M.) – Lanfranco Mossini, presidente del Tribunale di Parma, invitava a scegliersi il “buon giudice”, senza badare ad altri aspetti del tutto accidentali, compresa l’indipendenza.
Insomma, l’indipendenza è funzione della capacità di giudicare, non viceversa: se uno è davvero capace di giudicare sarà anche indipendente, mentre costui potrebbe essere indipendentissimo e totalmente incapace di rendere giustizia: che farsene allora di questo giudice? Ma questo aspetto, che è fondamentale, viene del tutto taciuto, nessuno se ne interessa: paradossalmente, neppure i giudici, i primi che dovrebbero averlo a cuore e che di questo, soltanto di questo, dovrebbero discutere con Mattarella, non di altro. E che non lo facciano è un dramma del nostro tempo.
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