sabato 21 febbraio 2015

TREGUA TRA GRECIA E GERMANIA, MA LA SOLUZIONE ANCORA NON SI VEDE

 

Non era difficile da prevedere il compromesso raggiunto ieri  tra quelli dell'Eurogruppo e la Grecia. I sei mesi chiesti da Tsipras sono diventati quattro, ma il premier greco può dire al suo popolo che non si è piegato. Tutto risolto ? Niente affatto, tutto rimandato, con immagino la speranza che la crisi economica generale veramente si avvii a superamento in modo da rendere la situazione più abbordabile alla prossima scadenza. In attesa di questi tempi migliori che alcuni pensano debbano arrivare per un principio metereologico di alternanaza delle stagioni, si dovrebbero favorire le precondizioni per cui ritorni un periodo di crescita e di sviluppo,
i governanti spendono promesse in questo senso e qualcosa viene pure fatto, solo che appare sempre insufficiente.
Di seguito, il commento di Danilo Taino sulla tregua di ieri.
Buona Lettura



La prova di forza che va avanti
 

Non si discuteva solo di Grecia, alla riunione dell’Eurogruppo di ieri. Anzi, si discuteva soprattutto del futuro dell’Europa. L’accordo — per ora tutto politico — riflette dunque questa realtà. Permette al governo di Alexis Tsipras di dire ai suoi elettori di non avere perso. Consente alla Germania e agli altri partner dell’eurozona di sostenere che Atene non ha vinto. Si tratta di un equilibrio instabile
In sostanza, alla Grecia non saranno tagliati gli aiuti finanziari, prolungati per quattro mesi a partire da marzo: quindi la temuta uscita dall’euro per ora non ci sarà. In più, il governo ellenico di sinistra ottiene di introdurre un cuneo, almeno temporale, tra i prestiti che gli verranno effettuati e il programma di riforme e aggiustamenti finanziari che in cambio deve garantire (quello che i greci chiamano Memorandum).
Gli aiuti non arriveranno senza condizioni. Ma queste saranno dettagliate da lunedì: ciò che permetterà al premier e al suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis di sostenere che il vecchio programma è morto, come promesso in campagna elettorale. In realtà, un programma ci sarà, naturalmente: Atene non farà scelte «unilaterali» e indiscrezioni di fonte tedesca assicurano che «sarà per più del 70 per cento quello precedente» e dovrà rispettare «la quasi totalità» dei vecchi obiettivi. In più, a giudicare i nuovi contenuti saranno la Commissione Ue, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale (il gruppo che fino a pochi giorni fa veniva chiamato troika).
Berlino e le altre capitali potranno dire di non avere ceduto ad Atene. Non c’è riduzione del debito greco, riforme e controllo dei conti pubblici vanno avanti, nessuno prende denaro senza prendere anche impegni. Inoltre la prospettiva della Grexit è allontanata. Il timore di qualche governo europeo, impegnato in riforme profonde e dolorose, che una anche solo piccola vittoria greca potesse disorientare i suoi elettori (in Spagna, Irlanda, Portogallo) è ora forse meno intenso. Il punto centrale dell’opposizione, tedesca ma non solo, a gran parte delle richieste greche, infatti, non stava tanto in una rigidità preconcetta ma nel fatto che da una breccia aperta ad Atene nel muro anticrisi eretto negli scorsi cinque anni avrebbe poi potuto passare chiunque. Con esiti probabilmente fatali per l’euro .
Un accordo politico come quello raggiunto ieri sera presenta un forte rischio di instabilità. Già da lunedì si passerà finalmente ai contenuti. Sono due i punti chiave sui cui probabilmente il confronto sarà acceso — dicono a Berlino. Primo, le riforme strutturali che la Grecia deve ancora fare, soprattutto quella del mercato del lavoro promessa dal vecchio governo ma che quello nuovo intende disattendere. Secondo, il promesso surplus primario (prima degli interessi sui prestiti) che Atene vorrebbe ridurre per avere una maggiore agibilità di bilancio.
La prova di forza è tutt’altro che terminata, insomma. Per ora si è evitato che un confronto negoziale, segnato da elementi di irritazione e cattiveria, finisse con vincenti e perdenti: qualsiasi questi fossero stati, si sarebbe rischiato di mettere in moto una slavina disastrosa per tutta l’eurozona.

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