lunedì 30 marzo 2015

"IO, LINCIATO PER AVER ASSOLTO AMANDA E RAFFAELE, AVEVO RAGIONE". PARLA IL PRESIDENTE DELLA CORTE D'APPELLO D'ASSISE DI PERUGIA

Caso Kercher, dopo l'assoluzione Sollecito attacca: "Come liberato da un sequestro. Ora torno alla vita"

Come la penso sulla conclusione del processo contro Amanda e Raffaele Sollecito, l'ho ampiamente espresso in un post che è stato assai letto e anche apprezzato da persone che stimo molto (http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/03/lassoluzione-di-amanda-e-raffaele-il.html ).
Non ci torno quindi su. Trovo invece importante dare evidenza all'intervista che Meo Ponte di Repubblica - credo tra l'altro un "colpevolista" - fa al Dr.  Claudio Pratillo Hellmann, presidente della Corte d'Appello d'Assise di Perugia, a suo tempo "reo" per aver assolto, lui con i suoi giudici, i due ragazzi, e per questo oggetto non solo di un vergognoso linciaggio verbale - in piazza e sui media - ma anche della inqualificabile ostilità dei colleghi, che evidentemente vivono come un torto personale il fatto che non vengano accolte le tesi dell'accusa. E questo, sottolinea bene il Maestro Battista, è uno dei tanti validi motivi per cui l'Unione Camere Penali, ma i garantisti e i fautori del "giusto processo" in genere, perorano da sempre, ahinoi inutilmente, la separazione della carriere tra giudici e pubblici ministeri.
Non è un caso isolato. Anche la giudice Concetta Locurto, relatrice del cd. processo Ruby, che assolse in appello Berlusconi (sentenza di recente confermata in via definitiva dalla Cassazione), fu sottoposta allo stesso atteggiamento di riprovazione da parte dei colleghi, tanto da prendere "carta e penna" e cantargliene quattro a lor signori. Ché, alla fine, la gente delle piazze televisive, nutrita a spazzatura da trasmissioni tipo Chi l'ha Visto, Quarto grado et similia, si può pure capire, anche se col mal di stomaco.  Ma quelli che il diritto dovrebbero conoscerlo abbastanza da non comportarsi come tifosi al bar ? 
Altra domanda, da fare a Sabelli e al suo sindacato : perché la sentenza "giusta" è solo quella che condanna ? 

Da leggere con attenzione


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Intervista al Presidente della Corte di Appello di Perugia che assolse Amando Knox e Raffaele Sollecito
"Io, giudice linciato per aver creduto all'innocenza di Amanda Knox"
  

MEO PONTE

L’ ASSOLUZIONE di Amanda Knox e Raffaele Sollecito da parte della Corte di Cassazione? Non è soltanto la soddisfazione per il riconoscimento implicito della validità della sentenza emessa a suo tempo dalla corte che presiedevo, ma è soprattutto la fine di una grande sofferenza. Per tre anni e mezzo ho sofferto per la sorte di due ragazzi che ritenevo innocenti e che rischiavano di scontare una pena durissima per un delitto che non avevano commesso».
 Claudio Pratillo Hellmann, 72 anni, nel 2011 presiedeva la Corte d'Appello di Perugia che assolse Amanda e Raffaele e da allora è in pensione.
Come mai lasciò la magistratura proprio dopo quel verdetto?
«Praticamente fui costretto. La nostra decisione fu accolta con reazioni di sdegno. Ricordo ancora i fischi e le urla di una claque che si era radunata la sera del verdetto davanti al tribunale. Dal giorno dopo mi sentii circondato da un'ostilità crescente.
Nei bar di Perugia dicevano che mi ero venduto agli americani, che avevo ceduto alla pressioni della Cia. Panzane, certo, ma quello che mi ha colpito di più del linciaggio diffamatorio durato per anni fu la reazione dei colleghi magistrati. Quasi tutti mi tolsero il saluto. In particolare quelli che a diverso titolo erano stati coinvolti nella
vicenda.
Mi resi conto che quella della mia Corte era stata una voce fuori dal coro in un tribunale dove tutti i giudici, a partire dal gup per arrivare a quelli dei diversi Riesami, pur criticando l'inchiesta, avevano avallato l'accusa. In più ero in predicato per la presidente del Tribunale del Tribunale e naturalmente quella carica venne
assegnata ad un altro collega sicuramente degnissimo ma qualche sospetto che si trattasse di una ritorsione mi venne.
Sei mesi dopo la sentenza quindi decisi di andare in pensione».
Che cosa la convinse dell'innocenza di Amanda e Raffaele?
«Il fatto che l'indagine era del tutto lacunosa e secondo me sbagliata sin dall'inizio. Tanto è vero che in primo momento fu arrestato Patrick Lumumba che poi risultò del tutto estraneo alla vicenda diventando parte lesa. Ricordo che il collega Massimo Zanetti che presiedeva la Corte con me aprì la sua relazione dicendo che di certo c'era solo la morte di Meredith Kercher. Ordinammo le perizie che non erano state fatte durante il processo di primo grado e la contaminazione delle prove scientifiche apparve in tutta evidenza. Era palese che il coltello sequestrato a casa di Raffaele Sollecito non era l'arma del delitto, la lama non combaciava con la ferita.
In più mi sono sempre chiesto perché dovevano per forza essere state tre persone ad uccidere la povera Meredith e veniva invece scartata a priori la possibilità che potesse essere stato soltanto Rudy Guede».
L'unico ora ad essere condannato per l'omicidio...
«E soprattutto l'unico a sapere che cosa è davvero accaduto quella notte invia Della Pergola e chi c'era con lui, se c'era qualcuno.
Abbiamo provato a farglielo dire ma quando venne nella nostra aula, alla precisa domanda se riconoscesse Amanda e Raffaele lui rispose fumosamente che aveva sempre pensato che gli assassini fossero loro. E mi ha sempre sorpreso il riguardo con cui era stato trattato nonostante fosse l'unico la cui presenza sulla scena del crimine
fosse indiscutibile».
Che cosa provò quando la Corte di Cassazione annullò la sua sentenza di assoluzione?
«Sgomento, soprattutto. La mia corte aveva cercato di capire davvero chi avesse ucciso Meredith, senza lasciarsi intrappolare dai pregiudizi o da tesi precostituite.
Avevamo assolto quei due ragazzi perché il dibattimento aveva dimostrato che non c'erano prove della loro partecipazione al delitto. Naturalmente quella decisione rinfocolò la campagna diffamatoria nei miei confronti e ritornarono in circolo le voci che fossi stato assoldato dagli Stati Uniti per liberare Amanda».
E quando il secondo processo di appello a Firenze li condannò entrambi nuovamente?
«Rimasi perplesso. Non riuscivo a capire come avessero potuto farlo dato che dal dibattimento non era emerso nulla di nuovo. Avevano cambiato il movente ma si trattava ancora di una supposizione e non di un dato di fatto. Avevano ordinato anche li una perizia scientifica sul coltello che aveva avuto sostanzialmente la stessa conclusione
della nostra. Mi chiedo ancora come fecero ad arrivare ad una condanna».

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