Per ora, intanto, la notizia
le motivazioni della sentenza
Garlasco: «Stasi ha ucciso Chiara perché era diventata pericolosa»
Per la Corte d’appello sarebbe stata una presenza «scomoda» che avrebbe rovinato la figura del «ragazzo perbene e studente modello». «Lei si fidava del suo visitatore»
Alberto Stasi (Ansa)
«Alberto
Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata che evidentemente era
diventata, per motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e
scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo
“perbene” e studente “modello”, da tutti concordemente apprezzato». Lo
scrivono i giudici della Corte d’appello di Milano nelle motivazioni
alla sentenza con cui hanno condannato a 16 anni di carcere Alberto
Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi (era stato assolto in primo e
secondo grado e poi la Cassazione aveva ordinato un nuovo Appello). «La
dinamica dell’aggressione evidenzia come Chiara non abbia avuto nemmeno
il tempo di reagire, dato questo che pesa come un macigno (...) sulla
persona con cui era in maggior e quotidiana intimità», si legge nelle
motivazioni. E ancora: «Chiara è rimasta del tutto inerme» di fronte al
suo aggressore. «Era così tranquilla, aveva così fiducia nel visitatore
da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza
alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà».
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«Motivazione forte»
Sempre
per i giudici, è stata una «motivazione forte» che ha «provocato (..)
il raptus omicida» che ha portato Alberto Stasi ad uccidere Chiara
Poggi, la sua fidanzata con cui aveva «qualche difficoltà». I giudici,
pur sostenendo che «il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto»,
ipotizzano che la scoperta di Chiara della «passione» di Alberto «per la
pornografia» avrebbe potuto «provocare discussioni, anche con una
fidanzata “di larghe vedute”». Secondo i giudici le modalità
dell’aggressione «indicono ad individuare l’esistenza di un “pregresso”
tra vittima e aggressore, tale da scatenare un comportamento violento da
parte di quest’ultimo, evidentemente sorretto da una motivazione
“forte”, che ha provocato in quel momento il raptus omicida, portato
fino alle estreme conseguenze». Una motivazione, è il parere della
Corte, per cui l’assassino il 13 agosto 2007 di prima mattina si è
recato a casa di Chiara «forse per ottenere o fornire spiegazioni
verbali, che al contrario hanno fatto sì che lo stesso si vedesse
“costretto” ad aggredire la vittima e ad “eliminarla” lanciandola giù
dalle scale» «Si può quindi sostenere - proseguono le motivazioni - che
anche se il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto, ancora una
volta è la “scena del crimine” ad individuarlo in quel rapporto “di
intimità scatenante una emotività” che non può che appartenere ad un
soggetto particolarmente legato alla vittima».
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Freddezza ed errori nelle indagini
Alberto Stasi «dopo aver commesso il delitto (...) è riuscito con
abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione, e a
fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle
di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati
porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto». Lo si legge
nelle motivazioni. Secondo i giudici poi ci sarebbero stati molti
errori nelle indagini sul delitto di Garlasco, avvenuto il 13 agosto
2007, quando Chiara Poggi venne uccisa nella sua abitazione di via
Pascoli. «La Corte ha preso atto delle molte criticità di alcuni degli
accertamenti svolti, riconducibili a errori e negligenze anche gravi, —
si legge nelle motivazioni alla sentenza — e non solo all’inesperienza
degli inquirenti: (...) ma non si può negare che in molte occasioni sia
stato proprio l’imputato (personalmente e non solo) ad indirizzare e a
ritardare le indagini in modo determinante e a sé favorevole (quindi
sostanzialmente fuorviante)». «Quella che la difesa — proseguono i
giudici — ha descritto come una condotta di “massima disponibilità” da
sempre mostrata da Stasi in questo processo, è infatti suscettibile di
una diversa lettura (...) tale atteggiamento, insieme al tempo trascorso
dai fatti che ha poi irrimediabilmente compromesso o reso impossibili
alcuni accertamenti, ha avuto effetti positivi soltanto per l’imputato,
assolto sia in primo che in secondo grado».
«Chiara unica vittima»
Secondo
i giudici della Corte d’appello di Milano la «sola vittima» della
vicenda di Garlasco «è Chiara Poggi, uccisa a 25 anni dall’uomo di cui
si fidava e a cui voleva bene, che l’ha fatta definitivamente
“scomparire” in fondo alle scale». I giudici rispondono così alla difesa
dell’ex studente bocconiano che «ha descritto l’imputato come la
vittima di un caso giudiziario che lo ha costretto per oltre sette anni a
doversi difendere, e anche lui, nelle dichiarazioni spontanee rese
all’udienza del 17 dicembre, ha parlato di sé in tali termini,
sostenendo un vero e proprio accanimento nei suoi confronti».
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La bicicletta di Stasi
I tappetini, i pedali e il dispenser
Dalle
motivazioni alla sentenza si evince che uno degli elementi cruciali
per il Collegio è stata la perizia sul tappetino della Golf a bordo
della quale l’imputato si recò da casa sua alla caserma dei carabinieri
di Garlasco. Questo studio ha, secondo i magistrati, escluso «il
passaggio di Stasi dal luogo del delitto nei termini da lui forniti». In
particolare i risultati della perizia «escludono altresì che tale
passaggio possa essere avvenuto senza il trasferimento di sangue sulle
sue scarpe prima e sui tappetini dell’auto poi (la cui positività al
Luminol è stata indicata permanere anche a distanza di molti giorni)».
Tra gli elementi di novità valorizzati dai giudici c’è anche «la
presenza di notevole quantitativo (il dato quantitativo è pacificamente
ammesso anche dai periti del primo grado) di dna della vittima
sull’unica componente della bicicletta Umberto Dei, modello Giubileo,
dissonante rispetto a tutte le altre sue componenti». Inoltre,
l’individuazione delle impronte digitali di Alberto Stasi sul dispenser
del sapone nel bagno della villa dei Poggi e non quelle di altre persone
o «di Chiara o dei suoi familiari» e il dato del «sicuro lavaggio delle
mani da parte dell’assassino (...)» ha portato la Corte d’Assiste
d’Appello ad attribuire «una indubbia e più forte valenza probatoria
alle uniche due impronte rilevate, che appartengono all’imputato».
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