lunedì 16 marzo 2015

PERCHE' STASI E' COLPEVOLE. LE MOTIVAZIONI ( NON CONVINCENTI) DELLA CORTE D'APPELLO DI MILANO

Oggi non ho tempo da dedicare al commento delle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello che ha condannato Alberto Stasi per l'omicidio di Chiara Poggi, dopo che due altre corti in precedenza lo avevano assolto. Mi limito per il momento a dire che la sintesi di queste riportate dal Corriere della Sera on line non mi suonano convincenti. Ma prometto di approfondire.
Per ora, intanto, la notizia 


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Garlasco: «Stasi ha ucciso Chiara perché era diventata pericolosa»

Per la Corte d’appello sarebbe stata una presenza «scomoda» che avrebbe rovinato la figura del «ragazzo perbene e studente modello». «Lei si fidava del suo visitatore»

di Redazione Milano online


Alberto Stasi (Ansa) Alberto Stasi (Ansa)

«Alberto Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata che evidentemente era diventata, per motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo “perbene” e studente “modello”, da tutti concordemente apprezzato». Lo scrivono i giudici della Corte d’appello di Milano nelle motivazioni alla sentenza con cui hanno condannato a 16 anni di carcere Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi (era stato assolto in primo e secondo grado e poi la Cassazione aveva ordinato un nuovo Appello). «La dinamica dell’aggressione evidenzia come Chiara non abbia avuto nemmeno il tempo di reagire, dato questo che pesa come un macigno (...) sulla persona con cui era in maggior e quotidiana intimità», si legge nelle motivazioni. E ancora: «Chiara è rimasta del tutto inerme» di fronte al suo aggressore. «Era così tranquilla, aveva così fiducia nel visitatore da non fare assolutamente niente, tanto da venire massacrata senza alcuna fatica, oltre che senza alcuna pietà».

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«Motivazione forte»
Sempre per i giudici, è stata una «motivazione forte» che ha «provocato (..) il raptus omicida» che ha portato Alberto Stasi ad uccidere Chiara Poggi, la sua fidanzata con cui aveva «qualche difficoltà». I giudici, pur sostenendo che «il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto», ipotizzano che la scoperta di Chiara della «passione» di Alberto «per la pornografia» avrebbe potuto «provocare discussioni, anche con una fidanzata “di larghe vedute”». Secondo i giudici le modalità dell’aggressione «indicono ad individuare l’esistenza di un “pregresso” tra vittima e aggressore, tale da scatenare un comportamento violento da parte di quest’ultimo, evidentemente sorretto da una motivazione “forte”, che ha provocato in quel momento il raptus omicida, portato fino alle estreme conseguenze». Una motivazione, è il parere della Corte, per cui l’assassino il 13 agosto 2007 di prima mattina si è recato a casa di Chiara «forse per ottenere o fornire spiegazioni verbali, che al contrario hanno fatto sì che lo stesso si vedesse “costretto” ad aggredire la vittima e ad “eliminarla” lanciandola giù dalle scale» «Si può quindi sostenere - proseguono le motivazioni - che anche se il movente dell’omicidio è rimasto sconosciuto, ancora una volta è la “scena del crimine” ad individuarlo in quel rapporto “di intimità scatenante una emotività” che non può che appartenere ad un soggetto particolarmente legato alla vittima».

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Freddezza ed errori nelle indagini
Alberto Stasi «dopo aver commesso il delitto (...) è riuscito con abilità e freddezza a riprendere in mano la situazione, e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto». Lo si legge nelle motivazioni. Secondo i giudici poi ci sarebbero stati molti errori nelle indagini sul delitto di Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007, quando Chiara Poggi venne uccisa nella sua abitazione di via Pascoli. «La Corte ha preso atto delle molte criticità di alcuni degli accertamenti svolti, riconducibili a errori e negligenze anche gravi, — si legge nelle motivazioni alla sentenza — e non solo all’inesperienza degli inquirenti: (...) ma non si può negare che in molte occasioni sia stato proprio l’imputato (personalmente e non solo) ad indirizzare e a ritardare le indagini in modo determinante e a sé favorevole (quindi sostanzialmente fuorviante)». «Quella che la difesa — proseguono i giudici — ha descritto come una condotta di “massima disponibilità” da sempre mostrata da Stasi in questo processo, è infatti suscettibile di una diversa lettura (...) tale atteggiamento, insieme al tempo trascorso dai fatti che ha poi irrimediabilmente compromesso o reso impossibili alcuni accertamenti, ha avuto effetti positivi soltanto per l’imputato, assolto sia in primo che in secondo grado».


«Chiara unica vittima»
Secondo i giudici della Corte d’appello di Milano la «sola vittima» della vicenda di Garlasco «è Chiara Poggi, uccisa a 25 anni dall’uomo di cui si fidava e a cui voleva bene, che l’ha fatta definitivamente “scomparire” in fondo alle scale». I giudici rispondono così alla difesa dell’ex studente bocconiano che «ha descritto l’imputato come la vittima di un caso giudiziario che lo ha costretto per oltre sette anni a doversi difendere, e anche lui, nelle dichiarazioni spontanee rese all’udienza del 17 dicembre, ha parlato di sé in tali termini, sostenendo un vero e proprio accanimento nei suoi confronti».

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La bicicletta di Stasi

I tappetini, i pedali e il dispenser
Dalle motivazioni alla sentenza si evince che uno degli elementi cruciali per il Collegio è stata la perizia sul tappetino della Golf a bordo della quale l’imputato si recò da casa sua alla caserma dei carabinieri di Garlasco. Questo studio ha, secondo i magistrati, escluso «il passaggio di Stasi dal luogo del delitto nei termini da lui forniti». In particolare i risultati della perizia «escludono altresì che tale passaggio possa essere avvenuto senza il trasferimento di sangue sulle sue scarpe prima e sui tappetini dell’auto poi (la cui positività al Luminol è stata indicata permanere anche a distanza di molti giorni)». Tra gli elementi di novità valorizzati dai giudici c’è anche «la presenza di notevole quantitativo (il dato quantitativo è pacificamente ammesso anche dai periti del primo grado) di dna della vittima sull’unica componente della bicicletta Umberto Dei, modello Giubileo, dissonante rispetto a tutte le altre sue componenti». Inoltre, l’individuazione delle impronte digitali di Alberto Stasi sul dispenser del sapone nel bagno della villa dei Poggi e non quelle di altre persone o «di Chiara o dei suoi familiari» e il dato del «sicuro lavaggio delle mani da parte dell’assassino (...)» ha portato la Corte d’Assiste d’Appello ad attribuire «una indubbia e più forte valenza probatoria alle uniche due impronte rilevate, che appartengono all’imputato».

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