mercoledì 29 aprile 2015

IMPUTATI UMILIATI, RESPONSABILI IMPUNITI



Ho trovato giuste e anche espresse in modo bello,  coinvolgente, le considerazioni di Goffredo Buccini, sul Corriere della Sera, in ordine alla vergognosa (parola di cui non abuso, facendolo fin troppo altri, per cui vuol dire che la cosa è grave)  messa in onda delle immagini dell'arresto di Massimo Bossetti. Come osserva lo scrittore, si tratta di un'abuso inammissibile anche nel caso si trattasse del sicuro responsabile della morte di Yara Gambirasio. 
Figuriamoci a questo stadio, dove la Costituzione ci impone (imporrebbe meglio) di ritenere Bossetti NON colpevole del reato imputatogli. Naturalmente di questa violazione delle norme (lasciamo perdere i principi di civiltà e semplice umanità), nessuno risponderà.
Funziona così.
Ah, poi capitano anche quelle volte che l'ammanettato, e colpevole per tutti, o quasi, finisca per essere dichiarato innocente.
Lo ricordate Tortora vero ? Naturalmente, per mia madre, era colpevole (devo dire che se ne crucciava molto, non se l'aspettava che fosse un camorrista...infatti NON lo era).
Buona Lettura 




Mostrare le immagini di Bossetti in manette 
Una inutile umiliazione 
 


Per una volta, partiamo dalla presunzione di colpevolezza. Proviamo a immaginare qui e ora, contro le garanzie costituzionali dovute a qualsiasi imputato sino a sentenza definitiva, che Massimo Giuseppe Bossetti sia senz’altro l’assassino di Yara Gambirasio. È del resto opinione condivisa. Alzi la mano chi pensa che il muratore di Mapello, incastrato dal Dna (solo nucleare) e appena rinviato a giudizio, non abbia ammazzato la piccola ginnasta di Brembate. Dunque abbiamo un mostro (non presunto, ricordate? Qui anzi ne presumiamo la colpevolezza) che s’è macchiato del reato più infame, contro una bambina. Un dissimulatore che possiamo perfino detestare. E, tuttavia, le immagini diffuse in tv l’altro giorno sul suo arresto nel cantiere di Seriate a giugno 2014 toccano dentro di noi una corda, lo vogliamo o no. Quell’uomo (un uomo, sì) fatto inginocchiare e ammanettato su un ponteggio braccia dietro la schiena, l’uomo cui sfilano gli stivali e che chiede «un po’ d’acqua per favore», si riappropria, ci piaccia o meno, della sua umanità, un po’ come accade in scala ben maggiore ai tiranni caduti. E ci mette in crisi. Non solo perché — come ricordano le Camere penali — la legge prescrive il rispetto della dignità degli arrestati (mostri compresi) almeno dall’immagine infame degli schiavettoni a Enzo Carra in avanti. Ma perché l’umiliazione del reo umilia il processo in sé, lo riduce a rito tribale, è un affronto alle stesse vittime e parti lese. Quelle immagini, divulgate da qualche investigatore ma pubblicate da giornalisti (con la stessa disinvoltura con cui si pubblicano intercettazioni privatissime aprendo così una disputa politica dove basterebbe un po’ di sana deontologia), ci costringono a un’empatia che non vorremmo. E, ahinoi, ci insinuano persino una questione più subdola. Provate a rovesciare lo schema dialettico di queste righe.  
E a supporre, solo per un attimo e per amor di Costituzione, che quel colpevole da zoo possa essere, addirittura, innocente.

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