martedì 14 luglio 2015

ALESINA E GIAVAZZI DANNO I NUMERI. SULLA GRECIA




Dotatomi da poco tempo di MP3 , passeggiando da casa a studio, mi capita di sintonizzarmi su Radio Radio, frequenza che ha il pregio, alle mie orecchie, di non ospitare capi del tifo giallorosso...
QUando resto sintonizzato - raramente - sento l'inizio della trasmissione "un giorno speciale" che da un po' è condotta da Stefano Molinari (prima c'era Francesco Vergovich, e francamente mi sembrava migliore, più equilibrato), voce storica della radio in questione. Il personaggio non mi è antipatico, ancorché mi accorga di condividere quasi mai le sue idee (del resto, il suo essere un evidente simpatizzante ortottero non poteva portare a conclusioni diverse). Il problema non è però come la pensa - in realtà mi vanto che non lo sia quasi mai, dal mio punto di vista - ma il COME sostenga il suo pensiero. Approfittando che il microfono alla fine ce l'ha lui, quando gli interlocutori ospitati sono lontani dalle sue convinzioni, diventa prepotente, interrompendoli o ironizzando di sottofondo alle loro affermazioni. Una cosa non simpatica.
Uno dei temi a lui cari è l'accusa alla Germania di aver sostituito l'arma finanziaria a quella militare che non l'aveva portata al successo nelle due guerre mondiali, ribadendo la sua vocazione  egemonica sull'Europa. 
Non è certo l'unico a sostenere questa tesi, ma ripeto, la cosa che mi disturba sono i toni perentori ed assoluti che usa.
Oggi, ovviamente avvelenato dalla resa di Tsipras - per altro lautamente compensata : 80 miliardi nuovi...- agli aguzzini teutonici e loro alleati, Molinari sproloquiava difendendo il Debito come strumento di difesa dello Stato Sociale - il che accade, ma non è un circuito virtuoso...dovrebbero essere le tasse dei cittadini a pagare il welfare, e se quei soldi non sono sufficienti, bisognerebbe, in primis, cercare di renderlo più efficiente, in modo da eleminare sprechi e recuperare risorse ( stiamo parlando di varie decine di miliardi, secondo tutti gli esperti, da Bondi a Cottarelli,  che si sono succeduti in materia di Spending Review nazionale), e in secundis  ridimensionarlo perché non ce lo si può permettere. Viceversa per il conduttore si parte dalla NECESSITA'. Certe cose sono necessarie, quindi si devono fare e se non si hanno soldi ci si indebita.
In effetti è quello che in occidente (e non solo ) si fa, ma ci dicono che oltre una certa soglia non si può, perché non si trova più chi i soldi li presta, e stamparli semplicemente porta, in poco tempo, a far perdere valore al denaro ( il filone di pane per un miliardo di marchi della repubblica di Weimar....).
Alesina e Giavazzi danno i numeri...che spiegano perché i greci - e Molinari - non hanno ragione ( il che non vuol dire che i tedeschi abbiano ragione. L'europa così non può andare avanti, su questo pochi dubbi).
Buona Lettura


Ideologie e numeri

di Alberto Alesina
e Francesco Giavazzi



Le discussioni sul caso greco sempre più riflettono ideologia e stereotipi, un approccio che certo non aiuta a capire che cosa sia davvero accaduto. Alcuni numeri forse possono servire. Nel 1995 il reddito pro capite greco era il 66 per cento di quello tedesco. Nel 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi finanziaria mondiale, era l’80,5 per cento (Commissione europea, Statistical Annex, primavera 2015). Un risultato straordinario — pochi Paesi riescono ad arricchirsi tanto rapidamente — e che dovrebbe imbarazzarci: nello stesso periodo l’Italia anziché guadagnare posizioni rispetto alla Germania ne ha perse, arretrando (sempre in termini di reddito pro capite) dal 95 al 90 per cento. Nei primi anni, fino al 2005, l’aumento del reddito pro capite greco è stato sostenuto da una crescita della produttività dell’economia, che aumentava di circa il 2 per cento l’anno, oltre il doppio della crescita della produttività tedesca. Tutto cambia dopo il 2005 quando la produttività inizia a scendere, perdendo mezzo punto l’anno fra il 2005 e il 2010.


Maggior reddito senza un corrispondente aumento della produttività si può ottenere solo indebitandosi. E infatti fra il 2000 e il 2010, l’anno del primo salvataggio, la Grecia ha speso ogni hanno (a debito) oltre il 10 per cento in più di ciò che produceva. Il risultato è che in quel periodo il debito salì dal 100 al 146 per cento del Pil. Insomma quegli anni sono stati per molti greci una grandiosa festa di consumi e di vacanze (pensionamenti a cinquantenni). Se quei prestiti fossero invece stati impiegati in investimenti produttivi, e ci fosse stata qualche liberalizzazione, oggi la Grecia sarebbe in grado di ripagarli e il reddito pro capite sarebbe ben piu alto di quello che è. Invece sono stati spesi in consumi, privati (grazie ad un’evasione fiscale endemica dei ricchi) e soprattutto pubblici. 

 
Anche le Olimpiadi del 2004 hanno contribuito, ma per una quota minore: 11 miliardi di euro, un quinto del debito contratto negli anni precedenti le Olimpiadi. E chiusi i Giochi, che nessuno obbligò la Grecia ad organizzare, il Paese ha continuato imperterrito a indebitarsi. È vero che la Grecia ha una spesa militare elevata (più dell’Italia e della Germania, ma meno di Francia e Regno Unito in rapporto al Pil), che in parte va in acquisti di materiale militare all’estero. Ma nel 2009, ad esempio, a fronte di un indebitamento complessivo di 36 miliardi di euro le importazioni di materiale militare furono (solo) 2 miliardi: un quarto dalla Germania, un quarto dalla Francia, il resto dagli Stati Uniti.
Dal 2010, il costo della crisi è stato molto elevato. Il reddito pro capite, che come detto aveva raggiunto oltre l’80 per cento di quello tedesco, è oggi arretrato al 60, inferiore persino al livello del 1980, l’anno prima che la Grecia entrasse nell’Unione Europea. Sarebbe stato meglio fare default totale (non parziale come accadde) e uscire dall’euro allora? Forse, ma non lo sapremo mai con certezza. La Grecia è un’economia molto chiusa: esporta non più del 25 per cento di quanto produce contro il 30 per cento dell’Italia e il 45 per cento della Germania.
La svalutazione, anche se non si fosse tradotta tutta in maggiore inflazione, avrebbe aiutato meno che altrove.
Le ripercussioni finanziarie sulle banche, sul credito e quindi sull’economia di un default e di un’uscita dall’euro erano imprevedibili. Il pericolo di contagio nel 2010 era altissimo, ricordiamoci i tassi al 6-7 per cento sul debito italiano che pagavamo nel 2011. Quei tassi costrinsero il governo Monti a politiche di austerità urgenti che si tradussero (purtroppo) in un aumento di imposte. Un contagio generalizzato poteva innescare una seconda crisi finanziaria.
Certo dal 2010 ad oggi la Grecia ha pagato caro i suoi errori. Ma un luogo comune (sbagliato) è che la Grecia in questi ultimi anni sia stata soffocata dal peso degli interessi sul debito. Dal 2010 al 2014 la Grecia ha continuato a ricevere dai Paesi europei, dalla Bce e dal Fondo monetario un flusso netto positivo di aiuti, cioè più denaro di quanto dovesse pagarne in interessi sul suo debito estero (Ken Rogoff e Jeremy Bulow, www.vox.eu). Solo quest’anno, dopo che Tsipras ha arrestato il processo di riforme, il flusso netto è diventato negativo. E con esso la crescita. Dopo anni di recessione la Grecia nel 2014 aveva ricominciato a crescere: quest’anno il segno è di nuovo negativo.
Questi sono i numeri. Il resto è ideologia e politica. Se la Grecia geograficamente si trovasse al posto del Portogallo, anziché nel mezzo del Mediterraneo fra Siria e Turchia, sarebbe già fuori dall’euro. Conoscendo bene la geografia politica Tsipras l’ha usata per cercare di ricattare l’Europa. Gli è andata male. Se farà quanto domenica notte si è impegnato a fare è improbabile che il suo governo sopravviva. La Grecia forse sì, se un altro governo ci riuscirà. In quel piano ci sono quasi tutte le riforme che da anni il Paese avrebbe dovuto fare e non ha mai fatto, dalle liberalizzazioni alle privatizzazioni (il cui ricavato verrà destinato ad un fondo speciale sotto il controllo dei creditori, in modo che i greci non possano spenderlo) alla riforma del sistema fiscale e della giustizia civile. C’è anche la promessa implicita, dei creditori, ad allungare la scadenza del debito e ridurne gli interessi, cioè a tagliarlo significativamente.
Funzionerà tutto questo o tra sei mesi saremo al punto di oggi? Il risultato del referendum del 5 luglio non lascia ben sperare, ma stiamo a vedere.

1 commento:

  1. caro ultimo camerlengo, mi sono imbattuto per caso nella sua pagina web e ho letto il suo commento sulla grecia, molinari, giavazzi. vorrei dirle che condivido le sue osservazioni sulla grecia e su molinari.Vivo all'estero e quando torno in italia, per una serie di motivi, sono portato ad accendere la radio e dopo un paio di giorni trovo le trasmissioni radiofoniche romane insopportabili. In cima a questa graduatoria balza immediatamente radio radio e molinari. un caro saluto.

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