venerdì 21 agosto 2015

IN ATENE A SETTEMBRE SI TORNA ALLE URNE. SO' FISSATI QUESTI CON LA DEMOCRAZIA !!

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Certo 'sti greci so' proprio strani !  Quando nel loro parlamento la maggioranza uscita dalle urne si sfalda che fanno ? Tornano a votare !!
Ma si può ?? E la governabilità ? E l'economia ?
Dicono che è democrazia. In fondo Tsipras le elezioni le aveva vinte con un programma pieno di orgogliosi OKI  (NO) alla troika, all'Europa dell'austerità, aveva per questo messo al ministero dell'economia un marxista duro e puro come Varoufakis.
Poi sappiamo com'è andata. Alla fine di mesi di estenuanti e durissime trattative, dopo un referendum voluto per piegare la "protervia" tedesca e dei suoi alleati, Tsipras ha finito per accettare un piano di riforme PIU' DURO di quello che c'era sul tavolo a febbraio 2015 o anche alla vigilia del voto popolare.
Non solo, Varoufakis si è dimesso per "favorire" l'intesa, che poi ha, comprensibilmente, dal suo punto di vista, condannato, altri ministri se ne sono andati, loro sponte o meno, dopo che Tsipras si era arreso alla realtà delle casse vuote.
Syriza è sull'orlo della scissione, e il piano di riforme è stato approvato da una maggioranza diversa da quella elettorale, che semplicemente non c'è più, con il soccorso dei moderati e dei centristi.
Basta tutto questo per tornare al voto ? Per me ne avanza !
In Italia no. NIENTE è rimasto delle elezioni del febbraio 2013, e il fatto che Renzi, che in quella tornata non si presentò nemmeno come semplice candidato parlamentare, oggi sia il premier è la sintesi perfetta di questa giravolta di 180 gradi rispetto a quella che fu la volontà popolare.
Su 900 eletti, tra deputati e senatori, un terzo (!!??) circa ha cambiato camiseta, Monti e Scelta Civica non ci sono praticamente più, Bersani è marginalizzato, Letta in auto esilio in Francia. Forza Italia ha prima visto la scissione di quelli del nuovo centro destra (ora, per darsi coraggio, uniti in Area Popolare con i superstiti dell'UCD di Casini) di Alfano, ora di Fitto e di Verdini. Come prevedibile, parecchi ortotteri sono usciti, espulsi o volontariamente, dal M5S per indisciplina al Capo (solo grazie al quale sono entrati in Parlamento..., che da soli forse i voti dei parenti stretti avrebbero preso). L'unico collante vero della legislatura, la paura dei poltronati di perdere la sedia a causa di elezioni anticipate. 
Era, tristemente, già successo con Prodi (che resse così dal 2006 al 2008) e con l'ultimo governo Berlusconi, annaspante fino al novembre 2011 quando in Europa decisero che era ora di farla finita con il Cav, riottoso verso l'austerità reclamata.
Vedere i salti mortali di Renzino e i suoi ventriloqui (Serracchiani, Boschi e compagnia cantante) per racimolare "responsabili" che, di volta in volta, garantiscono il superamento delle varie strozzature legislative, non è un bello spettacolo. L'uomo dovrebbe avere l'umiltà democratica di : 1) trovare un'alleanza vera e possibilmente stabile per portare a termine la legislatura (siamo a metà ) 2) fare come Tsipras.
Continuerà come adesso.





Il Corriere della Sera - Digital Edition

Le forzature (e le giravolte) di UN PREMIER


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 Il premier greco ha fretta di rafforzare la maggioranza prima che l’austerità cominci a mordere.
di Federico Fubini

È la seconda volta in meno di un anno che Alexis Tsipras forza la mano e porta la Grecia al voto anticipato: la prima fu a novembre scorso, quando l’attuale premier greco respinse ogni compromesso con Antonis Samaras, il suo predecessore di centrodestra, sulla nomina del presidente della Repubblica. Ed è la terza volta che Tsipras nel 2015 manda i greci alle urne per chiedere loro se davvero intendono affrontare un difficile programma di riforme concordato con l’Europa.
Solo che adesso la scena si gira al rovescio. È come se il leader vedesse l’immagine del se stesso di prima riflessa in uno specchio: come se guardasse il rivoluzionario che è stato, ma non volesse riconoscerlo fino in fondo.
La prima volta l’attuale premier di Atene aveva forzato le elezioni con l’obiettivo di saltare le intese in vigore con i governi creditori. La seconda, meno di due mesi fa, aveva chiesto ai greci un «grande No» all’accordo che lui stesso aveva negoziato per cinque mesi. La terza volta invece, dimettendosi ieri, Tsipras induce un voto anticipato che equivale a un referendum per dire «Sì» a compromesso più duro di quello che ha già respinto e più pesante di quello che avrebbe potuto strappare a febbraio scorso, se solo ci avesse provato. Adesso lo stesso Tsipras che condusse una campagna per far saltare quei patti, dovrà battersi per salvare questo e così anche il suo Paese.
È tutto perfettamente logico, per molte ragioni. È normale che il premier torni agli elettori dopo aver perso per strada la sua maggioranza: nell’ultimo voto in Parlamento sul pacchetto di riforme in cambio di 86 miliardi di aiuti europei, Tsipras aveva strappato un via libera solo grazie alle opposizioni centriste. Fra i deputati della maggioranza di sinistra e destra radicali, in un emiciclo di 300 seggi, lo avevano sostenuto in meno di 120. Ed è comprensibile che Tsipras abbia fretta di rafforzarsi nelle urne prima che gli aumenti delle tasse o dell’età della pensione, mordano ancora di più sulla società greca.
Oggi il premier è ancora popolare, domani chissà. Gli ultimi sondaggi danno Syriza, il suo partito, attorno al 39% dei consensi e lui stesso al 61%: per il leader di Atene si presenta un’occasione unica di strappare il pieno controllo del partito e del gruppo parlamentare, liberandosi dell’opposizione interna contraria alla permanenza della Grecia nell’euro. «Piattaforma di sinistra», l’ala radicale guidata dall’ex ministro Panagiotis Lafazanis, ha già avviato la scissione da Syriza ma nei primi sondaggi informali viene accreditata appena di un 5-7%. E in caso di voto anticipato la legge permette a tutti i capi partito di selezionare liste bloccate, quindi di fatto di mandare in Parlamento chi vogliono loro: deputati nominati e legati ai leader, come usa in Italia.
Resta da capire se la nuova Syriza moderata raccoglierà abbastanza voti per governare da sola o avrà bisogno di un partner. Per ora però non sembra in dubbio la vittoria, perché nessun altro partito è davvero in gara. I conservatori di Nea Demokratia e i socialisti del Pasok, entrambi quasi ai loro minimi nei sondaggi, sono spenti come i partiti della Prima Repubblica in Italia dopo Mani Pulite. I liberali di Potami restano un partito di élite, incapace di superare l’8%. Tsipras è stato umiliato a Bruxelles ma, anche nella nuova incarnazione riformista, ad Atene è padrone incontrastato.
Non è un caso senza precedenti, perché anche François Mitterrand nel 1981 abbandonò le nazionalizzazioni e l’alleanza con il partito comunista. Messo alle strette dalla realtà dell’economia, il primo presidente socialista nella Francia del Dopoguerra alla fine optò per il moderatismo e l’Europa, esattamente come Tsipras oggi. Non è chiaro se il leader di Atene resterà popolare come accadde a Mitterrand, eppure per ora ci sta riuscendo. I greci riconoscono al premier di aver provato fino in fondo a piegare l’Europa e vedono che è persino riuscito per un attimo a far apparire isolato l’intransigente ministro tedesco Wolfgang Schäuble. In fondo i greci si stanno dimostrando pronti a seguire un politico di cui si fidano ovunque egli vada: prima contro il compromesso, ora a favore.
Forse è un segno che oggi in Europa la credibilità dei leader conta per gli elettori più delle loro stesse politiche. Ma resta da vedere se nel caso di Tsipras essa è reale. Anche se a giugno l’industria in Grecia è crollata del 13%, Atene ha stranamente dichiarato una crescita economica dello 0,8% nel secondo trimestre dell’anno: lo ha fatto dopo che il capo dell’istituto statistico greco Andreas Georgiou, indipendente dal governo, si era dimesso di colpo senza neanche aspettare un successore. Molti ora temono che Atene torni a falsare le sue statistiche e basta un sospetto del genere a dare la misura di quanto, per Tsipras, la firma dell’accordo in Europa non sia stata la parte più difficile. Perché ora deve applicarlo.

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