lunedì 10 agosto 2015

L'INDIA SI OFFENDE CON L'ITALIA PER I MARO'....PURE !!!??

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Francamente, nel leggere che il governo indiano si sarebbe offeso di fronte alla accuse di quello italiano per la gestione del caso Marò, la reazione immediata e spontanea è stata : "Pure ??!!".
In Italia c'è un 10% di persone (netta minoranza, ma a volte rumorosa) convinta, come sempre, che il torto  è nostro, figuriamoci poi quando le vittime sarebbero gli ex paesi colonizzati, come appunto l'India...
Personalmente ne conosco qualcuno, gente che peraltro della questione dei Marò ha letto poco o nulla, ma tanto non ne aveva bisogno : sono colpevoli, che mica i due pescatori poveracci li ha ucciso il freddo no ? (è la frase stupida che in genere i forcaioli di natura esternano per criticare ogni dubbio sollevato sulle loro granitiche certezze colpevoliste).
Io invece ho letto abbastanza, dall'inizio, e queste convinzioni non ne ho. Ma a prescindere da questo, quello che è inaccettabile, in tutti i processi del mondo, è che siano passati tre anni e mezzo (!!!??) e gli indiani non hanno nemmeno formulato un capo di accusa definitivo !!
A mio avviso basterebbe questo, alla Corte Internazionale investita finalmente della vicenda (andava fatto molto prima, appena vista la mala parata e l'insuccesso dei metodi "fiorentini" italicamente perseguiti) per decidere intanto che i Marò non debbano rimanere in India, un paese che dopo oltre 1000 giorni ancora deve stabilire l'imputazione.  Da diversi mesi, per motivi di salute, Latorre è in Italia, ma Girone è ancora lì...
Quantomeno, da ora la musica cambierà, ché non saranno più gli indiani da soli a suonarla...
Una osservazione sul contenuto dell' articolo di Venturini sul Corriere. Non è esatto dire che i due Marò abbiano ucciso, scambiandoli per pirati, i due pescatori indiani.  E' un'ipotesi, peraltro sempre smentita dai fucilieri di Marina, ma non la sola.
La versione dei nostri è che furono sparati dei colpi intimidatori ad un una imbarcazione che non si arrestava all'intimazione di non avvicinarsi alla nave italiana ( la Lexie), ma diretti in acqua. 
I due pescatori uccisi sarebbero stati vittime di UN ALTRO conflitto a fuoco, coinvolgente un'altra nave che si guardò bene di avvertire le autorità indiane e tantomeno si sognò di obbedire all'"invito" (scioccamente accolto invece dalla Lexie) di attraccare in un porto dell'India. 
Nemmeno questa è detto sia la verità, però è bene ricordare anche questa versione. 
Dopodiché, a distanza di tre anni e mezzo, e chissà quanto tempo passerà ancora prima che un processo vero inizi, sarò curioso di vedere che tipo di prove verranno addotte, con il peschereccio opportunamente distrutto, e quindi nell'impossibilità di effettuare perizie accorte ed imparziali, i testi, ammesso che siano attendibili, dovranno ricordare fatti occorsi magari un lustro fa e altre piccolezze similari...
Io in questi casi auguro sempre, agli amici giustizialisti, di capitarci loro...
 


 

Al via al Tribunale del mare 

la battaglia legale tra Italia e India sui marò. 
Le richieste di Roma: 
rientro definitivo dei militari e azioni penali sospese.


La drammatica vicenda dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre dura da tre anni e sei mesi, e durerà ancora parecchio. Ma da oggi non si tratterà più per noi italiani di attendere le decisioni indiane, di subire i continui rinvii dei tribunali di Nuova Delhi, di sperare in un accordo politico che non è mai arrivato. Da oggi sarà una Corte con sede ad Amburgo, il Tribunale internazionale per il diritto del mare, ad ascoltare le parti, a valutare le loro argomentazioni e, al termine di un processo che si annuncia lungo (si potrebbe arrivare anche a due anni), a emettere una sentenza che tanto l’Italia quanto l’India dovranno rispettare.
È impossibile non chiederci, come di certo si chiedono moltissimi italiani, perché la scelta di sollecitare un arbitrato internazionale sia giunta tanto tardi, con il rischio di prolungare ancora di molto la controversia con l’India e soprattutto le privazioni di Girone e Latorre. Le risposte non sono tutte liete, ma esistono. Nella prima fase della vicenda, che costò la vita (non dobbiamo dimenticarlo) a due pescatori indiani, da parte italiana furono commessi errori a ripetizione, il principale dei quali si tradusse nell’ingresso della nave Enrica Lexie, sulla quale prestavano servizio di sicurezza i due marò, nel porto indiano di Kochi. Seguirono lunghi momenti di confusione, con l’India che mostrava un sovrano disprezzo nei confronti delle valutazioni italiane e l’Italia che non riusciva né a definire una strategia per meglio esprimerle né a comprendere le complessità delle strutture di potere indiane. A ogni attesa italiana di novità positive la magistratura di Nuova Delhi rispondeva con una serie infinita di rinvii, taluni di sapore schiettamente provocatorio. E i potenti alleati o presunti tali dell’Italia, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna alla Segreteria generale dell’Onu, poco hanno fatto per aiutarci. O meglio poco hanno potuto fare, perché chi conosce l’India sa bene quanto sia difficile esercitare pressioni su Nuova Delhi quando viene investita la «dignità» del Paese, quando scendono in campo superbia e nazionalismo. La presenza di una leader di origine italiana come Sonia Gandhi alla testa di quello che era allora il principale partito politico indiano non ci facilitò le cose, proprio perché i nazionalisti erano pronti ad accusarla di offesa alla sovranità indiana in caso di «concessioni».
Ma quando Narendra Modi vinse le elezioni del 2014, e scelse una linea politica moderata pur essendo egli il capo dei nazionalisti, a Roma si pensò per l’ennesima volta che una intesa con l’India fosse possibile. Matteo Renzi ci provò, con l’appoggio della Farnesina e delle nostre strutture di sicurezza. Finché divenne chiaro che la musica non era cambiata, perché Modi non voleva o non poteva cambiarla senza correre rischi politici interni. Fu allora che si decise di cambiare strada e di investire, nel giugno scorso, il Tribunale internazionale di Amburgo. Con un ennesimo equivoco, che ci fece pensare in un primo momento che l’India avesse accettato di buon grado e si accingesse a collaborare mentre in realtà gli avvocati del governo di Nuova Delhi già annunciavano battaglia.
Pur gravato da molti errori, dunque, il ricorso all’arbitrato internazionale era ormai privo di concrete alternative. E oggi l’ambasciatore Azzarello, nel presentare le ragioni dell’Italia, sottoporrà alla Corte, che dovrebbe decidere in merito entro la fine del mese, tre richieste preliminari: primo, che Massimiliano Latorre possa rimanere a curarsi in Italia fino alla fine della procedura arbitrale; secondo, che Salvatore Girone, in residenza sorvegliata a Nuova Delhi, possa rientrare in Italia fino alla fine della medesima procedura; terzo, che vengano sospese le azioni penali in atto in India contro i due marò. L’India replicherà beninteso con richieste di segno diverso, e la Corte impiegherà due o tre settimane per rispondere. Poi si entrerà nel vivo delle questioni di diritto internazionale del mare che la vicenda pone, prima fra tutte quella della competenza a giudicare (l’Italia ha sempre sostenuto che la Lexie si trovava in acque internazionali quando i due marò scambiarono per pirati i pescatori indiani). Dall’una e dall’altra parte, sin da oggi, scenderanno in campo squadre di avvocati e di giuristi di chiara fama e di nazionalità non necessariamente italiana o indiana. Del nostro collegio, come sappiamo, fa parte il britannico sir Daniel Bethlehem, un internazionalista francese argomenterà a nome dell’India. E questo per molto, per troppo tempo ancora.

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