mercoledì 5 agosto 2015

PARLA BERSANI : CHI EVOCA IL VIETNAM, PENSA AL NAPALM...

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Nella giornata in cui Renzino, con il suo solito piglio diplomatico, manda un abbraccio agli amici gufi  (ha riformato la PA...peccato che ci sono 15 - QUINDICI - leggi delega da riempire di contenuti...) , Pierluigi Bersani chiede la parola e naturalmente trova chi gliela dà. Stavolta è il Corriere della Sera. 
E' uno sfogo a tutto campo, con concetti certamente non nuovi, ma d'estate bisogna accontentarsi di quello che passa il convento...
Se non altro, un bignami utile per ripassare i temi cari alla sinistra piddina, quella ancora non trasmigrata causa virata verso il centro del PD targato Renzi.

  • CORRIERE DELLA SERA
L’intervista Bersani: il Pd perde pezzi 
C’è chi si inventa il Vietnam per giustificare il napalm
«No a un partito di servi, 
se si vuole l’accordo c’è»
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ROMA «Avrei una cosa da dire».
Una sola, onorevole Pier Luigi Bersani? I nodi sono tanti, dal Sud al Senato.
«Il Paese ha difficoltà enormi. Ma io vorrei uscire dal circolo vizioso, non si può rimettere in sesto l’Italia se prima non si mette in sesto il Pd. Questo è il punto di fondo e ne abbiamo un esempio in queste ore. Se qualcuno, a freddo e strumentalmente, si inventa dei Vietnam e dei vietcong, si è autorizzati a pensare che vogliano giustificare il napalm».
Renzi che dà, metaforicamente, fuoco alla minoranza?
«Per dare una mano all’Italia bisogna prendere atto che il tema non sono 25 senatori bersaniani, è che il Pd ha un problema politico profondo. Dopo mesi di parole su lavoro, scuola, tasse, Rai, Verdini, Azzollini, ormai è emerso che tra i militanti c’è un distacco e non sto parlando di Vietnam, ma di Campagnola Emilia. Tra la nostra gente infuria la domanda “Chi siamo? Con chi andiamo?”. Basta girare un po’ e ci si rende conto. Con la stessa generosità che ho mostrato io, chi è segretario ora deve prendere in mano il problema, perché noi abbiamo bisogno del partito riformista del secolo».
Teme la svolta al centro?
«Se si vuole innovare il Pd, io ci sto. Altra cosa è disarmare un’idea, una cultura, una retorica di centrosinistra, aprendo il varco a una destra regressiva. La mia preoccupazione è che nei gruppi dirigenti invece di affrontare il problema si voglia coltivarlo, prendendo di punta un pezzo di Pd e rinnegando un dovere di sintesi».
Renzi vuole creare il «nemico interno»?
«Sì, temo sia questo e rivolgo a Renzi la seguente domanda. Ti ricordi quando, contro tutti, io imposi il cambiamento dello Statuto per far concorrere uno che voleva rottamarmi? Lo feci perché temevo che si spaccasse il Pd e che un pezzo del partito se ne andasse. Adesso vuoi capire o no che, se non viene interpretato questo disagio, c’è un pericolo del genere?».
Sta evocando la scissione?
«Io il Pd voglio salvarlo, perché è l’unica speranza per l’Italia e mi auguro che la mia preoccupazione sia condivisa da chi dirige il traffico. Qui non c’è in gioco solo il Pd, ma il Paese. Se si comprende questo la strada è semplice, cercare una sintesi ed essere il partito che organizza un centrosinistra, con i suoi valori e le sue proposte».
Vuole tornare all’Ulivo?
«L’ispirazione dell’Ulivo era l’idea di un partito riformista che tenesse rapporti con una radicalità di sinistra e con una radicalità civica, senza isolarsi. L’Ulivo è stato questo e non è vero che abbiamo sempre perso, abbiamo vinto, mentre nell’ultima tornata elettorale un pezzo del nostro mondo si è ritratto. Sul piano del programma i punti sono Europa, investimenti per l’occupazione e il Sud, liberalizzazioni, politica industriale e fedeltà fiscale».
Non è lei che frena?
«Io nella mia vita non ho fatto altro che riforme e se ci fosse l’occasione di discutere potrei anche dare una mano. E, se mi si tira per i pochi capelli, devo dirlo: le uniche cose che stanno funzionando per dare un po’ di lavoro, dalle ristrutturazioni della casa al ripescaggio della Sabatini, alla portabilità dei mutui, me le sono inventate io. Riforme, ma di centrosinistra. Io, noi, altri, un po’ di idee le abbiamo, ma purtroppo non stanno in un tweet».
L’ultimo tweet di Renzi è «un abbraccio ai gufi».
«Se andiamo avanti con i gufi non arriviamo lontano».
Da gufi, a vietcong.
«L’unico Vietnam che ho visto io è stato su Marini e Prodi. Nel Pd ci sono in giro degli esperti di Vietnam».
Insiste sulla necessità di cambiare l’articolo 2?
«Io sostengo la tesi che la combinazione fra riforma costituzionale e riforma elettorale ci consegna un sistema costruito per l’uomo solo al comando, senza contrappesi. Tonini nega, ma chi ha buon senso sa che è così. Non è né un sistema parlamentare, né presidenziale, è un sistema del ghe pensi mi . In quale democrazia un premier si nomina gran parte dei parlamentari, capo dello Stato e istituzioni di garanzia? Io non sono d’accordo».
Sanzioni in vista?
«Sui temi costituzionali neanche il Pci chiedeva la disciplina. E se il segretario pensa di togliere le tasse sulla casa a tutti, regalando 500 euro a un ricco e 50 a un povero, pretendo che si discuta a fondo, non in cinque minuti. Perché un conto è la disciplina come coronamento di uno sforzo di sintesi e un conto l’obbedienza. E siccome ho sempre detto che siamo un partito senza padroni, mi augurerei che fossimo anche un partito senza servi».
Il voto sul nuovo Senato è per voi la battaglia finale?
«Io non mi metto su questo piano. Ma quando la gente vedrà che il Senato viene composto in una trattativa su scala regionale, dove uno fa l’assessore e l’altro il senatore, magari per l’immunità, l’ondata di antipolitica che ne deriverà la mettiamo a carico di chi ora fa finta di niente, ok? Se si vogliono risparmiare soldi si riduca di 100 o 150 il numero dei deputati. Perché devono essere 630?».
Sposetti ha proposto di abolire il Senato.
«Una provocazione, ma sono d’accordo. Se non ha nobiltà, aboliamolo senza drammi. Il paradosso è che il cambiamento è a portata di mano. Su una riforma che dicesse superiamo il bicameralismo, rafforziamo le garanzie ed eleggiamo i senatori, magari in una lista collegata ai presidenti delle Regioni, c’è larga condivisione. Capisco la preoccupazione di riaprire il vaso di Pandora, ma io propongo di fare in modo blindato alcune correzioni sensate, non di tornare da capo».
Franco Monaco propone la scissione consensuale.
«Per Monaco io avrei una visione chiesastica del partito, ma rifiuto questa definizione. Siccome ci ho messo dei mattoni, il Pd è casa mia. Se arriva Verdini va fuori lui, non io. Il Pd è molto giovane e chissà quanti Renzi e Bersani vedremo...».
Proverà a riprendersi la «ditta» al congresso?
«Quando arriverà vedremo, non sarò certo io. Ora c’è da governare. Per farlo, il Pd deve trovare il suo profilo di centrosinistra e io penso che le nostre ricette siano utili».
Le piace la nuova Rai?
«Questa roba qui la chiamiamo riforma? È curioso un azionista che rinnova la governance con le vecchie regole, prima di aver definito un progetto per risolvere i problemi industriali. Io mi rifiutai di nominare il cda con la Gasparri. Con tutta la stima per i nominati, che uno come De Bortoli non possa avere cittadinanza è stupefacente».

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