lunedì 7 settembre 2015

GALLI DELLA LOGGIA E LA MERKEL "BUONISTA"

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Com'era prevedibile, si susseguono i commenti relativi alla sorprendente virata della Germania guidata dalla Merkel in tema di migrazione.
Ieri avevamo dato spazio a quello di Danilo Taino, con l'interessante intervista al filosofo Markus Gabriel ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/09/i-possibili-perche-di-una-germania-buona.html ), oggi è il turno di Ernesto Galli della Loggia, una guida quasi spirituale per molti lettori del Corriere della Sera e ovviamente apprezzato anche da tanti del Camerlengo, che pesca molto nel quotidiano di via Solferino.
Buona Lettura 



La memoria tedesca e la svolta di Angela Merkel

di Ernesto Galli della Loggia

La cancelliera Merkel non è una reincarnazione tedesca del dottor Jekyll e Mister Hyde: una santa donna o un’inflessibile virago a seconda che si tratti di aprire le porte ai rifugiati del Medio Oriente o di chiedere i conti a quegli scialacquatori di greci.Essa è l’attento e intelligente capo politico di un grande Paese che ha interessi, ambizioni, progetti. Che soprattutto ha una forte consapevolezza di sé e del proprio ruolo, insieme però a lunga memoria della propria storia.Una lunga, indelebile, memoria. Quella fotografia del bimbo siriano riverso senza vita sulla riva turca deve aver ricordato immediatamente alla cancelliera quella di un altro bambino, questa volta ebreo, ripreso tra le fiamme del ghetto di Varsavia, nel 1942, con le mani alzate in un patetico segno di resa alla ferocia della soldataglia nazista.


Merkel ha capito che quell’immagine, e poi l’immagine di quelle colonne di disperati in fuga tra fili spinati e vagoni piombati, e poi ancora quella della loro corsa verso la terra promessa di un’irraggiungibile Germania, stavano sul punto di coinvolgere pericolosamente il suo Paese in una sorta di remake storico di una violenza simbolica insopportabile. Forse ha anche ricordato, lei figlia della Ddr comunista, di quando i suoi concittadini cominciarono a segnare la fine del regime recandosi a migliaia sotto le mentite spoglie di turisti proprio a Budapest, dove si accamparono sotto l’ambasciata della Bundesrepublik per chiedere un visto d’ingresso verso la libertà. Ancora drammatici ricordi insomma. Ancora ciò che stava accadendo minacciava di mettere in gioco non tanto l’immagine dell’Europa quanto, per una singolare logica del contrappasso, quello della Germania. Era sul punto di tramutarsi in un boomerang contro Berlino e il suo governo: i politici di rango certe cose le capiscono in un attimo. Per istinto.
E agiscono. Ecco allora che con un colpo a sorpresa la cancelliera ha deciso di aprire ai disperati le porte del suo Paese. Con un gesto che in qualche modo è la prosecuzione emblematica di quello compiuto nel dicembre del 1970 da Willy Brandt, quando s’inginocchiò a Varsavia davanti al memoriale delle vittime del ghetto. Con un gesto che per l’appunto chiude il cerchio: dopo il perdono chiesto allora agli ebrei, alle sue vittime per antonomasia, la Germania oggi addirittura apre le braccia ai reietti della terra, diviene lei una novella Sion per i nuovi perseguitati.
Ottenendo peraltro con ciò un enorme guadagno politico: e anche questo, io credo, la cancelliera deve averlo subito intuito. D’un tratto, infatti, Il Paese che nell’ambito dell’Unione Europea è stato considerato da sempre come attento soprattutto al rigore finanziario e ai suoi interessi economici, il Paese che da sempre ha avuto il problema di trasferire la sua potenza produttiva in un rango politico corrispondente, che ha incontrato una costante difficoltà a far riconoscere ed accettare la propria leadership, è divenuto l’indiscussa guida del continente. E lo è divenuto grazie all’esibizione di un’alta ispirazione morale: capace di costringere l’Inghilterra di Cameron, così tradizionalmente gelosa della sua diversità, ad adeguarsi benché solo in parte, precipitosamente; d’indurre il patetico Hollande a immaginare di infliggere improbabilissimi sfracelli militari alla Siria di Assad pur di far vedere che la Francia ancora esiste.
È difficile dire, però, se tutto questo segna davvero un nuovo inizio. È difficile prevedere, infatti, se Merkel e l’élite tedesca (una democrazia non è governata certo da una persona sola) saranno in grado di far seguire alla svolta clamorosa dell’altro giorno e al risultato ricavatone una conseguente linea d’azione eticamente orientata e al tempo stesso condivisa sul piano interno e su quello internazionale. Specialmente in ragione di un elemento decisivo e drammatico che domina l’intero scenario della migrazione in atto verso il nostro continente: la sua imprevedibilità quantitativa. Con quanti migranti deve prepararsi a fare i conti l’Europa? Decine di migliaia? Centinaia? Milioni? Nessuno può dirlo.
Quello che possiamo dire con sicurezza, però, è che non esiste al mondo decisione politica riguardante un qualunque fenomeno, la quale possa essere indifferente all’entità quantitativa del fenomeno stesso, praticabile cioè qualunque sia l’entità di questo. Inevitabilmente, insomma, ogni decisione politica è, e sarà sempre, soggetta alla valutazione di tale circostanza: dal momento che a dispetto di ogni miglior proposito l’etica della convinzione continua ad essere cosa ben diversa dall’etica della responsabilità.

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