venerdì 4 settembre 2015

IN 36 ORE, PRIMA D'ALEMA POI BERSANI AFFONDANO SU RENZI, L' "UOMO SOLO AL GUINZAGLIO"

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Doppio affondo dell'opposizione democratica a Renzi in questi giorni, prima sul Corriere della Sera, con l'intervista di Cazzullo a D'Alema, poi su La Stampa con le dichiarazioni di Bersani alla festa dell'Unità di Milano. Più interessanti - il che non stupisce perché la cifra dei due uomini è diversa, ancorché il primo sia più antipatico - le riflessioni dell'ex segretario dei DS e poi presidente del Consiglio ( a spese di Prodi, il che è un fatto, ancorché lui giuri e spergiuri che non si trattò di complotto) , peraltro altamente opinabili. Per esempio è una narrazione del tutto parziale quella di una sinistra, che nell'epoca berlusconiana governò tanto quanto il Cavaliere, fece molte cose buone a differenza dell'avversario. Cita le pensioni, dimenticando che il primo a metterci le mani fu Dini, e poi un po' tutti, senza risolvere mai completamente il nodo, tanto che oggi si parla di modificare l'ultima, quella targata Fornero.
Poi la riforma del lavoro, e anche qui nessuno se n'era sostanzialmente accorto. In realtà in quel campo l'unica legge veramente innovativa, con pregi e difetti, era stata la Biagi, che costò la vita (da parte di un commando comunista estremista) al suo ideatore, ed avvenne sotto l'egida del centro destra. Quando Berlusconi volle provare a smantellare l'articolo 18, per cercare di migliorare la flessibilità e le assunzioni (lo scopo oggi persegutio col Jobs Act) si ritrovò con non so quanti scioperi e oltre un milione di persone in piazza. E' vero che ci fu qualcosa in tema di liberalizzazioni, però i benefici non sono paragonabili ai costi del disastro, tutto targato Prodi e Co. che portano la colpa imperitura - che nessuno però mai gli rinfaccia - della riforma sciagurata del titolo V della Costituzione, che tanti sfracelli ha comportato nella spesa pubblica, specie in materia sanitaria. E quando la destra cercò di rimediare, lor signori si opposero, in piazza e in Parlamento, riuscendo nel nefasto intento di conservare il malfatto. Ora tutti dicono che quella riforma va abolita, però nessuno di quella gente fa mea culpa. 
Ha ragione invece D'Alema quando biasima i toni spesso sprezzanti usati da Renzi quando parla di Letta, però in questo Cazzullo ha avuto agio a ricordare all'ex lider maximo che non è che lui scherzi in materia.
Al che l'intervistato, non potendo negare l'evidenza, spiega la differenza antropologica : " ho sbagliato. Lo riconosco. E ho pagato un prezzo per questo. Ma posso essere stato spigoloso; non sono cattivo, né vendicativo. Io ho difeso con spigolosità le mie idee; non ho mai massacrato le persone "
Cazzullo gli chiede di una possibile scissione nel PD e D'Alema risponde :  «Sono stato coperto di insulti per aver fornito in un dibattito qualche dato oggettivo: nei sondaggi siamo precipitati dal 41% al 32; e le regionali hanno confermato la tendenza. Per ordine dall’alto è iniziato un linciaggio di tipo staliniano. Il Pd sta abbandonando molti valori della sinistra, ma non i metodi dello stalinismo. Oggi i trotzkisti da fucilare se il piano quinquennale falliva vengono chiamati “gufi”. E siccome Palazzo Chigi ha una certa influenza sui media, vari commentatori sono intervenuti per dirmi che non si possono paragonare le Regionali alle Europee. Sono cose che credo di sapere. Paragoniamo allora le Regionali 2015 alle precedenti. Abbiamo perso 330 mila voti in Emilia, 315 mila in Toscana, 150 mila in Veneto e in Campania. In tutto sono un milione e 300 mila».
È cresciuta l’astensione.
«È vero; ma soprattutto nelle Regioni rosse. Gran parte dell’elettorato rimasto a casa era nostro. In campagna elettorale mi sono preso gli insulti di molte persone cui dicevo di votare il Pd; adesso mi insultano dall’altra parte. Il vicesegretario del mio partito dice che faccio polemiche di basso livello. Ma qui è basso il livello dei voti. Dio acceca coloro che vuole perdere». 

e più in là prosegue :
" L’attuale Pd non ha rotto solo con la tradizione della sinistra, ma anche con una parte importante del cattolicesimo democratico. In questo modo ha lasciato molto spazio ad altre offerte politiche. Ora il Pd è a un bivio. O ricostruisce il centrosinistra. Oppure crea un listone con il ceto politico uscito dal berlusconismo. Ho visto un sondaggio che dice che con questo listone, o come è stato elegantemente definito rassemblement, avremmo meno di voti di quelli che raccoglierebbe da solo il Pd».
Sta dicendo che bisognerebbe cambiare la legge elettorale?
«Sì. La legge è stata costruita per un Pd al 40%; oggi rischia di diventare una trappola mortale. Il ballottaggio sarebbe tra Renzi e Grillo; e dubito che i leghisti voterebbero Renzi. Farsi la legge elettorale su misura porta sfortuna: chi ci ha provato, compreso Berlusconi, ha perso"

e ancora : " Se si sceglie una legge elettorale che sacrifica la rappresentanza alla governabilità, allora bisogna riequilibrare il sistema con garanzie, contrappesi, tutela dei diritti fondamentali dei cittadini: a cominciare dall’elezione diretta dei senatori."
Infine, opinabile ma interessante - l'uomo ha tanti difetti ma è intelligente e mai banale - la riproposizione del concetto della diversità della sinistra dove non si ragiona per convenienza ma per convinzione.

A vedere l'assalto al carro renziano dopo l'affermazione di questi, e la sorte dei tanti "punultimatum" della sinistra in Parlamento, sembra proprio una bella fola.
Chissà se uno esperto e cinico come D'Alema ci crede davvero. 

Vi lascio, dopo il resoconto dell'intervista del rottamato per eccellenza, all'articolo de La Stampa sul suo delfino, rottamato pure lui, ma in modo meno virulento. 
Come detto, molto meno interessanti le sue esternazioni, però l'immagine dell'uomo solo al guinzaglio colpisce...




Bersani attacca Renzi: “Uomo solo al guinzaglio”

L’ex segretario alla festa dell’Unità di Milano: piuttosto che la sua confusione, farei un emendamento con scritto “Aboliamo il Senato”
 
 
 
ANSA
Pierluigi Bersani

 
milano
Vanno in scena i tre lati del Pd alla Festa nazionale dell’Unitá di Milano. Sul palco ci sono Bersani e Martina, due modi diversi di non essere renziani e poi aleggia l’immagine del premier.  
Lo tira in causa continuamente l’ex segretario. Bersani si dice contrario alla riforma costituzionale, «perché viene fuori l’uomo solo al guinzaglio, che sembra sia al comando ma è alle dipendenze di chi ha le risorse economiche di finanziare il sistema dell’informazione».  

Per Bersani «Renzi fa il segretario e il capo del governo. Come segretario deve trovare la sintesi nel Pd, non trovare i voti dei transfughi. Come capo del governo deve tener presente la maggioranza, non imporre diktat. Lui tira dritto, ma da che parte? Il bicameralismo va superato allora piuttosto che la sua confusione farei un emendamento con scritto “Aboliamo il Senato” e se mai correggiamo la legge per la Camera».  

Detto ció Bersani accoglie le riflessioni di Martina, che dice di non credere a posizioni non componibili nel Pd: «Una soluzione si trova - conclude l’ex segretario - anche perché il vero problema è il lavoro e non è il Jobs act che lo crea. Dico tre volte no a una scissione, ma c’è gente che pensa che la stiamo portando da un’altra parte, fuori dal centrosinistra alternativo alla destra. Detto ció non vorrei che le mie figlie vivessero in un paese che assomigli a brutte democrazie».

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