mercoledì 28 ottobre 2015

IL GIUDICE DEODATO E LE NOZZE GAY : NOMEN OMEN



Chissà cosa direbbe il dr. Sabelli se gli fosse chiesto un parere sulla nuova querelle magistrati media opinione pubblica, scaturita dalla sentenza del Consiglio di Stato in materia di trascrizione dei matrimoni gay celebrati all'estero (la pronuncia è stata negativa) e, ancor di più, dai tweet messi in rete da uno dei giudici del collegio, dove, come è vizio sempre più diffuso, i togati esternano coram populo le ragioni delle loro decisioni, che dovrebbero invece avere come unico strumento di conoscenza le motivazioni esplicitate nel documento giudiziario.
Non trova il sofferente (pare che lamenti spesso in privato di essere costretto a recitare un ruolo, spinto dalla base, laddove lui sarebbe assai più moderato e ragionevole) presidente della anm che sono queste le condotte che delegittimano i magistrati ?
Non parlo ovviamente del merito, che pure è oggetto di strali feroci dalla ormai potente lobby dei diritti della gente gay ( e su questo si potrebbe discutere ), quanto alla dimostrazione piuttosto palese del pregiudizio che ha determinato la decisione.
I giudici investiti sono due ferventi cattolici - uno si chiama Deodato : nomen omen - e dal tenore del tweet  la fede, la filosofia di vita che l'accompagna, ha avuto un suo ruolo nella decisione.
Almeno, questo è verosimile dedurre, e già questo non va bene per chi deve poter credere nella imparzialità di chi è chiamato a giudicare di una propria istanza.
Bene scrive Pierluigi Battista sul Corsera, ricordando che i giudici non sono i custodi della morale ma, quando e se ci riescono, del diritto, che è ALTRA cosa.
Giustissimo. Solo che questa cosa, e non lo dico per il bravo giornalista che non ha questo vizio, andrebbe ricordata SEMPRE.
Mentre oggi molti dei censori dei giudici in questione sono gli stessi che, in altri casi, sono ben lieti e anzi pretendono che i giudici decidano mossi da ragioni etiche.
Ecco, l'etica è materia delicata, ancora meno certa del già incerto diritto. Meglio lasciarla perdere nelle aule di giustizia.






ESIBIZIONISMO GIUDIZIARIO  

di Pierluigi Battista
Risultati immagini per consiglio di stato e matrimoni gay


Un giudice dovrebbe parlare solo con le sentenze. Ora invece parla anche sui social network, come Carlo Deodato , cui si deve la sentenza che ha bocciato la registrazione delle nozze gay celebrate all’estero.
Un giudice, si diceva un tempo, dovrebbe parlare solo con le sentenze. E invece no, adesso parla a ruota libera dei temi in cui viene chiamato in causa con interviste, dichiarazioni, interventi nei talk-show , nelle inaugurazioni degli anni giudiziari diventate oramai ribalte mediatiche, ma soprattutto, questa è la novità, sui social network : anticipando su Twitter e su Facebook quello che pensa nella materia che invece dovrebbe giudicare limitandosi a compulsare codici, giurisprudenza e testi di diritto. E invece il giudice Carlo Deodato, cui si deve la sentenza del Consiglio di Stato che stabilisce la non trascrivibilità in Italia dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero, aveva già ampiamente anticipato sui social network tutto il male possibile che pensava attorno alle nozze gay, cioè esattamente sul punto su cui doveva pronunciarsi. Si diceva un tempo che un giudice non solo deve essere imparziale, ma deve anche apparire imparziale. Ma che imparzialità, che terzietà può mai dimostrare un giudice che intrattiene i suoi amici su Facebook non sulle vacanze appena trascorse ma sulla sua ostilità ai matrimoni tra persone dello stesso sesso che sta per riversare in una sentenza del Consiglio di Stato?
   Tra l’altro, nella motivazione della sentenza il giudice motiva la sua personale contrarietà alle nozze gay non solo con argomenti giuridici ma inerpicandosi sui sentieri impervi della discussione filosofica e disquisendo sullo scandalo «ontologico che i matrimoni tra omosessuali alimenterebbero. L’ontologia dovrebbe essere lasciata ai maestri della morale. Il diritto è un’altra cosa.     E al Consiglio di Stato si richiedono argomenti giuridici e non dissertazioni religiose e filosofiche, né nelle sentenze e nemmeno su Facebook. Dove si postano le foto della propria, di famiglia, senza sentenziare su quelle altrui.

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