Come tutti i polemici - lo so bene in quanto appartenente alla categoria, però io sono un "pentito", laddove altri non mollano mai... - Paolo Mieli non perde occasione, anche parlando di ALTRO, di tornare su questioni che gli stanno a cuore, su cui ha preso una posizione in contrasto con altri autorevoli commentatori. In questo caso, parlando del sindaco di Madrid, bella città finita nelle mani di tale Manuela Carmena, e biasimandola, con piena ragione, per le manie politically correct della signora, tira una frecciata ai critici dell'italicum ( che annoverano opinionisti di rango come Ricolfi e Giacalone ) annotando come in Spagna ancora non hanno un governo...
Incredibile a che livello possano scadere anche personaggi sicuramente colti ed intelligenti.
In Gran Bretagna, nelle elezioni precedenti alle ultime, e in Germania, accadde lo stesso : nessuno vinse abbastanza nettamente, e ci volle un po' di tempo perché si formassero governi di coalizione. In GB i liberali, ago della bilancia, finirono per allearsi con i conservatori (la soluzione più fisiologica ma non del tutto scontata), e l'Inghilterra ha avuto 5 anni di buon governo che li ha condotti fuori dalla secche più profonde della crisi.
In Germania, si è ripetuto lo schema della Grosse Koalition già occorso in precedenza, e anche lì le cose non vanno poi male.
Viceversa, in Ungheria e Polonia ci sono governi che hanno vinto la sera, e che ora in Europa in tanti criticano aspramente (io non tra questi, pur rilevando aspetti non fausti, ma è un altro discorso).
Non parliamo poi dell'esperienza belga, dove sono rimasti DUE ANNI senza governo e sono tutti sopravvissuti (sicuramente meglio di noi, passati per Monti, Letta e ora renzino, tutti salvatori della patria piuttosto improbabili).
Questo non per dire che non sia una buona cosa quando le elezioni esprimono un risultato chiaro e certo, ma che se capitano periodi in cui l'elettorato è meno uniforme, bè allora non si può forzare troppo la mano con l'alchimia dei sistemi di voto e accettare la possibilità che si debbano formare governi di coalizione.
Tra i due mali, quello di essere governati da una coalizione di formazioni che hanno dovuto raggiungere un compromesso sui programmi o da una minoranza "più forte" che rappresenta un quinto dei cittadini, bè mi sembra evidente che il primo sia il minore.
Ciò ribadito, sottoscrivo nella sostanza - ribadisco che Mieli non mi piace nella forma : troppo saputello e assertivo - l'attacco dell'ex direttore del Corsera alla cultura del "politicamente corretto", con punte di ridicolo, oltre che di negatività, assolute.
Leggere per credere
L’offensiva dei troppo «corretti »
di Paolo Mieli
La Spagna, che (sia detto per inciso) non è ancora riuscita a darsi un governo, tra due giorni sarà politicamente compensata da una straordinaria novità. La sindaca di Madrid, Manuela Carmena, eletta a maggio con l’appoggio di Podemos — reduce dall’aver vinto battaglie per il ridimensionamento del presepe nel Palacio de Cibeles e per la celebrazione del Natale multietnico con tamburi africani, poesia serba e musica palestinese — ha ottenuto che la sera del 5 gennaio debuttino i Re Magi donna. Come Conchita Wurst o Annie Girardot nel celeberrimo film di Marco Ferreri, Gaspare e Melchiorre saranno — nelle sfilate di Puente de Vallecas e Sans Blas-Canillejas — reinas magas con tanto di barba (Baldassarre no, perché è nero e farlo impersonare da una donna barbuta deve essere sembrato eccessivo). La sindaca madrilena gioisce in questi primi giorni del 2016 per i suoi personali trionfi che ne fanno un’eroina della guerra mondiale combattuta sotto le insegne del «politicamente corretto».
Già, perché in Spagna il presepe non viene soppresso per andare incontro a bambini di altre religioni (i quali, peraltro, né direttamente, né attraverso madri e padri, hanno mai chiesto di adottare questo tipo di misure). A Madrid non c’è motivo perché, come è accaduto da noi, un Matteo Salvini si presenti con mantello e turbante all’asilo di sua figlia: Cristianesimo e Islam non c’entrano; Manuela Carmena si è spesa esclusivamente per un’Epifania che contemplasse «un rapporto più equilibrato tra uomini e donne».
Va riconosciuto che da questo momento per il resto d’Europa (e del mondo intero) sarà arduo competere con questa apoteosi madrilena della correttezza politica. Certo, in anni recenti, altrove abbiamo assistito ad altri trionfi di questa inarrestabile offensiva: sono finiti sotto processo libretti di opere di Mozart, testi di Dante Alighieri, William Shakespeare, Herman Melville, Joseph Conrad. Il capitano Achab è stato messo all’indice in alcune università statunitensi perché «portatore di un atteggiamento sconveniente nei confronti delle balene». Lo scrittore nigeriano Chinua Achebe ha proposto la messa al bando di Cuore di tenebra in quanto «sprezzante nei confronti degli africani».
Potente è stata anche la carica contro i classici cinematografici. Il New York Post si è schierato per la censura di Via col vento , quantomeno per il taglio di qualche scena del personaggio di Mami, interpretando il quale Hattie McDaniel fu la prima afroame ricana a vincere l’Oscar. Visto che c’era, lo stesso giornale ha chiesto fosse tolta l’immagine di una domestica nera che campeggiava dal 1889 sulle confezioni di sciroppo da plumcake «Aunt Jemima» e quella del cameriere nero sul riso «Uncle Ben’s». Non sono stati risparmiati neanche i film di animazione. Quattro mesi fa, sulla piattaforma in streaming Netflix, lo stringatissimo racconto di Pocahontas è stato cambiato in fretta e furia. Già reso oscuro da un primo vaglio al setaccio del politically correct, recitava così: «Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il capitano John Smith». Adrienne Keene, rappresentante di un’Associazione di nativi, ha obiettato che l’uso del verbo «anela» era «disgustoso».
Qualcuno di quando in quando ha cercato di resistere al regime della correttezza. Antesignano di questi ribelli, lo scrittore Robert Hughes con un libro, La cultura del piagnisteo (Adelphi), che si è imposto come manifesto degli ostili a quella da lui descritta come «una sorta di Lourdes linguistica dove il male e la sventura svaniscono con un tuffo nelle acque dell’eufemismo». Tra i partigiani vanno annoverati l’anticipatore Saul Bellow, il cui testimone è passato a Philip Roth e poi a Martin Amis. Qui in Italia, merita una decorazione Umberto Eco che tempo fa sull’ Espresso ha preso in giro l’ipercorrettezza degli antiberlusconiani suggerendo di alludere con queste parole ai problemi di statura e trapianto del loro bersaglio prediletto: «persona verticalmente svantaggiata intesa ad ovviare a una regressione follicolare». Medaglia anche per Sergio Romano che, su queste colonne, ha lamentato la scomparsa dalla letteratura contemporanea di termini «straordinariamente espressivi» come «sciancato, storpio, orbo, zoppo, straccione, pezzente» e ha rivendicato il diritto di ripetere le parole pronunciate dal poeta messicano Francisco de Icaza al cospetto dell’Alhambra e del Palazzo della Madraza: «Nella vita non vi è pena maggiore dell’esser cieco a Granada». Sacrosanto. Anche se consideriamo una sofferenza più afflittiva dell’essere ciechi a Granada, quella di godere di una buona vista a Madrid. Quantomeno domani sera quando sfileranno le regine barbute di Manuela Carmena.
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