martedì 5 gennaio 2016

L'INADEGUATEZZA DEL PREMIER IN POLITICA ESTERA. LA CRITICA NETTA DI PANEBIANCO

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Da tempo ho la sensazione che anche Panebianco, inizialmente tra i commentatori favorevoli all'attuale premier, stia mutando idea.
Probabilmente, la sintesi del suo giudizio potrebbe ancora compendiarsi in positivo, ma con un non certo lusinghiero "male minore". Del resto è la definizione dal professore scelta per definire l'Italicum.
Se paragoniamo renzino alle attuali alternative sul mercato, Grillo o Salvini, c'è poco da dire, ha ragione la penna principe del Corsera. Certo se mi addormento e sogno, a Palazzo Chigi troverei che la befana ci ha portato Draghi (ah, gli interessi sul debito sono calati di una decina di miliardi...se ascoltate il putto di Firenze non gli credete, il merito non è suo ma del QE della Banca Europea).
Ma appunto è un sogno, ché il bravo Presidente della BCE non ci pensa per niente a inguaiarsi a Palazzo Chigi.
Renzino male minore dunque, ma decisamente nano in politica estera, e di questo già in precedenza Panebianco aveva avuto modo di dolersi.
Ci torna su, e la bocciatura è piuttosto netta.
Da applausi a scena aperta l'attacco del professore alla visione sociologico pauperistica del terrorismo, tanto in voga nell'italietta imbelle cattocomunistoide.
Buona Lettura




Il fronte estero del premier

di Angelo Panebianco


Gli amici italiani della Russia si dividono in due categorie, gli antiamericani (Grillo e Salvini) e i filoamericani, quelli che si barcamenano (Renzi e Berlusconi). Questi ultimi devono essersi sentiti affranti quando pochi giorni fa, a conferma di una svolta che risale a qualche anno addietro, Putin ha varato il nuovo piano strategico, ribadendo che Nato e Usa sono l’avversario principale, il potenziale nemico numero uno. E Renzi deve essere ancor più a disagio di Berlusconi visto che è lui che governa, è lui che deve fare fronte a tutte le grane.
Grane che dipendono da una congiuntura internazionale che per noi europei si rivela ogni giorno più cupa: il Medio Oriente è a ferro e fuoco per diverse ragioni, fra le quali una delle più importanti è lo scontro fra sunniti e sciiti precipitato nella rivalità, e nella crisi in atto, fra Arabia Saudita e Iran, ma anche nel conflitto yemenita, nella guerra civile siriana, nella cancellazione dei confini statali (Siria, Iraq) tracciati nel Novecento dalle potenze coloniali, e di cui è espressione la nascita dello Stato islamico. Si aggiungano gli effetti dirompenti che le vicende mediorientali esercitano sull’Islam europeo, i flussi migratori potenti e così difficili da controllare, il terrorismo, la competizione di potenza fra Russia e Stati Uniti che complica la partita mediorientale ed esaspera le divisioni entro l’Ue (fra i Paesi dell’Est che temono l’imperialismo russo e quelli dell’Ovest per i quali la Russia è solo un partner commerciale, un’opportunità per gli affari). Tutto ciò obbliga a rifare qualche conto anche in Italia.

Fino a poco tempo fa si poteva pensare che la scommessa politica di Renzi fosse legata esclusivamente alla sua capacità di fare ripartire una macchina economica imballata. Adesso non è più così. Oggi egli deve anche rassicurare gli italiani a proposito della propria capacità di guidare il Paese in acque internazionali turbolente. Non è sicuro che sia in grado di dare questa dimostrazione, di convincere l’opinione pubblica che egli possieda qualità di condottiero. Sia chiaro: gli oppositori, per quel che si vede, non sono meglio di lui. Ma non è questo il punto. Il punto è che l’onere di dimostrarsi all’altezza spetta a chi governa. Gli oppositori possono limitarsi a gridare improperi e a fare confusione.
È stata soprattutto la sfida terrorista ad evidenziare i limiti dell’azione internazionale di Renzi. È vero, c’era in ballo il Giubileo, il che rendeva e rende l’Italia particolarmente esposta al rischio di aggressioni terroristiche ma, comunque, non pare proprio che la reazione di Renzi di fronte agli attacchi di Parigi sia stata adeguata. Sarà stato probabilmente a causa di una maggioranza parlamentare nella quale è così forte il partito del «mettete dei fiori nei vostri cannoni», ma Renzi ha commesso due grandi errori in quel frangente, seminando dubbi sulla propria capacità di guidare il Paese in condizioni di emergenza. Ha preso di fatto le distanze da Hollande negandogli quel sostegno militare che il presidente francese gli aveva richiesto. Con ripercussioni negative anche su altri tavoli europei: non puoi, come ha fatto Renzi, contrapporti al «governo tedesco» dell’Europa se pochi giorni prima hai perso l’occasione di stringere i tuoi legami di solidarietà con la Francia e non sei in grado quindi di rivendicarne l’appoggio. Se il primo errore ha avuto ripercussioni diplomatico-politiche, il secondo ha intorbidito le acque dal punto di vista dell’interpretazione del fenomeno terroristico. Perché siamo stati così in pochi a scuotere la testa quando Renzi se ne è uscito dicendo che, di fronte al terrorismo, bisogna sì investire in sicurezza ma anche in «cultura», bisogna contrastare il degrado culturale delle periferie urbane?

Non che non sia una buona cosa occuparsi del degrado urbano. Ma il fatto è che non c’entra nulla, proprio nulla, con la difesa dall’aggressione terrorista.
Siamo stati in pochi a scuotere la testa perché tanti condividono, o sembrano condividere, l’argomentazione pseudo-sociologica (radicalmente sbagliata) secondo cui il terrorismo islamico sarebbe figlio del «degrado» e della «povertà».
Detto per inciso, è stupefacente che la pensino così anche diversi cattolici: se costoro, infatti, considerano il radicalismo islamico (che è comunque frutto di scelte religiose) un fatto «sovrastrutturale» in senso marxiano, dipendente cioè dalle condizioni «materiali», come fanno poi a non pensare la stessa cosa del proprio cattolicesimo, della propria scelta religiosa? Le prese di posizione di Renzi non sono state comunque all’altezza. In una situazione di emergenza serve un Churchill, non un Andreotti (pur con tutto il rispetto dovuto ad Andreotti). Vero è naturalmente che l’Italia è impegnatissima sul fronte mediorientale. I nostri soldati verranno impiegati nella difesa della diga di Mosul. E sono anche impegnati da tempo con compiti vari (addestramento truppe, logistica) a sostegno di coloro che combattono sul terreno contro lo Stato Islamico. Nessuno di questi compiti prevede, se non a fini strettamente difensivi, la partecipazione a scontri a fuoco. La causa, plausibilmente, è che, in caso contrario, la maggioranza parlamentare si squaglierebbe. C’è poi la diplomazia. Abbiamo svolto un importante lavoro di sostegno per favorire un accordo, in funzione anti Stato Islamico, fra le diverse fazioni libiche. E abbiamo rivendicato a più riprese per noi stessi un ruolo preminente nel futuro processo di pacificazione della Libia. Ma le nostre condizioni politiche interne lo permetteranno? Sarà impossibile pacificare la Libia senza usare la forza. Che succederà a Roma quando arriveranno le notizie dei primi scontri a fuoco fra italiani e jihadisti?
In condizioni di emergenza, un vero capo politico si rivela tale perché non si mette a rimorchio della sua maggioranza, si sforza di rimodellarla, come fosse creta, di imporle una diversa visione delle cose. Renzi non ha ancora mostrato di possedere una tale qualità.

 

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