giovedì 18 febbraio 2016

"FINITA LA FORTUNA DI RENZI" . IL RESPONSO DEL FINANCIAL TIME

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Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. I duri, in genere, oltre ad essere tosti, sono anche freddi, lucidi. Non rancorosi e "rosiconi" (termine romano per indicare i permalosi oltre misura).
Il nostro primo ministro sembrerebbe appartenere più alla seconda categoria che alla prima.
La reazione scomposta a seguito dello sgambetto grillino sul DDL Cirinnà ne è l'ultima testimonianza, ma da tempo renzino ha perso la brillantezza e l'ottimismo degli inizi.
Basti vedere i pericolosi frontali con la Germania e Bruxelles.
Ricordo, ai tempi del liceo, che  ero considerato un contestatore, uno di quelli che criticava apertamente i professori. Non ero il solo, ovviamente, ma io ero l'unico di quelli" bravi", con buoni voti.
E questo mi dava una posizione di "autorevolezza", laddove gli altri compagni erano in inevitabile forte sospetto di contestare per giustificare le loro magagne.
Anche in questo caso, mi pare evidente che il premier vada accostato ai secondi.
Pure i giornali stranieri - quelli tanto citati quando parlavano male del cavaliere - si sono accorti dell'appassimento dell'uomo, del suo crescente nervosismo. Io non oso immaginare se fosse stato Berlusconi a pronunciare le parole di Renzi contro le banche tedesche...
E non si tratta se siano cose vere o meno - penso di sì - ma della saggezza che deve essere prerogativa di un uomo di governo e che invece qui latita. Negli incontri privati si possono dire le cose fuori dei denti, non sulla stampa, dove certe esternazioni, magari utili per la propaganda, ma non per il raggiungimento di validi compromessi, potrebbero essere pagate care.
Il Financial Time insinua "Esaurita la fortuna di Renzi".
A mio modesto parere, quella fortuna è sempre stata personale, e non ha mai coinciso con quella dell'Italia.



La spinta smarrita del premier

di Antonio Polito
 
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Che cosa non ha funzionato? Dove ha sbagliato Matteo Renzi? Perché, a due anni dal suo insediamento a Palazzo Chigi, l’Italia sembra rallentare, appesantirsi, smarrire la spinta propulsiva che la fulminea ascesa del nuovo premier le aveva impresso?
Se lo chiedete a lui, la risposta sarà più o meno questa: sta funzionando tutto, il Paese si è rimesso in marcia, alla faccia dei gufi, e basta con questi zero virgola. È un modo possibile di guardare alle cose: tutto sommato un anno fa eravamo ancora in recessione. Ma forse pecca di eccessivo ottimismo. Su di noi si stanno infatti addensando nubi minacciose, visibili a occhio nudo. Cresciamo a un ritmo che è la metà della media europea, di questo passo ci vorrà un decennio solo per tornare alla ricchezza che avevamo prima della crisi; e quel che è peggio cresciamo con l’andatura del gambero, un decimale in meno ogni trimestre, dallo 0,4% di inizio 2015 allo 0,1% della fine. Siamo entrati senza slancio in un anno molto più in salita del precedente, in piena turbolenza dei mercati, con le banche sotto tiro e cariche di sofferenze, i Paesi emergenti che non tirano più come prima, e la guerra alle porte di casa.
Per quanto si possa accogliere l’appello patriottico a parlar bene del nostro debito pubblico per proteggerlo dalle agenzie di rating, corriamo il rischio che non scenda nemmeno quest’anno pure essendoci impegnati a farlo: la nostra vulnerabilità tornerebbe elevata, e il Nord Europa proverebbe a farcela pagare.

La gravità dell’allarme è stata ieri indirettamente confermata dal premier in persona, quando ha annunciato davanti al Parlamento che l’Italia metterà il veto a qualsiasi proposta europea di fissare un tetto alla quantità di titoli del debito posseduti dalle nostre banche: sarebbe un colpo durissimo per la stabilità finanziaria del sistema Italia. La tensione è tale da aver indotto Renzi a una mossa del tutto estranea al galateo dei rapporti tra Paesi europei e al dovere di neutralità nei confronti del mercato: sollevare pubblicamente dubbi sul patrimonio della «prima e seconda banca tedesca», due aziende quotate in Borsa. Un episodio che certamente non agevolerà la distensione al vertice che comincia oggi. Anche chi vede la serietà di tutti i problemi che si stanno accumulando potrebbe però concludere che la colpa non è del governo, ma di una congiuntura diventata all’improvviso sfavorevole. «Si è esaurita la fortuna di Renzi», ha titolato un Financial Times di nuovo pessimista sul nostro Paese.
In effetti attribuire le oscillazioni del Pil a Palazzo Chigi è sempre un po’ azzardato, nella buona e nella cattiva sorte. La crescita non si fa per decreto. Però, in ogni caso, resterebbe aperta la domanda: nelle mutate circostanze, che si fa? Come si reagisce? Esiste un piano B?
Un errore di Renzi potrebbe essere stato proprio questo: aver scommesso anzitempo sulla ripresa, aver venduto la pelle dell’orso della crisi prima che fosse davvero archiviata. Alberto Mingardi, su PoliticoEurope , sostiene addirittura che esistono due Renzi: il primo più innovativo e coraggioso che scosse il Paese avviando numerose riforme dal lato dell’offerta, il secondo più affamato di consenso che adesso punta sulla domanda, e ricorre alla spesa pubblica nella speranza finora dimostratasi vana di rilanciare i consumi.
C’è questo alla base della tensione con l’Europa: Renzi sembra convinto che l’Italia abbia finito i suoi compiti a casa (ieri ha ripetuto più volte al passato la frase «abbiamo fatto le riforme») e pensa che ora non le resti che riprendere a spendere più liberamente. I deludenti dati del Pil non hanno certo dato forza e argomenti a questa sua battaglia. Sarà il 2016, anno elettorale, a chiarirci se stiamo ripiombando nel nostro passato o si tratta solo di una sbandata passeggera. Ma sul piano politico una cosa si può dire. Questa pedagogia, l’illusione che recuperare la grandezza dell’Italia sia possibile senza riscoprirne anche le antiche virtù, e che il peggio sia passato, e che tutti abbiano diritto a un bonus, non sta giovando allo spirito pubblico della nazione, ben lungi da quel sentimento di speranza e di coesione che due anni fa accompagnò la marcia di Renzi su Palazzo Chigi. Lo si capisce da tanti segnali, a partire dalle inedite difficoltà che il grande domatore del Parlamento sta incontrando in questi giorni al Senato. Poiché si tratta dell’unico premier che abbiamo, almeno per questa legislatura, c’è da sperare che Renzi ne sia consapevole, e sia capace di un nuovo inizio.

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