lunedì 1 febbraio 2016

UN FASCISTA PERBENE

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Come preannunciato, ho acquistato il libro di Pierluigi Battista "Mio padre era Fascista", e l'ho letto.
Le belle recensioni di Cazzullo del Corsera e di Annalisa Terranova, del Secolo d'Italia, sono ampiamente meritate, così come il conciso, pudico commento del fratello e amico, Domenico, che me lo segnalava : BELLO.
Io avevo letto altri due libri di Battista, molto diversi  ( Lettera ad un amico antisionista e La fine del Giorno), e mi erano piaciuti entrambi.
Questo di più. Molto di più.
Non mi lancerò in una simil recensione, che farei figure misere rispetto ai due valenti giornalisti che ne hanno scritto ( quella di Cazzullo l'ho riportata : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2016/01/vedi-de-ringrazia-tu-padre-pierluigi.html ) , mi limiterò a dire le cose che mi hanno più colpito.

- IL CORAGGIO DELL'AUTOCRITICA   Pierluigi Battista, nel raccontare il suo difficile, in certi momenti faticoso, anche doloroso rapporto col padre, non ha pietà per se stesso.  In fondo lui è l'attore non protagonista del libro, compare spessissimo, e si rappresenta in modo severo, per nulla compassionevole. Io non so se gli altri lettori hanno avuto, avranno, la mia stessa sensazione, ma io, in questo duello padre e figlio, voluto dal secondo che sentiva il bisogno, per non affogare nel senso della sconfitta che, sempre, sembra accompagnare il padre (uomo pur capace di varie eccellenze, nella professione in primis, ma anche bravo marito, buon padre,  amico leale...) , non solo di prenderne le distanze ma di attaccarlo ogni piè sospinto, arrivando a inventare, presso gli amici e i loro familiari, maltrattamenti  subiti dal genitore, al solo fine di suscitare comprensione e compassione, mi sono schierato tutti i giorni col primo, la domenica due volte...
Eppure non è Vittorio Battista padre che scrive, è Pierluigi il figlio. Com'è possibile che l'autore si tratti così "male" ?
Forse il senso di colpa tardivo (un classico assoluto della psicanalisi : sempre solo dopo la morte del genitore, quando il tempo, che si pensa infinito, improvvisamente svanisce ) ? 
Oppure un ultimo, supremo atto d'amore, per risarcire quello, infinito, che il padre gli aveva mostrato sempre, affannato e vanamente prodigo nel tentativo di ricordargli che loro erano padre e figlio, e che la diversità di idee politiche non poteva, non doveva MAI cambiare questo. Devo dire che in certe pagine ho provato rabbia nei confronti di questo figlio che mi sembrava ingrato (lui e, sullo sfondo, forse anche qualche fratello, forse più sorella...erano quattro in tutto) nei confronti di un padre che non aveva fatto mancare assolutamente nulla alla propria famiglia, amata profondamente in tutti i suoi componenti . Certo, un padre ingombrante, e dolente, col suo cruccio immenso per la sconfitta, per l'essere "un esule in patria", come tutti i reduci di Salò che non avevano fatto abiura. Uno che non solo non riusciva a rinnegare le idee in cui era cresciuto in gioventù, ma che non ammetteva di aver militato nella parte sbagliata, e detestava gli "altri", a partire dai voltagabbana ( c'è qualcuno a cui piacciono?), e proseguendo coi rossi, partigiani e comunisti, per finire agli americani, per quanto utili come scudo contro i russi...
Non devono essere state passeggiate soavi quelle trascorse a visitare i luoghi del ventennio, con la voce narrante del padre a celebrare le cose buone di Mussolini ( le stesse che mi raccontava mia nonna, anche lei fascista e poi missina...ma senza assolutamente il pathos, il dolore sempre latente di Vittorio Battista ).  Però, quando i figli si ribellano - l'autore racconta la propria ma si capisce che è anche degli altri, e mi è rimasta la curiosità se vi fu anche quella di Domenico, il fratello più grande - , scelgono di "uccidere il padre" , preferendo la parte "giusta" per non farsi risucchiare per sempre nel grigio cupo di quella di lui, "sbagliata", lui non smette per un attimo di amarli, e non li ostacola, non "caccia" nessuno e anzi si addolora infinitamente quando saranno loro ad andarsene.
Nel suo essere dalla parte sbagliata, Vittorio Battista viene descritto da Pierluigi come un gigante, e i figli appaiono piccoli, molto piccoli.
Almeno questa è l'effetto che ha fatto a me. E mi ha colpito, perché in genere chi scrive di se stesso (anche, in questo caso, perché il protagonista assoluto resta il padre, Vittorio) , lo fa con molta più indulgenza.
- IL RITRATTO  ACCENNATO MA INCISIVO DI CERTA  ITALIETTA REPUBBLICANA
Parlando di suo padre, Pierluigi Battista coglie lo spunto per tratteggiare velocemente almeno vent'anni della storia italiana, quelli che vanno dal '68 agli anni di piombo, passando per i morti di destra e sinistra. Le pagine tragiche in cui descrive la morte dei fratelli Mattei, a Primavalle, perché "fascisti" (in realtà lo era il padre, ma per chi accese il rogo non faceva differenza) fanno ribollire il sangue, come ribollì al giovane Pierluigi, militante allora (oggi credo lo si possa definire un Liberal ), nell'estrema sinistra ma non farabutto, e quindi incapace di non vedere l'orrore nelle pagine dell'istruttoria che il padre, angosciato, gli fa leggere, violando il segreto a cui professionalmente è tenuto.
In altre pagine, ritorna forte l'autocritica dell'autore nel descrivere se stesso e i suoi compagni, borghesi privilegiati che si atteggiavano a rivoluzionari, accaldati e agitati in discorsi di fuoco, interrotti amorevolmente da mamme di sinistra che portavano loro tè e biscotti.... "Diventerete tutti notai" gridava loro Eugene Ionesco, senza sbagliare di molto la sua profezia.
UNA PERSONA PERBENE
Questo lo sapevo già, di Vittorio Battista. Lo avevo capito dalle rare parole, piene però di amore e di ammirazione, che avevo ascoltato da Domenico, che aveva seguito le orme professionali paterne. Non sembra in fondo una gran cosa, da dire, di un uomo.
E invece lo è, perché non è poi così scontato e diffuso.
Di più in un uomo con le ferite di chi aveva visto crollare il suo mondo e pure gli era rimasto fedele, subendo per questo la prigionia, il dileggio, gli sputi. Anche dopo, quando la bravura professionale avrà operato un sostanziale riscatto, assicurando a se stesso e ai suoi sicurezza e decoro, Vittorio Battista non si pacificherà veramente mai, eppure continuerà sempre ad amare il suo paese, la sua "patria".
Un fascista sì, per bene. Ce ne furono, tanti. E per forza poi, se pensiamo che negli anni '30, trovare italiani non fascisti era assai difficile. Tutti "per male" ? E poi, cosa era successo ? Lavati con la candeggina ?
Ecco, Vittorio Battista non si volle "lavare", ma per bene c'è rimasto lo stesso.

Mentre sfogliavo avidamente le pagine del libro (ho impiegato il we a leggerlo, e mi è dispiaciuto finirlo), con la mente sono andato sovente a Domenico.
Sono molto affezionato a quello che considero il mio "maestro" delle cose del processo penale, e immaginando il padre, lo vedevo somigliante a lui, non al minore.
Domenico è un omone imponente, alto, dall'ottimo appetito, appassionato (a volte animoso ?) nelle sue cose, che siano le battaglie per il "giusto processo", la vita (lunga !) delle Camere Penali, la Maggica (Roma).  Ha una moglie, tre figli e una nipotina e li adora letteralmente e teneramente.
Ecco, mi piace pensare che forse lui, che mi sembra così simile, per tante cose, a quel padre così vividamente, tragicamente e magnificamente descritto dal fratello, gli abbia risparmiato quel senso di tradimento, vissuto con  angoscia, che  la loro madre rivelò a Pierluigi, raccontandogli di notte insonni passate nel tormento di una frattura così dolorosa.
Quella dei figli nei confronti del padre.
Un fascista per bene.


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