martedì 24 maggio 2016

SOSPIRO DI SOLLIEVO PER L'AUSTRIA, MA LA SPACCATURA A VIENNA è SPECCHIO DI QUELLA EUROPEA

Risultati immagini per VITTORIA DI UN SOFFIO IN AUSTRIA

Tutti ad applaudire per lo scampato pericolo, la mancata elezione, per 30.000 voti circa, del leader dell'ultradestra austriaca, Hofer, alla carica di Presidente del paese.  E fin qui, ci sta, ma non oltre questo. Intanto, gli austriaci che vivono in Austria, avevano eletto Hofer, con uno scarto anche qui basso ma già maggiore , e per ribaltare il risultato ci sono voluti i voti dei residenti all'estero, ovviamente meno sensibili ai problemi di immigrazione e multiculturalismo, e poi stiamo parlando di un paese spaccato in due dove una metà e compatta, l'altra è un'alleanza "contro". 
Va bene per impedire alla prima di vincere, sia pure di un soffio, ma per governare ? L'abbiamo visto nella seconda repubblica italiana, coi cartelli elettorali fatti per vincere le elezioni, ma poi quasi impossibili da gestire per governare coerentemente.
Fa ridere leggere titoli dove è scritto che sono stati i verdi a fermare i "bruni", semplicemente perché il presidente alla fine scelto proviene da quell'area.  Van der Bellen, al primo turno, aveva preso il 20% dei voti !!,  Hofer il 36%. Per fortuna, imparate gente, non è previsto che chi arriva primo vince comunque - come accadeva da noi col Porcellum dichiarato incostituzionale per questo, ma tocca leggere che un uomo preparatissimo e intelligente come Panebianco recrimini sulla decisione della Consulta...- , senza il 50% si va al ballottaggio, e così si è potuta creare la santa alleanza anti destra, che per un pelo ce l'ha fatta. Ma lì dentro ci sono tutti : verdi, socialdemocratici, conservatori...Ok per fermare Hofer, ma se dovessero governare insieme ?
In Austria la partecipazione al voto è stata ampia, oltre il 70% degli aventi diritto, e questo legittima il risultato, da un punto di vista politico sociale (giuridicamente il problema non viene posto, e invece per me si dovrebbe). 
Resta comunque il problema, grave, di un paese diviso, anzi spaccato. Attenzione che non si convive bene in una nazione che non ha un prevalente comune sentire.  I politici più avvertiti lo sanno : non si governa un paese col 51%, si e no lo si amministra, che infatti è quello che con fatica da noi avviene da decenni (forse da sempre, con qualche rara stagione veramente innovativa e intraprendente, come nel ventennio della ricostruzione) . Figuriamoci se quel 51% è fittizio, e in realtà corrisponda ad un consenso che a stento arriva al 25...
A me sembra così lapalissiano, e invece mi tocca sentire ripetere il mantra renziano del "sapere la sera chi ha vinto".
Se il consenso è irrilevante, perché non giocarsela tirando a  sorte ?
Qualcuno lo propone...
Tornando alle cose austriache, la forza populista arriva ad un metro dal traguardo, e conferma il vento anti immigrazione e lo scetticismo anti unione europea. In Ungheria, in Polonia, in Slovacchia, governano forze non in linea col politically correct europeista, tra un po' si vedrà che fa la Gran Bretagna e l'anno prossimo potrebbe accadere il disastro, con la vittoria della Le Pen in Francia.
Certo, potrebbe ripetersi quanto avvenuto adesso in Austria, con una Santa Alleanza contro gli "impresentabili", anzi è verosimile, e lì già accadde, e nel 2002 se ne avvantaggiò Chirac, che prese l'80% dei voti al ballottaggio.  Altri tempi.  Specialmente se la disputa finale fosse con un socialista, presumibilmente il presidente uscente, Hollande, io cento euro li scommetterei sulla "sorpresa".
Sul Corriere appare oggi una interessante riflessione sul voto austriaco con l'intervista al politologo francese Dominique Reyniè.
Condivido assolutamente tutte le considerazioni preliminari, non invece le ricette risolutive. Non perché siano sbagliate - forse anche un po' - ma perché non in linea coi tempi.
Se l'Europa non ritrova il benessere economico - e secondo me ai livelli della seconda metà del ventesimo secolo non ci si tornerà più - non saranno le parole d'ordine dell'intellighenzia colta a spezzare le reni alle forze più reazionarie.
Certo, fa riflettere che l'onda fortemente ostile all'immigrazione sia forte anche nei paesi economicamente più solidi, ma sospetto che c'entri l'osservazione dei problemi, grandi, che si osservano nei paesi vicini, e allora si preferisce "prevenire".
Buona Lettura





Reynié: sbagliato esultare, servono risposte vere

di Stefano Montefiori

COSI' AL PRIMO TURNO
 

«I successi dei populisti non sono più episodi. Bisognerebbe scongiurarli elaborando un’altra proposta politica, non esultando perché si è salvi per miracolo, grazie a qualche migliaio di voti in più». Lo dice al Corriere il politologo Dominique Reynié.

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PARIGI «La parola che ricorre più di frequente in queste ore è “sollievo”, l’ha usata anche il premier francese Manuel Valls. Mi pare una reazione totalmente inadeguata. I successi dei populisti non sono più episodi. Bisognerebbe scongiurarli elaborando una vera proposta politica, non esultando perché si è salvi per miracolo, grazie a qualche migliaio di voti in più». Dominique Reynié, 55enne politologo di Sciences Po (e candidato alle ultime Regionali per la destra dei Républicains), è autore di «Les nouveaux populismes» (Fayard), saggio di riferimento sui populismi europei.

Quel è il significato del voto austriaco per l’Europa?

«Mi sembra esemplare della situazione occidentale, considerando anche gli Stati Uniti di Trump. Il candidato del FPÖ sfiora il 50%, davanti a un candidato senza partito, ecologista ma indipendente, sostenuto in modo sia pure discreto da tutti gli altri, che tuttavia non supera a sua volta il 50%. È spettacolare, non siamo più all’80-20 di Chirac-Le Pen alle presidenziali francesi del 2002. Dopo i populismi che appaiono sulla scena, e che si rafforzano, siamo arrivati alla terza fase, quella dei populismi pronti a governare. In Ungheria, Polonia, Slovacchia, Austria — alle prossime legislative il FPÖ potrebbe conquistare la cancelleria — e perché no Francia, con Marine Le Pen nel 2017».

Sono saltate le barriere?

«A livello culturale sicuramente. E i partiti tradizionali non fanno che peggiorare le cose. La gioia, il sollievo nel commentare la vittoria in extremis di Alexander Van der Bellen danneggia l’unica cosa che ancora potrebbe aiutarci, ovvero il gioco democratico».

In che modo?

«I milioni di voti per i populisti vengono di fatto considerati illegittimi. Se i candidati hanno il diritto di presentarsi ma non di vincere, allora perché lasciarli partecipare? Questo disprezzo rafforza l’impressione, sbagliata ma sempre più diffusa, che la democrazia sia una farsa».

E l’Austria conferma che i populisti avanzano anche nei Paesi ricchi.

«Nel mio vocabolario distinguo tra due tipi di populismo, basati su patrimonio materiale e immateriale. Il primo dilaga nei Paesi in crisi economica, la gente vota in risposta alla disoccupazione, alla diminuzione del potere d’acquisto, in Grecia per esempio con Alba Dorata. È il populismo delle classi popolari. Ma è in crescita anche il populismo delle classi medie e superiori, legato a fattori culturali, immateriali: lo stile di vita, il rigetto della società multiculturale, la paura dei migranti. Per esempio, le aggressioni sessuali di Colonia in Austria hanno contato molto. Questo secondo tipo di populismo lo troviamo anche in Svizzera e in Norvegia, Paesi senza disoccupazione che neppure fanno parte dell’Unione Europea».

Come rispondono i partiti tradizionali?

«Con due errori gravissimi. Il primo, che risale agli anni Sessanta, è non avere preparato i cittadini alla società multiculturale, dandola per scontata. Così facendo, hanno lasciato il tema nelle mani dei populisti. Il secondo errore, più recente, è quello di essersi messi a imitare questi partiti».

In Francia lo ha fatto anche la sinistra al governo, riprendendo l’idea della revoca della nazionalità, vecchio cavallo di battaglia del FN.

«Una cosa incredibile. Una grande sconfitta ideologica, e una vittoria indubbia per i populisti. Copiarne le ricette significa ammettere la loro superiorità intellettuale, e legittimarli. I cittadini finiscono per preferire l’originale».

In Austria i socialdemocratici e i conservatori sono stati spazzati via al primo turno. Una crisi simile è prevedibile anche nel resto dell’Europa?

«Certamente. Guardiamo alla Grecia, alla Spagna, ma anche alla Germania, dove la SPD secondo i sondaggi è ridotta al 19% e dove la CDU di Merkel dovrà vedersela con l’estrema destra anti-immigrati del partito AFD».

Il prossimo trauma sarà Marine Le Pen presidente della Repubblica francese?

«È una partita aperta, e il clima culturale è già pronto. Guardate quel che è successo con lo stato di emergenza, la riforma della Costituzione: nessuno, a parte l’estrema sinistra, ha difeso le libertà. Un vero gruppo intellettuale liberale avrebbe dovuto insorgere, spiegare che in tempi straordinari come questi non si possono toccare le libertà fondamentali, la Costituzione... Niente. Silenzio assoluto».

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