Ecco, quelli della Fondazione Hume riportano l'attenzione su un aspetto noto, assolutamente, che è il vero cancro della società italiana, la BUROCRAZIA, unito all'altro che è la NON cultura di impresa che ha sempre caratterizzato un paese troppo cattocomunista nelle sue viscere.
Di seguito due interventi di Luca Ricolfi e Roberto Galullo, tratti dai contributi del rapporto della Fondazione, che può essere letto nella sua interezza sul sito internet del Sole 24 Ore.
Buona Lettura
I rapporti Fondazione Hume
L’arma per combattere il virus si chiama cultura pro-impresa
Fra i fenomeni sociali, la corruzione è probabilmente uno dei più elusivi e difficili da misurare. Con tutti i loro limiti, però, i vari indici proposti per misurare il fenomeno risultano sostanzialmente concordi.
L’analisi condotta dalla Fondazione David Hume sui tre principali indici impiegati nei confronti internazionali (si veda alle pagine 6 e 7) mostra che, nel periodo 2007-2013, il drappello di testa e quello di coda sono rimasti sempre i medesimi. I “magnifici sette”, costantemente collocati nelle dieci posizioni più virtuose sono (nell'ordine) Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia, Svizzera , Olanda e Norvegia.Mentre i peggiori sette, costantemente collocati nelle ultime 10 posizioni, includono purtroppo anche l’Italia, insieme a Messico, Grecia, Slovacchia, Turchia, Repubblica Ceca, Ungheria.
Naturalmente è possibile che la cattiva posizione del nostro paese sia anche, in qualche misura, dovuta alla sua cattiva reputazione (che influisce sulla percezione degli osservatori e può esercitare qualche influenza sugli indici statistici, specie se quel che tentano di quantificare non è la corruzione ma la sua “percezione”), e che la nostra posizione effettiva sia un po' meno preoccupante di come appare. Ed è anche possibile che indici più ancorati a dati oggettivi, o basati su anomalie effettivamente rilevate, anziché alle valutazioni soggettive di testimoni più o meno privilegiati, forniscano un quadro meno inquietante (un punto, questo, di recente toccato dal presidente Anac Raffaele Cantone nell'intervista al Sole 24 Ore del 13 luglio).
Su alcuni aspetti del fenomeno, ad esempio, circolano convinzioni del tutto o parzialmente infondate. È del tutto campata per aria, ad esempio, la stima di 60 miliardi all’anno dei costi della corruzione in Italia: una cifra citata innumerevoli volte ma del tutto priva di una base scientifica (si veda l’articolo di Caterina Guidoni). Così come è largamente sopravvalutato il radicamento delle attività criminali specificamente mafiose nel Centro-Nord, un punto ampiamente discusso nel dossier della Fondazione Hume sulla base di varie fonti di dati.
Altrettanto controversa è la questione degli effetti della corruzione sull’economia, anche se su alcuni di essi, ad esempio il disincentivo agli investimenti esteri, pare esservi un relativo consenso. Qui il problema è che la corruzione esercita i suoi effetti (sia negativi sia positivi) attraverso molteplici canali di trasmissione, ed è quasi sempre impossibile isolare tali effetti da quelli delle molte variabili che intervengono sui medesimi canali.
Molto più chiari, in compenso, sono i meccanismi che favoriscono o inibiscono la corruzione. Alcuni di essi non sono governabili, perché attengono alla cultura di un paese o alla sua storia: a parità di altre condizioni, ad esempio, essere un paese protestante, o un’ex colonia inglese, sono fattori che riducono il tasso di corruzione.
Altri fattori, invece, sono relativamente governabili, e meritano quindi tutta la nostra attenzione. I due più potenti meccanismi che possono immunizzare un paese dal virus della corruzione sono il suo capitale sociale, ovvero la ricchezza e la qualità delle relazioni fra i suoi abitanti e, soprattutto, quella che potremmo battezzare la sua cultura pro-impresa: un complesso di condizioni fatto di apertura dei mercati, burocrazia leggera, iter amministrativi brevi, giustizia civile funzionante, e così via. Su questo, sulle cause della corruzione, l’evidenza empirica è molto più robusta che sulle sue presunte e molteplici conseguenze: non esistono paesi irrimediabilmente corrotti, ma esistono precise condizioni che possono incentivare o inibire i fenomeni corruttivi.
Questa asimmetria nello stato della letteratura socio-economica, per cui vi è sostanziale accordo sulle cause, ma incertezza di fondo sugli effetti, è tutto sommato un’ottima notizia: sarebbe molto più preoccupante che conoscessimo gli effetti, ma fossimo ignari delle cause.
La corruzione, infatti, è un male in sé, a prescindere dalla natura degli effetti ulteriori, positivi o negativi, che può eventualmente produrre. E questo per l’elementare ragione che una società corrotta non può essere né libera, né giusta, né aperta.
Non abbiamo bisogno di sapere che la corruzione ha anche conseguenze economiche negative per convincerci che dobbiamo combatterla. Ma ci è utilissimo sapere quali sono le condizioni economiche e sociali che la favoriscono, perché è innanzitutto rimuovendole che possiamo sperare di vivere in un paese pienamente civile.
Corollario all'ampia premessa di Ricolfi, la nota successiva di Roberto Galullo, che riporto quasi interamente
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Sono stati, tra l’altro, individuati i Paesi sempre nelle prime 10 posizioni nel 2007, 2010 e 2013 secondo tutti e tre gli indicatori (Paesi puliti) e i 10 sempre nelle ultime (Paesi corrotti). Sono sette sia le nazioni pulite che quelle corrotte. Tra le prime Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia, oltre a Nuova Zelanda, Svizzera e Olanda. Tra i corrotti figura invece l'Italia, con Grecia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Turchia e Messico.
Mal di burocrazia
Perché tanta differenza nei livelli di corruzione pubblica? La Fondazione Hume lo spiega grazie a tre indici: facilità nel fare impresa e apertura dei mercati; capitale sociale; infine, capitale umano.
Nella classifica della facilità nel fare impresa (secondo grafico a lato), l’Italia si colloca piuttosto indietro, con un valore inferiore alla media e ai principali Paesi di riferimento europei. Davanti a tutti c’è l’Irlanda che, per questo, negli anni passati ha registrato una forte crescita e più recentemente un consistente recupero dalla pesante crisi economica. Seguono ancora una volta i Paesi del nord Europa, il Regno Unito e le ex-colonie inglesi.
Quanto all’indice del capitale sociale (terzo grafico) – che aggrega il livello di fiducia generalizzata, la percentuale di donne che siedono in Parlamento e la diffusione di organizzazioni/associazioni della società civile – l’Italia si trova ancora ad avere un punteggio inferiore alla media dei Paesi Ocse. Quelli che hanno i punteggi più elevati e, dunque, maggiore dotazione di capitale sociale sono ancora quelli del nord Europa, oltre a Nuova Zelanda e Svizzera.
Anche la misura del capitale umano – generato dalla percentuale di studenti delle scuole primarie e secondarie che raggiungono o superano un livello base di abilità matematica e scientifica, accesso e qualità dell’istruzione e, infine, livello di istruzione della popolazione di 25 anni e più – colloca l’Italia nelle retrovie con Grecia, Portogallo, Cile, Messico e Turchia, mentre in testa ci sono Stati Uniti, Canada e Australia.
La percezione regionale
In tutta Italia, anche dove il problema sembra meno diffuso, i valori osservati sono sensibilmente superiori alla media europea rispetto ad altri due indicatori considerati (secondo grafico sopra al titolo): la percentuale di persone che ritiene che la corruzione sia un problema molto diffuso e la percentuale di chi pensa che il livello di corruzione sia aumentato negli ultimi tre anni.
La situazione è percepita più grave nel Mezzogiorno (Sud e Isole), con sette persone su dieci che pensano che la corruzione sia molto diffusa e otto su dieci che sia aumentata negli ultimi tre anni. Oltretutto nel Sud pesano moltissimo le mafie, vale a dire l’altro volto della corruzione in Italia. «La diffusione della corruzione nella società, nell’economia e nella politica - evidenzia a questo proposito la Fondazione Hume - esercita in Italia un effetto di attrazione sul crimine organizzato, che è quindi incoraggiato a partecipare allo scambio corruttivo, generando un circolo vizioso che si autosostiene».
Con valori inferiori a quelli medi italiani si trova invece solo il Nord-Ovest, dove quasi uno su due ritiene che la corruzione sia molto diffusa e due su tre che sia comunque aumentata. Nel Nord-Est e nel Centro i due indicatori considerati mostrano valori intermedi, con una percezione di maggiore diffusione nel primo caso e di maggiore aumento nel secondo
Le cause
Capitale sociale e facilità d’impresa – si legge nel rapporto della Fondazione Hume – tendono a esercitare un effetto congiunto nel ridurre o nell’aumentare la corruzione percepita, ossia tendono a essere entrambi di buono o cattivo livello. Le eccezioni sono Corea, Giappone e Stati Uniti nei quali, mentre la migliore regolazione economica porta a una riduzione della corruzione, la minore dotazione di capitale sociale spinge nella direzione opposta.
Un’altra variabile significativa è il livello di benessere, misurato attraverso il Pil pro capite a parità di potere d'acquisto. Nei Paesi in cui il livello di ricchezza relativa è maggiore sembra essere minore la corruzione percepita.
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