Non si sono presentati all'inaugurazione dell'anno giudiziario, dicendo che non volevano fare uno sgarbo istituzionale. Pinocchi e ipocriti, ma non è che, a livello di sindacato, sia una novità.
L'associazione nazionale magistrati - il minuscolo non è un refuso - non ha mai dato grande prova di sé, ma stavolta hanno voluto assecondare il noto adagio popolare per il quale il peggio non è mai morto, e si sono scelti come capo quello sceriffo del selvaggio west che è Camillo Davigo.
Chissà che sensazione dà potersi sentire tornare giovani, pensarsi potenti come ai tempi di quel comitato robesperriano che fu il pool di Mani Pulite.
Massimiliano Annetta, avvocato, penalista, politico e fine dicitore, lamenta nell'articolo che segue, pubblicato su L'Opinione, la trista presenza del partito delle toghe, quelle che io, sarcasticamente, definisco "illustri", per distinguerle dalle nostre, poveri avvocati senza potere - e pazienza - ma anche senza più autorevolezza - e questo invece è un male grande che andrebbe curato.
Auspica, nel finale, uno che rappresenti lo Stato di Diritto, a cui andrebbe il suo voto.
Credo si tratti di una contrapposizione provocatoria, ché Massimo è troppo politico esperto per sapere che un partito del genere non prenderebbe nemmeno i voti di tutte le Camere Penali.
Lo scrive per biasimare la triste realtà che ha visto e vede una parte di popolo, giacobina e ghigliottinara, pronto a seguire questi tribuni giustizialisti.
magistrati e pm vogliono più potere, come se non ne avessero già infinitamente troppo, ed è indispensabile che la politica argini questa infinita tracimazione.
Ma quale forza, quale leader all'orizzonte per una sì perigliosa e impervia bisogna ?
IL PARTITO DEI PM C’E’. QUELLO DELLO STATO DI DIRITTO
(ANCORA) NO.
Massimiliano AnnettaIeri sera nell’arena televisiva di Porta a Porta è andato in onda l’ormai usuale show di Piercamillo Davigo. Un autentico fuoco di fila di “perle di saggezza” quello regalato dal Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.
La “scaletta” dell’esibizione
prevede, come incipit, che gli unici errori giudiziari sono le assoluzioni,
perché quando il giudice assolve è stato immancabilmente ingannato (già, che
per Davigo gli innocenti non esistono, ma sono solo colpevoli non ancora
scoperti).
Si prosegue con le dichiarazioni
rese alle cinque del mattino in qualche camerone di questura che dovrebbero
diventare prove, ché giustamente cosa vuoi perdere tempo a farlo esaminare
dall’avvocato al processo il testimone, e chi se ne frega se la Costituzione
espressamente prevede il contrario.
Ed ancora, via questo sgradevole
diritto dell’imputato di difendersi; se il giudice non gli crede non deve
condannarlo solo per il reato commesso, ma anche per la menzogna detta a lui.
E di seguito, basta con questi
appelli che fanno perdere tempo, se proprio non li possiamo abolire, quantomeno
eliminiamo questo fastidio del divieto di reformatio in peius.
E infine, come certi comici di
avanspettacolo, per chiudere l’esibizione il cavallo di battaglia ad effetto:
basta con questi processi a piede libero, facciamo come negli Stati Uniti (nota
culla di civiltà giuridica, nella quale ancora si giustiziano i condannati,
salvo poi magari accorgersi che erano innocenti), dove prima si arresta e poi,
magari, si giudica.
Insomma, per Davigo i 42 milioni
di euro che solo nel 2016 ci sono costati gli errori giudiziari e le ingiuste
detenzioni sono un accidente del destino: i magistrati, per definizione, non
sbagliano.
Verrebbe da sorridere,
amaramente, come di fronte a monologhi stanchi di certi attori sul viale del
tramonto. Ma sarebbe un errore, grave, perché si peccherebbe di
superficialità e di miopia.
Di superficialità perché il
sindacato dei magistrati sta tentando di difendere una richiesta corporativa,
quale quella dell’aumento dell’età pensionabile.
E’ una questione delicata. In un
Paese in cui tutte le categorie protestano per andarci prima in pensione, i
magistrati non vogliono andarci, e la ragione è chiara: quando si scende da
certi scranni si perde potere. Insomma, si tratta di rivendicazioni
indifendibili dinanzi all’opinione pubblica, e allora si fa, come dicono a
Napoli, “ammuina”.
Ma, soprattutto, si peccherebbe
di miopia, perché è difficile non cogliere l’aspetto tutto politico della
questione.
C’è una parte importante della
magistratura – evidentemente maggioritaria se è stato eletto Davigo, cui si
possono dare tutte le colpe del mondo, ma non accusarlo di infingimenti: queste
cose le ha sempre dette fin dai suoi anni ruggenti milanesi – che vuole
aumentare il proprio potere.
Insomma, l’assunto è evidente. Là
fuori sono tutti colpevoli, bisogna fare pulizia, e in quest’opera le garanzie
democratiche, il giusto processo, perfino l’equilibrio dei poteri, ed in ultimo
lo stato di diritto, diventano inutili orpelli, quando non anche sgradevoli
scocciature: “torsione autoritaria” del processo, diceva uno, come Luciano
Violante, che i magistrati li conosce bene.
La questione, quindi, è tutta
politica.
Il partito del PM vuole più
potere, e infatti, ancora per bocca di Davigo, minaccia lo sciopero, sempre per
la questione dell’età pensionabile. Ma – a pensar male, come diceva quel tale -
è difficile non cogliere sullo sfondo il tema della riforma del processo
annunciata dal Ministro Orlando.
Del resto non c’è da stupirsi. La
politica è sempre più debole, le istituzioni non se la passano meglio, e i
partiti, che un tempo fungevano da architrave del sistema democratico, sono
tutti morti. E si sa, i vuoti qualcuno finisce per riempirli.
Ma una domanda sorge spontanea:
se l’esistenza del partito dei PM è ormai un dato di fatto, dove sta il partito
di quelli che pensano che debba giungere a conclusione questa lunga stagione di
subalternità della politica alla magistratura, che da oltre vent’anni porta ad
una sostanziale delega alla categoria per ogni quesitone che riguardi la
giustizia?
E ancora, dov’è il leader che con
pacata fermezza vada a spiegare a Davigo che quando un potere dello stato, per
una questione di corporazione come quella delle pensioni, si oppone al potere
legislativo ed esecutivo, rischia di compiere un atto vagamente sovversivo?
La risposta è semplice: non ci
sono né partito né leader. Ed è un peccato, perché ameno il mio voto lo
prenderebbero.
L'avrà il suo leader coraggioso non appena salterà fuori un segretario di partito non ricattabile e con alle spalle un partito che non sia mai stato coinvolto in fatti di corruzione .
RispondiEliminaStiamo freschi.....................
Io la ho la persona giusta
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