lunedì 6 marzo 2017

MIELI CONTRO BATTISTA. IO STO COL SECONDO

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Curiosamente sul Corriere della Sera di oggi sembra proposto un botta e risposta tra due importanti editorialisti del giornale, già direttori e vicedirettori dello stesso : Paolo Mieli e Pierluigi Battista.
Il primo ha l'incubo del ritorno al proporzionale, ai tempi della Prima Repubblica, il secondo ricorda che, alla fine della fiera, con tutti i difetti del mondo, quest'ultima abbia fatto decisamente meglio della Seconda.
Ritengo che abbia ragione il secondo.
Personalmente, non sono un fautore del proporzionale puro, e accetto il principio dell'equilibrio tra principi di governabilità e rappresentatività. Ma sistemi elettorali come quelli partoriti ultimamente dalla fervida fantasia dei nostri politici (Porcellum prima, Italicum poi) erano decisamente sbilanciati per il primo, creando i presupposti per le tensioni politiche sociali garantite da una minoranza più forte che si prende tutto il potere (maggioranza in Parlamento, quindi governo, e quindi forte influenza su Colle, CSM e anche Consulta...quasi una repubblica latino americana...).
Le coalizioni della Prima Repubblica, nei primi 20 anni, erano coese, come non lo sono mai state quelle della Seconda, finalizzate solo a costituire cartelli elettorali vittoriosi, poi incapaci di avere un filo omogeneo e coerente per governare.
Dagli anni 70 in poi, e fino alla fine della sua stagione, anche la Prima iniziò ad essere instabile e rissosa, e noi italiani auspicammo il maggioritario.
La soluzione sta nel mezzo, e va ancora trovata.
Però meglio avere una memoria storica corretta.


La Prima Repubblica
e i suoi detrattori

I partiti che facevano la maggioranza sfioravano quasi sempre il 50 per cento, senza bisogno degli anabolizzanti di premi elettorali mostruosi


Giulio Andreotti e Oscar Luigi Scalfaro al settimo congresso Dc  nel 1962 (Ansa) Giulio Andreotti e Oscar Luigi Scalfaro al settimo congresso Dc nel 1962 (Ansa)

  
Strappare un applauso scontato? Dire: «stiamo tornando ai riti della Prima Repubblica». Con contorno di: «frammentazione dei partiti», «maledizione del proporzionale»; eccetera eccetera. Tuttavia, pur nella damnatio memoriae, dovremmo tentare di salvare qualche brandello di verità storica. Per oltre quarant’anni, accompagnando la grande modernizzazione italiana, la Prima Repubblica ha conosciuto la massima stabilità delle coalizioni di governo: se c’era un difetto era la ripetitività, l’uniformità, la quasi certezza che a strappare la vittoria sarebbe stata la Dc e i partiti ad essa alleati, non certo l’ingovernabilità e il caos. I partiti che facevano la maggioranza sfioravano quasi sempre il 50 per cento senza bisogno degli anabolizzanti di premi elettorali mostruosi, e se il 1953 perse la cosiddetta legge truffa, nei quarant’anni successivi, con la stagione centrista, poi con il centrosinistra e poi con le varie combinazioni del pentapartito, le maggioranze hanno sempre funzionato.

Con il sistema proporzionale c’erano molti partiti, ma mai come nella stagione del maggioritario della Seconda Repubblica, dove le sigle parlamentari si sono moltiplicate con un ritmo assurdo. Le transumanze da un partito all’altro, con cambi di casacca in massa in Parlamento, triste spettacolo nella Seconda Repubblica, nella Prima erano pressoché sconosciute. E non esistevano i ribaltoni, prassi consueta nella Seconda, e i governi che si formavano, e già si vedono i professionisti dell’antipopulismo compulsare infastiditi i loro manuali costituzionali che non prevedono l’elezione diretta del governo, corrispondevano al voto espresso dagli elettori: mai si è data nella Prima Repubblica una maggioranza parlamentare che smentisse quella espressa dalla volontà popolare, fenomeno costante nella Seconda.   



Anzi sì, una volta, tra il ’76 e il ’79, ma era un momento eccezionale, con l’Italia martoriata dal terrorismo e dallo stragismo. Con molti governi, sì, ma sempre dello stesso segno politico, al massimo come compensazione (i rimpasti, le decantazioni, i «balneari» e via bizantineggiando) tra le correnti della Dc: sai che instabilità. Nella Prima Repubblica non c’era la nevrosi delle leggi elettorali perché i partiti, di governo e di opposizione, avevano una cosa importante in una democrazia: molti voti. Oggi, no.

1 commento:

  1. CATERINA SIMON

    Francamente mi pare che in questa "memoria storica corretta" ci siano molti omissis. Per prima cosa si continua a dimenticare o omettere (e qui Battista mi sorprende) che il sistema maggioritario partorito dal nostro allora Parlamento era stato scientemente azzoppato con l'introduzione del 25% di proporzionale. Ciò non consentì al sistema di favorire la formazione di due larghi schieramenti, ma anzi stimolò la frammentazione e la proliferazione di nuovi partiti, poichè tutti i partiti che componevano lo schieramento avevano interesse a far "pesare" i propri voti (cosa peraltro nella precisa intenzione del legislatore). Perciò dire che "Con il sistema proporzionale c’erano molti partiti, ma mai come nella stagione del maggioritario della Seconda Repubblica, dove le sigle parlamentari si sono moltiplicate con un ritmo assurdo" mi sembra un errore di ricostruzione storica notevole. In secondo luogo, ma qui sarebbe troppo lungo da analizzare, c'è da considerare il contesto storico: l'esistenza dei due Blocchi, e l'egemonia delle grandi ideologie politiche, tendevano a polarizzare il voto in modo naturale, ecco perchè i grandi partiti avevano i voti. Come ultima considerazione con il proporzionale abbiamo avuto circa un governo nuovo ogni anno, e il fatto che alla fine fossero sempre formati dalle stesse persone a "corrente alternata" (in tutti i sensi) forse ci hanno garantito stabilità, come dice Battista (sigh), ma ci hanno condotto in una palude in cui il voto dei cittadini contava meno di zero e le responsabilità non erano mai di nessuno. Da TUTTO CIO' abbiamo cercato di uscire con la proposta del maggioritario, il fatto che non abbia funzionato lo si deve al fatto che, proprio perchè lo si temeva, si mantenne la quota proporzionale. Tutto ciò non significa, ovviamente, che si debbano proporre leggi elettorali come le ultime, ma avere una memoria storica corretta resta comunque auspicabile.

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