giovedì 6 aprile 2017

LA GIUSTIZIA NORMALE FUNZIONA MALE. QUELLA SPORTIVA PEGGIO. LE INTERCETTAZIONI FANTASMA DI AGNELLI LA PROVA

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Io credo poco alla giustizia ordinaria, e, come me, ci credono poco gli italiani : due su tre costatano desolatamente che NON funziona (  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/03/un-italiano-su-due-non-si-fida-dei.html ) .
In compenso quella sportiva E' peggio, perché ce l'ha proprio per statuto la sommarietà, che poi significa pressapochezza, pregiudizio, teoremi apodittici. Tutti i difetti della giustizia generale, aggravati dall'alibi della "velocità".  Come se veloce dovesse significare trascurato o peggio.
A questo difetto congenito, si aggiunge l'aggravante della poca affidabilità degli uomini.
Anche qui, gli italiani hanno capito, e da un bel po' , che anche dei giudici fidarsi non è poi così facile.
Uno su due anzi non si fida, tendenzialmente.
Questo dato è costante da almeno un paio di lustri, e grosso contribuito è venuto dal duello rusticano tra magistrati e Berlusconi, dove il pregiudizio politico e personale dei primi contro il secondo apparve evidente ad almeno metà dei cittadini spettatori, con qualche segreto e lodevole dubbio insinuatosi anche tra gli "habentes" che sì, detestavano il Cavaliere, ma erano perplessi dalle decine e decine di indagini e processi nei confronti di un uomo che, fino al suo ingresso in politica, e quindi, fin quasi ai 60 anni, era stato pressoché ignorato dai tribunali della Repubblica (eppure era stato fino ad allora un imprenditore non poco rilevante, occupandosi tra l'altro di TV).
Adriano Sofri commentava la frase ipocrita e stantia che spesso si sente "mi fido dei magistrati", chiosando : "dipende, decido di volta in volta".  Un amico, intelligente, molto, nelle cose vicine a lui (lavoro, famiglia, amici), meno, apparentemente, per quelle della società, dove più spesso gli sento ripetere luoghi comuni e parole d'ordine stucchevoli di una nota parte politica, oggi di moda,  commentò l'osservazione del noto scrittore e giornalista dicendo "troppo comodo così", probabilmente pensando che quel dipende si riferisse al fatto che il magistrato sia "amico" o no, prenda decisioni gradite o meno.
Solo chi non conosce Sofri, la sua storia, passata (anche tragica, e con errori gravi, da lui ammessi) e presente (con un impegno umano, etico e civile che pochissime persone che conosco possono vantare), poteva dare un'interpretazione così misera di quelle parole.
Semplicemente, Sofri non ha il "mito" del magistrato, né un ossequio e una conseguente fiducia "a prescindere" per l'istituzione magistratura e chi la rappresenta.
Sono uomini, e come tali vanno individualmente valutati.
Capaci e non, onesti e non, alieni da pregiudizi politici e non.
Per quelli sportivi valgono le stesse considerazioni, con l'aggravante che quelli diventano tali per nomina, non per concorso (che pure è garanzia assai scarsa, ormai, visto che certi valori di discrezione, di neutralità, di consapevolezza del ruolo del magistrato, voce della legge e non coautore e/o supplente della stessa, sono smarriti) , e più facilmente sono sedotti dalle luci della ribalta mediatica che lo sport, e segnatamente il calcio, offrono.
Tutto questo per dire come non mi sorprendo (semmai m'incaz...) nel leggere che il procuratore federale della federazione calcio, il dott. Pecoraro, già non rimpianto prefetto di Roma (quindi, in buona sostanza, un poliziotto, sia pure di livello extra large) , dopo aver fatto intendere per settimane su tutti i media di avere intercettazioni certe e schiaccianti di Andrea Agnelli che parla con tale Rocco Dominello, pare boss della criminalità organizzata, consapevole del "mestiere" di quest'ultimo, poi, davanti alla commissione anti mafia, soavemente precisa che queste intercettazioni non esistono, che quella conversazione era stata un'ipotesi, probabilmente dedotta dalla Procura (e Spataro, procuratore interessato, ha subito smentito, e infatti a Torino Agnelli e quelli della Juventus sono testimoni, NON indagati).
Questo accadeva ieri.
E sempre ieri, un amico e cliente, nonché tifoso della Maggica..., mi diceva "certo uno schifo...tutte quelle intercettazioni di Agnelli con un boss mafioso, ma cose si fa !"
Così va il mondo.

Il Corriere della Sera - Digital Edition

Pecoraro: Agnelli non accostato a ’ndrangheta

Il procuratore Figc si corregge su un’intercettazione. Ma la Bindi: «Le mafie arrivate al club bianconero»

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ROMA L’intercettazione dello scandalo non c’è più: non esiste la prova che Andrea Agnelli, quando parlava con Rocco Dominello, a processo a Torino per associazione di stampo mafioso, fosse a conoscenza dei suoi legami con la ‘ndrangheta.
E Giuseppe Pecoraro, ex prefetto di Roma, procuratore della Figc, finisce nella bufera: Rosy Bindi, presidente dell’Antimafia, lo stoppa almeno due volte; Armando Spataro, procuratore di Torino, in serata puntualizza con una nota, cui Pecoraro risponde; alcuni membri della Commissione a fine audizione allargano le braccia di fronte a chi sussurra la parola dimissioni.

Ma, nello stesso tempo, è la stessa Bindi a dare un senso al lavoro che l’Antimafia sta svolgendo attorno al calcio, con una chiosa inquietante: «A noi basta sapere che in Italia le mafie sono arrivate perfino alla Juventus». Perciò andrà ancora più a fondo: saranno ascoltati presidenti e dirigenti di Inter, Milan, Napoli, Roma, Lazio, Genoa, Crotone, oltre allo stesso Agnelli, atteso a inizio maggio.

«Hanno arrestato due fratelli di Rocco, ma lui è incensurato: noi parliamo con lui». L’intercettazione, rivelata da Pecoraro all’Antimafia nell’audizione del 7 marzo, non è di Agnelli.
È lo stesso procuratore a riconoscerlo: «Hanno detto di tutto, anche che mi sono inventato un’intercettazione. Non è così, in realtà si tratta di un’interpretazione che è stata data. Noi abbiamo fornito una certa interpretazione, perché sembrava che ci fosse una certa confidenza (tra Agnelli e Dominello, ndr ). Ma da una lettura migliore la attribuisco al pm...».
Precisa Spataro: «L’ufficio si è limitato alla trasmissione degli atti, senza esprimere alcuna interpretazione».
Contro precisazione di Pecoraro: «Non ho attribuito alla procura di Torino alcuna interpretazione».

È su questa spinosa questione che arriva il primo intervento di Rosy Bindi: «Il prefetto Pecoraro in riferimento a quella intercettazione ammette che non si sta parlando di Agnelli». Il secondo riguarda la collocazione temporale dell’incontro tra Agnelli e Dominello: è avvenuto prima o dopo che i fratelli di Rocco fossero arrestati? Dopo, sostiene Pecoraro, e cita le intercettazioni di colloqui tra il presidente della Juve e i suoi avvocati. La presidente lo ferma: «Sostenere che il presunto incontro sia stato anticipato per convenienza è una forzatura». Pecoraro sbotta: «Non ho mai affiancato il nome di Agnelli alla ‘ndrangheta, avrei usurpato ruoli della giustizia ordinaria».

In ambito sportivo, comunque, non cambia nulla: il deferimento nei confronti della Juve è indipendente da tutto questo. «Non devono esserci contatti di quel tipo con la tifoseria, si tratta di bagarinaggio. E la prima responsabilità è del presidente, perché se ne occupava, oppure non ha vigilato. A me interessa che questi biglietti siano stati venduti da soggetti malavitosi, che usavano i proventi anche per sostenere le famiglie dei detenuti».

Stefano Agresti

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