Quando si è in disaccordo con qualcuno, il rischio di travisare, anche in buona fede, le opinioni altrui è forte. Per questo, nel citare il professor Panebianco alla luce dei risultati elettorali inglesi uso la formula dubitativa.
Però credo di non ricordare male nel dire che per il bravo politologo, editorialista principe del Corsera, il sistema elettorale più valido sarebbe l'uninominale secco, proprio della Gran Bretagna.
Ho amici su FB, che stimo molto, come Nicola Scardi, che mi sembra siano dello stesso parere.
A me non dispiace affatto, con l'unica perplessità sul sacrificio accettato della irrilevanza quando addirittura della esclusione di partiti che registrino anche un buon consenso nazionale ma che si rivelino incapaci di affermarsi nei singoli collegi. In questo senso, la quota proporzionale prevista dal nostro vecchio Mattarellum, che era comunque un sistema elettorale maggioritario, mi sembrava e mi sembra una opportuna correzione.
Ciò posto - e quindi ribadita la mia NON ostilità ai sistemi maggioritari, che anzi preferisco pure ma con delle correzioni a salvaguardia del principio di rappresentanza - , se il mio ricordo è giusto, confido molto che Panebianco faccia una sua riflessione su come anche il maggioritario non garantisca sempre e comunque una maggioranza solida. Anzi, in Gran Bretagna è già la seconda volta, nelle ultime tre tornate elettorali, che nessun partito conquisti un numero di seggi che gli garantisca, da solo, il controllo del Parlamento.
Accadde nel 2010, quando Cameron riuscì a riportare i Tories ad essere il primo partito, dopo 13 anni di laburismo, ma senza maggioranza assoluta e riuscì ad allearsi con Clegg, leader dei Liberali (corteggiato anche dai laburisti, preferì alla fine Cameron).
Riaccadrà verosimilmente oggi, con i conservatori che avranno bisogno dei voti del partito nord irlandese, che pare comunque aver già dato la disponibilità a formare il governo.
Negli anni '70 era invece accaduto che non fosse in alcun modo possibile fare alleanze utili e si tornò dopo tre mesi a votare.
Succede, anche tra i migliori.
La sensazione personale è che la tentazione di molti, tra politici ed osservatori, è di rimediare ai possibili stalli che una società divisa può provocare attraverso strane alchimie legislative, più precisamente la scorciatoia dei "premi" al partito che arriva primo.
Ma "più forte minoranza" la chiamano - Sabino Cassese è uno dei suoi fautori, e chissà se anche Panebianco, deluso dal "suo" maggioritario anglosassone, propenda per una simile soluzione.
Anche qui, pragmaticamente, non sono pregiudizialmente contrario, ma condivido appieno il giudizio della nostra Corte Costituzionale che, bocciando prima il Porcellum, e poi il ballottaggio dell'Italicum, ha ricordato che simili premi possono essere attribuiti a patto che il partito vincitore abbia raggiunto una sogli di voti attestante un livello di rappresentanza congruo per giustificare l'acquisizione della maggioranza e dei conseguenti onori/oneri di governo.
Resta che in democrazia le alleanze post elettorali sono contemplate, senza che per questo si debba sempre demagogicamente gridare all'"inciucio" : se nel Paese NON C'E' nessuna forza che ottiene il consenso necessario a governare da sola, che alternativa c'è ? O formare alleanze, su un programma di compromesso condiviso, oppure tornare al voto.
Due parole sulle elezioni inglesi, da cui siamo partiti per fare considerazioni generali.
La May continua la sequenza di leader che NON capiscono l'umore popolare, si fanno ingannare dalle sirene dei sondaggi, e vanno in cerca di avventure che poi pagano salate.
I tories avevano la maggioranza assoluta in Parlamento e l'avrebbero avuta per altri due anni. Invece la May, convinta di stracciare i laburisti dati per non compatti dietro al socialista Corbyn, ha voluto le elezioni anticipate, con il risultato che vediamo.
Se non si dimette, come pare, mostra di essere molto italica più che britannica.
I peana per Corbyn li capisco, tenuto conta che il partito guadagna seggi e nei mesi di campagna elettorale ha recuperato fortemente sulle pessime previsioni. Però due osservazioni mi vengono :
1) pur in rimonta, alla fine tra Tory e Labour ci sono quasi 60 seggi di differenza, non proprio pochi
2) il personale successo di Corbyn non significa una GB che ci ripensa sulla Brexit. Da questo punto di vista, da quel che leggo, l'unico partito dichiaratamente europeista e che in programma aveva posto il referendum per revocare la decisione di separazione dalla UE, è stato quello liberale, che alla fine ha preso solo 12 seggi. Il Labour sulla Brexit ha posizioni non chiare, e comunque la sensazione che la sinistra dà è quella di voler mantenere la separazione, pur con un atteggiamento più morbido e conciliante con le istituzioni europee.
Insomma, quelli che gioiscono vedendo nella sconfitta personale della May, indubbia, un ripensamento inglese, non hanno elementi reali per farlo. Non al momento.
Gb, May pronta a formare nuovo governo: verso alleanza con Unionisti Dup
La premier non si dimette, ma resta forte l'ipotesi che nei prossimi giorni possa farsi da parte, spinta dai malumori tra i tories. In quel caso, il favorito per prendere il suo posto, sarebbe l'attuale ministro degli esteri Boris Johnson. Nordirlandesi disponibili all'appoggio
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINIGoverno Tories-Dup. Sommando i voti dei conservatori e del partito unionista protestante nord-irlandese, il quorum di 326 voti che fornisce la maggioranza assoluta, necessaria a governare, sarebbe raggiunto. Ma se era difficile, secondo la stessa May, trattare l’uscita dell’Unione Europea con la maggioranza uscente di una ventina di seggi, sembrerebbe quasi impossibile farlo con un maggioranza di un paio di deputati, quale sarebbe quella con i nordirlandesi. Che comunque si sono detti disponibili all'accordo. Un’ipotesi è che la premier nei prossimi giorni ammetta di avere comunque “perso la sua scommessa” (titolo del Telegraph) e si faccia da parte, lasciando che sia un altro conservatore a guidare una coalizione così fragile: il favorito, secondo i bookmaker, è l’attuale ministro degli Esteri Boris Johnson, che già aspirava a Downing Street dopo avere guidato alla vittoria il fronte euroscettico nel referendum sulla Brexit e dovette rinunciarvi per le accuse ricevute a tradimento da un suo stretto alleato, l’ex-ministro degli Interni Michael Gove.
Grande coalizione. In teoria la Gran Bretagna potrebbe fare quello che è stato fatto in Germania e altrove: un accordo tra i due maggiori partiti, in nome della stabilità nazionale almeno fino alla conclusione dei negoziati sulla Brexit. In fondo le posizioni di Tories e Labour su questo punto non sono così distanti: entrambi favorevoli, entrambi determinati a ottenere “il migliore accordo possibile” con Bruxelles, con qualche divergenza su atteggiamento da tenere e punti minori. Anche in questo caso è quasi certo che il prezzo dell’intesa sarebbe un nuovo premier al posto di Theresa May. Il vantaggio sarebbe una larghissima maggioranza che rappresenti gli interessi di tutti. Ma le differenze, su tutto il resto a parte Brexit, sarebbero enormi. E dire alla sinistra che deve governare con la destra (in Italia ne sappiamo qualcosa) potrebbe provocare una rivolta nei ranghi dei sostenitori di Corbyn.
Governo di minoranza laburista. E’ un’ipotesi ventilata nella notte da qualche collaboratore di Corbyn. Il Labour potrebbe formulare un programma di governo e sottoporlo ai voti della camera dei Comuni, contando sull’appoggio di tutti i partiti più piccoli e di qualche franco tiratore o astenuto nelle file dei conservatori. Ma sarebbe una navigazione a vista che difficilmente andrebbe molto lontano. E il Labour non pare in grado di formare un’alleanza che arrivi al quorum di 326 seggi.
Nuove elezioni. E’ già successo: anche nei primi anni ’70 ci fu un “hung parliament”, un parlamento senza una possibile maggioranza assoluta, e si tornò a votare dopo tre mesi. Ma gli elettori britannici hanno votato alle europee nel 2014, alle politiche nel 2015, nel referendum sulla Brexit nel 2016, a queste elezioni anticipate del giugno 2017 e per il momento la prospettiva di tornare alle urne in settembre non piace a nessuno.
Scadenze. Il 19 giugno si deve riunire il nuovo parlamento ed è previsto il Queen’s Speech, l’annuale “discorso della regina” che presenta il programma del governo: ma quale programma e di quale governo? Come se non bastasse, lo stesso giorno è in programma a Bruxelles l’inizio ufficiale del negoziato sulla Brexit fra Unione Europea e Gran Bretagna: forse sarà necessario rinviarlo, ma il conto alla rovescia innescato il 29 marzo scorso dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola il procedimento di secessione di uno stato membro dalla Ue, è già iniziato, dura due anni e a questo punto resta già soltanto un anno e nove mesi per concluderlo. Il tempo stringe. Sarà una lunga estate calda per la politica britannica. A chi ha fatto l’ironico tweet sul Regno Unito ingovernabile come l’Italia potremmo suggerire un termine che a Londra certamente non conoscono, ma di cui noi italiani abbiamo esperienza: “governo balneare”.
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