mercoledì 7 giugno 2017

PANEBIANCO E IL TIMORE DELL'ALLEANZA GRILLINI MAGISTRATURA

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La cosa buona quando hai a che fare con persone intelligenti è che anche quando non la pensi allo stesso modo il confronto con loro può essere motivo di stimolo e comunque qualche spunto che condividi, al di là del dissenso di fondo, più spesso lo trovi.
Da un po' di tempo in qua mi capita leggendo gli editoriali di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera. E' iniziata, questa divaricazione di opinioni, con Renzi presidente del Consiglio. Panebianco lo ha sempre sostenuto, ancorché criticamente e, nel tempo, con qualche crescente delusione. E' poi proseguita con la questione della legge elettorale . Panebianco non ebbe ovviamente problemi a riconoscere che l'Italicum fosse un vestito su misura per il Renzi tronfio del dopo europee ( preso il 41%, ecco che la soglia per il premio venne fissata al 40...), e lo avvertì anche che l'abito "teneva difetto". Presuntuoso tanto, ed inebriato dai primi tempi a Palazzo Chigi, Renzi era convinto di non avere avversari in caso di ballottaggio al secondo turno. Col tempo, e altre tornate elettorali, si è accorto che non era esattamente così : in un duello testa a testa, il PD rischiava di perdere addirittura col terremotato centrodestra ma i pericoli veri erano contro i grillini, che potevano fruire del voto "contro" degli elettori di destra molto più di quanto renzino potesse sperare nel voto prudente dei moderati.  Alle scorse amministrative, così è successo praticamente sempre e soprattutto in realtà importanti come Torino e Roma.
La Corte Costituzionale ha tolto le castagne dal fuoco all'ex premier, bocciando il ballottaggio privo di una soglia di partecipazione minima che garantisse che il vincitore, oltre ad arrivare davanti, godesse di una rappresentanza popolare almeno decente.
Panebianco è rimasto contrariato di questa pronuncia della Corte, descrivendola come una "ingerenza" in un campo che dovrebbe essere mero appannaggio della Politica. Che ci sia un problema di tracimazione della giurisdizione è vero, ma che comunque le Corti Costituzionali, in tutti i paesi autenticamente democratici, sorveglino che le leggi non tradiscano i principi della Carta fondativa del patto sociale coi cittadini è altrettanto vero.
In particolare Panebianco ha un nemico : il sistema proporzionale.
Per il professore, è un sinonimo di ingovernabilità. Eppure nella maggior parte dell'Occidente è quello il sistema assolutamente prevalente, e i maggioritari puri sono solo due, in GB e Francia.
Adesso, a prescindere delle preferenze personali, non mi sembra che altrove ne facciano un dramma come qualcuno fa da noi.
Ma, è l'obiezione, l'Italia è un paese a parte.
E questo è pure vero, però in questo modo ognuno poi ritiene di avere ragione solo lui, tirando la coperta. sempre corta, dalla parte che gli conviene. E così avviene tra presidenzialisti e non, tra maggioritari e non, in posizioni manichee poco intelligenti.
Nell'articolo di oggi, io sono d'accordo nel paventare, esattamente come fa il professore, la possibile saldatura tra i grillini e la peggiore magistratura (gente come Davigo, Gratteri, Di Matteo, per fare i primi nomi che mi vengono in mente), ma non capisco perché Panebianco sia così certo che un sistema maggioritario puro sicuramente condannerebbe gli ortotteri alla sconfitta (senza contare che fare una legge elettorale ad hoc contro qualcuno, anche se detestabile come Grillo, non mi pare proprio il massimo del principio democratico).  Se si adotta il sistema francese, col ballottaggio, abbiamo visto che spesso gli elettori di destra preferiscono gli ortotteri ai renziani, e con quello secco britannico, è successo anche lì che una volta che il partito liberale ha avuto un buon risultato nei singoli collegi, si è arrivati ad un governo di intese (coi liberali corteggiati tanto dai tories che dai labouristi ). Insomma, se i sondaggisti avessero per una volta ragione, perché Panebianco esclude a priori che la tripartizione (o quadri, con Lega e Forza Italia che non si accordano con utili divisioni dei vari collegi) non si possa ripetere nelle urne ?
Senza contare che francamente non è che nella seconda Repubblica, col superamento del proporzionale, si siano visti questi governi risoluti ed efficienti, sottoposti com'erano al tiro incrociato dei singoli componenti la coalizione (e nelle ultime due volte la legislatura è finita anticipatamente).
Insomma, siccome soluzioni sicure non ce ne sono, io ritengo sia meglio legiferare non perdendo di vista i principi basilari. Parlando di legge elettorale, sicuramente quello della rappresentanza è prevalente (ancorché, per me, non escludente) a quello delle governabilità. La seconda va favorita, ma cum iuicio, mentre la prima va senz'altro assicurata. Almeno finché ci teniamo questo tipo di sistemi basati sulla democrazia non a caso denominata  rappresentativa.
Buona Lettura




Una legge Dannosa

di Angelo Panebianco

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Chissà se i deputati che fra non molto voteranno in Aula la legge elettorale soprannominata «il modello tedesco» (niente più latinorum?), avranno la consapevolezza di partecipare a una seduta storica? Potrebbe prendere il via un gioco di azioni e reazioni tale da provocare, in pochi anni, la dissoluzione della democrazia. I più superficiali dicono che siccome abbiamo vissuto di proporzionale per cinquant’anni, possiamo farlo per altri cinquanta. Peccato che manchino entrambe le condizioni che resero allora possibile la democrazia proporzionalistica.

Mancano partiti politici forti e socialmente radicati e una collocazione internazionale resa ultra-stabile dalla Guerra fredda e dalla politica dei blocchi. Senza contare che nell’ultima parte di quel cinquantennio, in un periodo di pace, accumulammo un debito pubblico superiore a quello che si ritrovano certi Paesi al termine di guerre devastanti. Come ha detto Walter Veltroni nella bella intervista rilasciata a questo giornale il 2 giugno, con la proporzionale aumenterà la frammentazione e si rischierà l’instabilità totale. Inoltre, l’impossibilità dell’alternanza e gli accordi di governo fatti dopo le elezioni rafforzeranno l’ostilità che tanti italiani già nutrono per la democrazia rappresentativa.

Chi scrive non si è mai unito in passato al coro, sguaiato e tristo, degli antiberlusconiani viscerali, un tempo numerosissimi. Per questo ora posso permettermi di dire che le responsabilità di Berlusconi, in questa fase, sono gravi. Ha cominciato con il voltafaccia sul referendum costituzionale. Egli aveva anche buone ragioni nel suo contenzioso con Renzi. Ma il risultato è stato disastroso. Probabilmente il «sì» avrebbe perso ugualmente. Ma, forse, avrebbe perso di misura, non con un «cappotto» che ha messo per sempre la parola fine sulla possibilità di una riforma costituzionale. È davvero così soddisfatto Berlusconi di avere contribuito a rendere per sempre intoccabile la «Costituzione più bella del mondo»? Ha poi continuato sostenendo a spada tratta il sistema proporzionale (e fornendo così l’alibi più autorevole a un Parlamento composto da persone che non chiedono altro). Con il maggioritario avrebbe costretto la Lega a ridurre il tasso di estremismo. Soprattutto, centrosinistra e centrodestra avrebbero potuto ricostituire (come a Milano) un assetto bipolare, mettendo fuori gioco i 5Stelle. Se è la paura dei 5Stelle al governo che ha dettato l’agenda di Berlusconi, egli sappia che nulla meglio della proporzionale servirà a gettare il Paese in grembo a quel movimento. Ve ne accorgerete quando, dopo le elezioni, scoprirete che non ci sono maggioranze stabili possibili e che l’ingovernabilità gonfierà ulteriormente i consensi dei 5Stelle. La proporzionale non è in grado di fermare i partiti antisistema. Anzi, consentendo loro di non stringere alleanze preelettorali, esalta, agli occhi degli elettori, la loro purezza, la loro indisponibilità a compromessi. Non fu la proporzionale a fermare il Pci durante la cosiddetta Prima repubblica: fu la Guerra fredda.

Il movimento 5Stelle è rappresentativo di una parte (a quanto pare, assai ampia) del Paese, desiderosa di prendere congedo dalla modernità. I 5Stelle tirano quotidiane bordate contro i suoi fondamenti: la scienza, la democrazia rappresentativa, l’economia di mercato. Vogliamo limitarci a dire che non sono attrezzati per governare una società industriale complessa? Si noti che nemmeno i loro potenziali alleati, ossia le parti più politicizzate della magistratura, sia ordinaria che amministrativa, possiedono le competenze per un simile governo. Nel caso dei magistrati ordinari politicizzati, una «visione del mondo» incapace di interpretare la realtà se non attraverso il filtro del diritto penale, l’incomprensione — che caratterizza tanti di loro — delle esigenze di un’economia di mercato, e, infine, la loro tendenza a pensare (al pari di certi giudici costituzionali) che la discrezionalità politica sia incostituzionale o in odor di reato, rendono i loro atteggiamenti poco compatibili con la democrazia liberale. È su questo comune terreno che essi possono trovare una stabile intesa con i 5Stelle. Ci sono poi certi settori della magistratura amministrativa, quelli la cui ragion d’essere consiste nella difesa a oltranza del pubblico impiego, dei suoi privilegi, e delle sue storiche arretratezze e inefficienze. Non è un caso che i 5Stelle abbiano applaudito la sentenza del Tar del Lazio sui direttori dei musei.


I regimi populisti (vedi il caso del presidente Maduro in Venezuela) sono capaci di durare a lungo. Usando anche massicci trasferimenti di reddito e regalie al pubblico impiego a scapito dei «ricchi», ossia del settore privato. Inoltre, un «nemico» (l’oligarchia, la casta, i poteri forti) ai cui complotti attribuire le difficoltà del governare, e i connessi disastri, si trova sempre. Aiuterebbe anche il cambiamento di collocazione internazionale: allentamento dei legami con l’Europa, sostituzione dell’influenza americana con quella russa. 



Un’alleanza 5Stelle/magistrature (una parte di esse) sarebbe fortissima. Chi vi si opponesse lo farebbe a suo rischio e pericolo. L’incompetenza non sarebbe sufficiente a metterla fuori gioco in breve tempo. I regimi populisti (vedi il caso del presidente Maduro in Venezuela) sono capaci di durare a lungo. Usando anche massicci trasferimenti di reddito e regalie al pubblico impiego a scapito dei «ricchi», ossia del settore privato. Inoltre, un «nemico» (l’oligarchia, la casta, i poteri forti) ai cui complotti attribuire le difficoltà del governare, e i connessi disastri, si trova sempre. Aiuterebbe anche il cambiamento di collocazione internazionale: allentamento dei legami con l’Europa, sostituzione dell’influenza americana con quella russa.
 


Come definirebbero gli storici futuri un simile regime? Forse, come una democrazia giudiziaria (una forma inedita di autoritarismo) condita con molta — assai più antica — salsa latinoamericana (un misto di peronismo argentino, aprismo peruviano, chavismo venezuelano).

Aggiungo una notazione. Per pudore se ne parla poco ma c’è un’economia che cresce, e molto, al Nord, e un’economia stagnante al Sud. La forbice fra Nord e Sud, in questi anni, si è divaricata ulteriormente. Solo istituzioni solide capaci di ridurre la frammentazione politica e favorire la governabilità potrebbero consentire alla democrazia di assorbire le tensioni generate da questa accresciuta divisione.

Quando si dice che la politica sia l’arte del possibile si intende dire che i politici hanno sempre un orizzonte limitato, ossia che chi fa politica è costretto a tener conto solo del proprio interesse a breve termine. Di solito è così e i moralismi in merito sono inutili e noiosi. Ma ci sono anche particolari frangenti storici in cui un politico di razza capisce che il proprio interesse a breve potrebbe scontrarsi con l’interesse a medio termine di tutti, lui compreso (ribadisco: lui compreso), e ne tiene conto. Sarebbe utile capire se in giro è rimasto qualche politico di razza.

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