Un anno passa in fretta, a volte nemmeno te ne accorgi, a meno che non ci sia qualche cambiamento rilevante che fissa la tua attenzione. Quello che non è successo con il sindaco Raggi, che si è distinto solo all'inizio per il parto di una giunta sofferto come non mai (francamente una cosa del genere non ricordo sia mai successa), senza voler considerare le disavventure giudiziarie occorse al suo uomo di fiducia, Marra, e quelle che potrebbero, anche a breve, capitare alla prima cittadina.
Per carità, mettere mano al caos romano è impresa impervia per chiunque. Però la sensazione che sindaca e squadra (squadra ??) siano arrivati sprovveduti più che mai è grande, e la descrizione del primo anno di Campidoglio ortottero, che trovate di seguito, e tratto da La Stampa. è assolutamente desolante.
Oltretutto, se governare Roma è difficile, l'Italia mi sembra un osso assai più duro.
Di dilettanti allo sbaraglio non si sente il bisogno, e la scheda scelta come introduzione del post la dicono lunga sulla percezione dell'efficienza capitolina.
Roma, un anno di Raggi. Due ordinanze su tre sono
dedicate alle poltrone
L’80% della raccolta rifiuti ancora in mano ai
privati, cala la differenziata Più di 300 guasti al giorno ai bus Atac, ma il
piano di riassetto non parte
Alessandro Barbera
Se un anno di Virginia Raggi lo si giudicasse dalle
strade attorno casa sua, si potrebbe nutrire il sospetto che la città abbia
trovato il sindaco giusto. Piccoli e ordinati contenitori per la differenziata,
raccolta porta a porta, un via vai continuo di mezzi. Se non fosse per la piaga
delle buche e delle radici, certe vie di Borgata Ottavia sembrano uscire da uno
spot di pubblicità progresso. Purtroppo l’attenzione al decoro in certi angoli
dell’Urbe abitati dai politici è una tradizione dell’Ama che non conosce
colore. L’illusione di un’altra Roma dura lo spazio di qualche centinaio di
metri, ciò che separa la realtà dalla rappresentazione. Basta imboccare Via di
Casal del Marmo e Roma riprende le sembianze note ai più. È di questi giorni
l’ennesima emergenza rifiuti.
Per capire quanto disti un anno di realtà dalla
rappresentazione che ne fanno i suoi vertici, proviamo a fare un bilancio del
governo Cinque Stelle della Capitale partendo dai numeri.
Per valutarli abbiamo
chiesto più volte un incontro al sindaco Raggi, la quale ha rifiutato senza
spiegazioni.
Partiamo proprio dalle ordinanze del sindaco: su 227 atti ben 149
– i due terzi - hanno a che fare con nomine, revoche o deleghe assegnate ad
assessori e dirigenti. Stessa cosa è avvenuta in Giunta: su 258 delibere, 75 –
più di un terzo - riguardano l’assunzione di personale esterno. La Raggi ha
passato gran parte del tempo da sindaco a occuparsi di poltrone: la sua giunta
ha messo a contratto 102 collaboratori esterni, dodici in più di quelli
nominati da Ignazio Marino, quindici in più dell’era Alemanno. Si dirà: il
primo anno serve a scegliere persone di fiducia. Per lei è stata un’operazione
particolarmente complessa, e va oltre la fisiologia del cosiddetto spoil system.
Nonostante i tentativi (quattro), alla macchina comunale del Campidoglio
mancano ancora il capo di gabinetto e due assessori (Lavori pubblici e Servizi
sociali). In un anno sono cambiati il vicesindaco, l’assessore all’Ambiente,
quello all’Urbanistica, due volte il titolare del Bilancio. Solo all’Ama si
sono avvicendati quattro amministratori delegati e due direttori generali. E
non è finita qui: entro la fine dell’anno c’è da rinnovare il consiglio di
amministrazione di tutte le società partecipate per le quali è stato introdotto
l’obbligo dei tre componenti.
L’Ama non cambia
L’Azienda dei rifiuti è la chiave del successo o del
fallimento del governo Cinque Stelle della città. Lo smaltimento dei rifiuti a
Roma costa quattro volte quello di Milano, perché Ama è in grado di trattarne
appena il 20 per cento: il resto lo paga ai privati e per trasportare
l’immondizia in giro per l’Europa. Fra promesse di “modelli spagnoli”,
“chilometri zero” e “riutilizzo totale degli scarti” nell’ultimo anno la
situazione è persino peggiorata.
Nel tentativo disperato di tenere al riparo le
strade dai rifiuti ingombranti e da certa maleducazione, la percentuale di
raccolta differenziata è scesa al 42 per cento, un punto in meno di un anno fa
e in controtendenza rispetto al +8 per cento degli ultimi anni fa. Il nuovo
piano industriale ridurrà gli investimenti: invece dei 300 milioni previsti per
la creazione di nuovi ecodistretti e l’acquisto di mezzi, ne resteranno solo
110 per i mezzi. Nel frattempo l’unica decisione concreta è stata quella di
affossare il progetto per il nuovo impianto di compostaggio a Rocca Cencia,
inviso ai residenti. Da maggio a oggi ci sono stati tre strani incendi in
altrettanti impianti di trattamento dei rifiuti: a Castelforte, Viterbo e
Malagrotta. Di recente il ras del settore Manlio Cerroni ha annunciato che i
due impianti dell’indifferenziata a Malagrotta non tratteranno più 1250
tonnellate di immondizia al giorno, ma solo 800. L’Ama sta tentando di aprirne
uno nuovo a Ostia, ma a ottobre si vota nel Municipio e i vertici del M5S della
zona sono contrari. Risultato: negli ultimi giorni nei quartieri a est della
Capitale la situazione della raccolta è di nuovo al collasso. Sull’azienda
incombe poi il rischio del dissesto finanziario: poiché il Comune sta pensando
di togliere all’Ama la gestione diretta della tariffa sui rifiuti, il pool di
otto banche capeggiato da Bnl minaccia la cancellazione di un finanziamento di
600 milioni. Alla faccia del chilometro zero, seicento milioni è quanto
l’azienda stima di spendere nei prossimi quattro anni per far smaltire ai
privati quattro milioni di tonnellate di rifiuti. Il piano dell’ex numero uno
Daniele Fortini prevedeva entro il 2021 di far salire all’80 per cento la
quantità di rifiuti trattata direttamente da Ama. Per la gioia dei privati
l’ultimo piano industriale approvato – quello deciso dalla ormai ex numero uno
Antonella Giglio – ha abbassato quella stima al 29 per cento. Non solo: secondo
quanto raccontano fonti interne all’azienda, starebbe aumentando anche il
numero di appalti affidati con trattativa diretta invece che con regolare
gara.
Riordino no grazie
Fra le promesse della Raggi c’è quella di rimettere
a posto i conti disastrati della Capitale. In campagna elettorale ha insistito
su un tema popolare: la rinegoziazione del debito monstre in mano alle banche.
Finora si è limitata a far votare al Consiglio comunale 143 delibere per il
pagamento di debiti fuori bilancio su un totale di 179. Delibere votate quasi tutte
a cavallo di Natale e che valgono circa cento milioni di euro: la Corte dei
Conti ora indaga sospettando danni erariali. La giunta ha discusso 25 delibere
sulle società partecipate dal Comune, ma del piano di razionalizzazione della
megaholding pubblica c’è solo un progetto sulla carta. Per scriverlo,
l’assessore Massimo Colomban - un grosso imprenditore veneto mandato dai
vertici in soccorso alla Raggi - si è affidato a Paolo Simioni, già
amministratore dell’aeroporto di Venezia, nel mirino delle opposizioni per i
240mila euro di stipendio pagato quota parte da ciascuna delle tre grandi
società, Atac, Acea e Ama. Il piano - ambiziosissimo - prevede di scendere da
40 controllate a 10-12 aziende, e la dismissione di parte delle quote di Adr,
Centrale del Latte e della stessa Acea.
In realtà gli atti rilevanti votati finora in
consiglio comunale sono solo due: il via libera preliminare allo stadio della
Roma e l’adozione di un nuovo regolamento sugli ambulanti che aggira l’obbligo
di gara previsto dalla direttiva Bolkenstein già ribattezzato “salva Tredicine”
dal nome della famiglia proprietaria di decine di camion e bancarelle. Su 179
delibere, due hanno riguardato l’urbanistica e i trasporti, una sola la
cultura, una la scuola. L’unico atto sulla scuola degno di nota è però frutto
di una proposta della capogruppo Pd Michela Di Biase che consente alle mamme di
consegnare il latte materno negli asili nido.
Annunci e sostanza
Se ci accontentassimo degli annunci la Raggi si
meriterebbe un dieci. Prendiamo le strade. Il sindaco rivendica un piano buche
e porta con sé le fotografie di alcuni tratti rifatti, ma nel frattempo per
ovviare alla scarsa manutenzione, in tre arterie della città - Aurelia,
Cristoforo Colombo e Salaria - è stato imposto il limite a trenta all’ora.
Intendiamoci, governare una città come Roma non sarebbe facile per nessuno. A
marzo la Raggi ha rimesso in strada 15 filobus nuovi fermi da tempo nei garage
dell’Atac. Nel giro di 24 ore quattro mezzi erano già fuori uso per problemi
tecnici. «Cuciniamo con quel che abbiamo», si difese la sindaca. La sindrome
dell’annuncite è direttamente proporzionale alla scarsità delle risorse. Mentre
l’Atac conta più di trecento guasti al giorno ad altrettanti mezzi, l’assessore
alla Mobilità Linda Meleo porta in giunta un piano per l’introduzione di sei
nuove linee del tram, tre funivie e il prolungamento della linea B della
metropolitana. Peccato che l’unica certezza sia il caos attorno al futuro della
linea C, le cui ruspe fanno mostra di sé ai fori imperiali. A novembre
dell’anno scorso il consiglio comunale ha votato una mozione straordinaria per
lo scioglimento di Roma Metropolitane, la società che gestisce il cantiere. Nel
frattempo fra sindaco, consiglieri e assessori si è aperto il dibattito su dove
fermare il tracciato: se al Colosseo, al Corviale o al Flaminio. Il solito
Colomban, una sorta di commissario prefettizio della Raggi, ha spento il
dibattito durante una riunione della Commissione trasparenza: Roma
Metropolitane va avanti, mozione o non mozione.
Fra le mura solenni dell’aula Giulio Cesare si
consumano scontri epici non solo con l’opposizione del Pd e di Fratelli
d’Italia, ma anche nella maggioranza bulgara del Movimento. Da un lato il
sindaco e il braccio destro Daniele Frongia, sostenuti da Luigi Di Maio e
Alessandro Di Battista, dall’altra i consiglieri romani guidati da Roberta
Lombardi e Marcello De Vito. Quando il gruppo si ricompatta, il dissenso è
soffocato. Ne sanno qualcosa Cristina Grancio e Gemma Guerrini, entrambe vicine
all’espulsione per essersi opposte al progetto sullo stadio della Roma. In
mezzo gli uomini mandati da Davide Casaleggio e Beppe Grillo a evitare il
peggio: il già citato Colomban e il neopresidente dell’Acea, l’avvocato
genovese Luca Lanzalone, delegato dal sindaco anche alla trattativa sullo
stadio.
I troppi no
I tecnici Colomban e Lanzalone appaiono come la
quintessenza del realismo grillino. Per chi come la Raggi amministra la cosa
pubblica e non ha sufficiente esperienza politica dire no è più semplice di un
sì. Ad una olimpiade, a un nuovo impianto di trattamento dei rifiuti o allo
scavo della metropolitana. Ma talvolta i no possono essere fatali all’immagine
della città. Ne sanno qualcosa gli abitanti dell’Eur abituati alla vista di un
ecomostro a pochi metri dalla nuvola di Fuksas. Fu uno dei primi atti della
giunta Raggi: la revoca del permesso a costruire per il restauro delle torri.
Sembrava la fine di una storia tutta italiana: dopo anni di tira e molla con
gli altri azionisti, Cassa depositi e prestiti e Telecom si erano unite nel
progetto per la costruzione della nuova sede del gigante telefonico. Il no
dell’allora assessore Paolo Berdini ha offerto all’azienda l’alibi perfetto per
rinunciare ad un progetto nel frattempo giudicato troppo costoso.
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