mercoledì 4 ottobre 2017

REFLATION TRADE..CHE VOR DI' ? FUGNOLI PROVA A SPIEGARLO

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Sono cresciuto in un'epoca dove l'inflazione era il male, dove tanto valeva spendere subito perché il risparmio non valeva nulla, divorato dalla velocissima perdita di valore della moneta (salvo proteggerla, ma solo per andare grossomodo pari, consegnandola allo Stato che elargiva generosissimi BOT e BTP). Erano gli anni 70 del secolo scorso,  l'inflazione costantemente a due cifre, e i titoli di stato che arrivarono a sfiorare il rendimento del 20% !! 
L'economia era vessata dall'aumento irrefrenabile del prezzo del petrolio, con l'occidente sottoposto alla dittatura dei cartelli degli stati produttori, guidati dall'Arabia Saudita.
Bene, 50 anni dopo, tutto rovesciato : il mondo soffre di inflazione troppo bassa, e il fatto che il prezzo della benzina sia tornato a salire, anche se non piace ai comuni mortali che fanno il pieno (se lo fanno..., io ad esempio solo con lo scooter, con l'auto mai !, vabbè che in città non la uso) , è, in ottica macro economica, un segnale non negativo. 
Dopodiché ci sono le cicatrici storiche e questo relativismo economico trova resistenze forti in paesi come la Germania che proprio non ce la fa a dimenticare il tempo in cui per andare a comprare il pane ti dovevi portare una carriola di marchi ( gli anni della repubblica di Weimar, prodromi all'avvento nazista). 
Il fatto che l'inflazione debba crescere e stabilizzarsi attorno ad un 2% ce lo spiega da qualche anno Draghi, che giustifica la continuazione del QE europeo ( l'iniezione massiccia di moneta per sostenere l'economia europea, specie dei paesi più indebitati) proprio con l'inflazione debole. Quest'ultima è infatti il segnale che i consumi stentato a ripartire, con riflessi negativi su produzione ed occupazione. 
Oddio, a dire il vero sembra un circolo vizioso quello creatosi, perché le persone, dalla gente comune fino agli imprenditori, continua comunque a non spendere (parliamo ovviamente di chi potrebbe farlo) probabilmente volendo vedere PRIMA l'aumento delle proprie entrate per poi semmai riprendere, in parte se non del tutto, i costumi del periodo del benessere diffuso. 
Insomma, il cavallo, nonostante l'acqua che gli viene messa davanti, non si fida, e non beve...
Arriva Trump, e i suoi programmi economici, con tanto di riforma fiscale e tagli delle tasse, dovrebbero favorire quella che hanno battezzato "reflation trade". Sono andato a vedere cosa significasse e se non ho capito male potrebbe tradursi appunto come un recupero dell'inflazione.
Che al momento però resta debole.
Alessandro Fugnoli si affaccia sulla geopolitica mondiale e prova a spiegare gli scenari frenanti, ipotizzando quanto essi potranno incidere nel prossimo futuro.
Particolarmente interessanti, e condivisibili, le brevi considerazioni fatte sul voto tedesco e il prevedibile peggioramento della cacofonia europea, dove ognuno suona il suo spartito, con risultati non solo sgradevoli al suono (e alla vista), ma del tutto inefficaci. 
Fugnoli, che resta un ottimista, ha fiducia che alla fine la Merkel, costante immarcescibile del contesto europeo, troverà una quadra accettabile. Come sempre auguriamoci che abbia ragione. 
Buona Lettura 




IL SEQUEL


Reflation trade : ha gambe per camminare?

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Prima di parlare seriamente di reflation trade va sgombrato il campo da possibili interferenze geopolitiche. È possibile?
Sì, è possibile, quanto meno nel breve termine. Il punto di crisi più sensibile è ovviamente la Corea, ma a guardare le cose con distacco bisogna riconoscere che non siamo ancora in una situazione di allarme rosso. Il romantico e feroce Fidel Castro, come si è poi saputo, era disposto, nel 1962, a rischiare la distruzione completa di Cuba pur di non rinunciare ai suoi missili puntati su Miami e i russi dovettero faticare per farlo ragionare. Kim pensa di non correre questo rischio e probabilmente ha ragione. La differenza è che Kim tiene in ostaggio la Corea del Sud, che ha già i sintomi della sindrome di Stoccolma, ha eletto un presidente pacifista e ha bloccato nelle settimane scorse l’idea trumpiana di dare una prima risposta militare. Kim punta alla vittoria grossa, che non è semplicemente la sopravvivenza del suo regime, ma il distacco della Corea del Sud dagli Stati Uniti.
Al di là delle parole di fuoco, la vicenda nucleare coreana è una partita a scacchi che dura da vent’anni e può ancora durare a lungo. Kim è stato bene attento a non violare lo spazio territoriale giapponese (i suoi missili hanno sorvolato il Giappone sopra i cento chilometri di altitudine che sono il limite della sovranità) o quello americano. Trump, dal canto suo, ha accettato di non violare mai, con i suoi caccia, lo spazio territoriale nordcoreano e non ha mai provato ad abbattere i missili di Kim, consapevole che solo due missili su tre vengono effettivamente intercettati dalla sua contraerea.
Se il piano di Kim avrà successo, ogni regime in giro per il mondo che voglia tentare di avere lunga vita cercherà di dotarsi di un’atomica. Questo fattore di instabilità ne avrà sullo sfondo uno ancora più grande, ovvero la crescente rivalità tra America, Russia e Cina. I buoni rapporti personali tra Trump, Xi Jinping e Putin sono un fatto positivo, perché permettono di tenere sempre aperti canali di comunicazione, ma le grandi aree geopolitiche 
sono oggettivamente e strutturalmente in rotta di collisione commerciale, economica e militare.
Che significa questo per i mercati?
Istintivamente viene da pensare all’oro, che è però più utile per coprirsi dai rischi acuti che da quelli strutturali. Per questi ultimi la risposta non può che essere il sovrappeso significativo di titoli legati alla difesa in senso lato (aerospazio, cybersecurity, elettronica, robotica militare).
Non c’è un’area del mondo, inclusa la pacifista Europa, in cui le spese militari non siano destinate a crescere nei prossimi anni. 
I titoli americani del settore hanno avuto performance stellari nell’ultimo anno ma i loro multipli, intorno a 20, sono ancora largamente inferiori a quelli dei Faang e della tecnologia in generale, mentre i loro utili, assicurati da commesse governative pluridecennali, sono molto più certi.
Le elezioni tedesche possono attenuare in modo rilevante l’effetto Macron sui mercati?
Il 2016 è stato l’anno in cui si è detto che l’Occidente virava verso il populismo. Il 2017, per qualche mese, ha visto prevalere l’idea che il populismo era già finito e che la restaurazione dell’Ancien Régime sarebbe stata veloce e aggressiva. La realtà è più sfumata. Il populismo resterà endemico e tenderà a riemergere ogni volta che il ciclo economico si indebolirà e quando i flussi migratori torneranno a crescere.
Nello specifico, le elezioni tedesche significano un ritorno a posizioni più dure in caso di crisi dei grandi debitori come Grecia e Italia, ma non necessariamente una ripetizione dei gravi errori commessi nel 2011- 12

Significano anche una maggiore cacofonia nel coro filoeuropeo. 
La Commissione pensa ai 27 paesi, Macron solo all’eurozona e all’asse franco-tedesco. La Fdp pensa a un’eurozona che possa espellere i suoi membri indisciplinati, i Verdi farebbero entrare nell’euro anche gli alieni. La Fdp vuole un Esm impegnato esclusivamente a sorvegliare e punire, Macron lo vorrebbe invece votato a indebitarsi e spendere.

Rimangono però due certezze, ovvero il ruolo centrale della Merkel, tanto maggiore quanto più gli altri sono divisi, e l’orientamento comunque favorevole a qualche forma di maggiore integrazione europea.
  
I mercati hanno dato una risposta razionale al voto tedesco. La pausa nel percorso di rivalutazione dell’euro, già iniziata prima del voto, si è fatta più convinta e profonda, ma non si è trasformata in una correzione seria o in un’inversione di tendenza. La fascia 1.17-1.20 può accompagnarci fino a dicembre o a gennaio, quando avremo finalmente il nuovo governo a Berlino. In ogni caso, per vedere la seconda parte del rialzo dell’euro, dovremo avere alle spalle le elezioni italiane.
Il profilarsi di una pausa per l’euro di una certa durata ha dato giustamente spazio alle borse europee. Il Dax, paradossalmente, è così il maggiore beneficiario del voto tedesco.
L’Italia è un rischio?
Non particolarmente. Fino al voto si cercherà di aiutarla contenendo il rialzo dell’euro e chiudendo un occhio e mezzo sulle mancate manovre correttive. Dopo il voto un governo di coalizione, probabilmente con una facciata tecnica, sarà inevitabile. Il voto tedesco indurrà però i mercati, nei prossimi mesi, a dare più peso alle vicende italiane, che di recente erano state derubricate da sistemiche a regionali. Il recupero della borsa italiana continuerà, ma dovrà essere accompagnato da rassicurazioni sul fronte politico.


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