venerdì 10 novembre 2017

CHE CE FREGA DELLA NAZIONALE ! IDENTIKIT DEL VERO TIFOSO ITALICO

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Ieri, chiacchierando con un caro amico : " vai a Lugnano domani ? Io sì, approfitto che non ci sono le partite in tv, solo la nazionale"
Oggi, dal giornalaio, un signore che mi precedeva " questo we niente calcio..." veramente ci sarebbe lo spareggio dei mondiali..."ma che me frega della nazionale !".

Potrei, faziosamente, dire che il tratto comune delle due persone è la fede giallorossa, e del resto il loro idolo, Totti, rinunciò dopo i mondiali del 2010 ( 4 anni fa si pentì, ma era tardi...) alla nazionale per dedicarsi solo alla "sua Roma".  A onor del vero il ragionamento dell'ex capitano era più articolato : le scorie di infortuni seri, il logorio crescente dell'attività agonistica, l'età che avanzava, suggerivano al pupone un risparmio di energie e quindi una riduzione degli impegni. Di qui la rinuncia all'azzurro. Ricordo che anche Nesta, al tempo milanista, assunse la stessa decisione.  Sono scelte, che in genere non si vedono (Baggio, per dire, allungò una carriera tormentata dall'assenza di tutti i menischi pur di provare ad andare in Giappone. Trapattoni lo lasciò a casa, e al Trap ancora non gliel'ho perdonata) ma legittime. 
Il sentimento espresso dai due romanisti in realtà sono certissimo sia diffuso per tutto lo stivale, isole comprese. Del resto, molti ricorderanno i napoletani fare il tifo per l'Argentina di Maradona contro l'Italia nella semifinale dei mondiali del 1990.
Non so' belle cose.
Si dirà che si tratta di calcio, ma credo sarebbe un commento superficiale. E' invece lo specchio della mancanza di un senso di identità nazionale, che nel tempo è assolutamente peggiorato. 
Gli azzurri nel passato sono stati veramente la squadra di tutti.
E io mi ricordo, da ragazzino e da giovane, come non solo le fasi finali delle competizioni - europei e mondiali - ma tutte le partite di qualificazione venivano seguite da quasi tutta la platea televisiva. 
Il campanilismo c'era anche allora - l'Italia E' il paese dei campanili, lo vediamo fin troppo bene - ma la Nazionale era come una sorta di Olimpia, la città greca dove si svolgevano le olimpiadi e dove i greci, quasi sempre in guerra tra di loro, per un po' deponevano le armi. 
Roba vecchia...Ma non sempre il nuovo è migliore.
E a Totti preferisco Buffon, che all'azzurro non rinuncerebbe mai, pronto, come Baggio, a giocare anche menomato, pur di essere in campo e rappresentare quei colori.
So' gusti..., però poi non lamentiamoci se manchiamo di senso civico. Per essere cittadini bisogna anche sentirsi parti di una comunità, avere un senso di appartenenza identitaria.
Se siamo romani, milanesi, torinesi, napoletani e mai italiani ( e il calcio è solo l'ultima deriva) , qualche conseguenza ci sarà.
Peraltro, vedendo Roma così sporca e decadente, un dubbio mi viene : forse non basta nemmeno essere romanisti e laziali...



LaStampa.it

BUFFON E I CALCIATORI CHE CERCANO L’IMPRESA
 

PAOLO BRUSORIO

Ci sono notti in cui non serve fare la storia, basta non tradirla. Questa dentro la Friends Arena, uno stadio dal nome amichevole che cinquantamila svedesi proveranno a trasformare in un vulcano, è una di quelle. Svezia-Italia, primo round. Il secondo lunedì a Milano: chi vince va al Mondiale, chi perde a casa. E se a perdere siamo noi, viene giù il palazzo. Quindi mettiamoci il caschetto in testa, ma non fasciamocela ancora: il dio del pallone non voglia, ma ce ne sarà eccome di tempo nel caso in cui.  

La nazionale di Ventura è una strana creatura, oltre un anno e ancora non si è capito se è piuma o ferro. Ma dentro, ci sono degli uomini che la storia invece l’hanno fatta e vorrebbero ancora darle un morso perché poi quel sapore ti rimane per sempre. Tutti a dire Buffon, è ovvio. 

L’uomo volante, quello di Berlino 2006, il portiere dei record che cerca il suo sesto mondiale: 40 anni e cominciare a sentirli, ma in quel ruolo e a quell’età Dino Zoff ha sollevato una coppa del mondo. Buffon non è Fonzie, alla fine che smette dopo questa stagione l’ha detto veramente. Ma un conto è farlo al termine di un Mondiale non per forza da vincere (poi certo per carità...), un altro è chiudere con la macchia. Un peccato originale postumo.  

Buffon è il numero uno di una generazione che tra un po’ starà a guardare: ci sono altri due campioni del mondo come Barzagli e De Rossi. Il primo neanche più voleva venirci in Nazionale, poi è stato bravo Ventura a convincerlo a non gettare la spugna. Il secondo è capitan futuro, ora anteriore. «Non siamo dei jolly da tirare fuori al momento opportuno, ci siamo sempre stati in questa squadra», è l’avviso ai naviganti lanciato un paio di giorni fa. Niente A-Team insomma anche se hanno quel passo lì e un po’ speciali si sentono. Perché in fondo lo sono. Dopo il tracollo in Spagna e quel pareggio semolino con la Macedonia si sono chiusi dentro lo spogliatoio e hanno lasciato fuori il commissario tecnico, tecnica assai poco ortodossa per guardarsi negli occhi. E avvertire i più giovani. «Ragazzo, spazzola» perché tu hai una vita davanti, per noi il capolinea, quello azzurro sicuramente, invece si chiama Russia 2018. Specie in estinzione, loro come Bonucci e Chiellini. Due che ai Mondiali hanno solo perso e anche male, due che hanno visto da vicino un paradiso chiamato Champions ma le chiavi per entrare alla fine se le sono sempre tenute gli altri. 

Stoccolma è la cruna dell’ago, infilarla significa chiudere in bellezza comunque andrà nella prossima estate (tanto, peggio che uscire con la Costarica non può capitare). Restare a casa è un incubo che nessuno vuole vivere, ma se siamo qui sotto un cielo color cemento a fare gli scongiuri, è responsabilità di tutti. Pure dei veterani, in certi casi le medaglie sono più un peso da portare in giro che un orgoglio da mostrare. Loro lo sanno, non hanno bisogno del ct o della critica per capirlo. Da parlare stasera non ci sarà poi molto, per gente così basta il dizionario degli sguardi: sanno a che pagina aprirlo. Andiamo in apnea con loro, vedremo se lunedì saremo riemersi o finiti sul fondo.  


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