venerdì 12 giugno 2015

IL MALAFFARE NELLA CAPITALE E LA GUERRA TRA BANDE NEL PD ROMANO. MAGARI E' UN PROBLEMA DI PONENTINO...



L'altro giorno, su Rai 3 - e dove se no ? - è andato in onda il film santino di Walter Veltroni su Enrico Berlinguer. Non l'ho visto, né al cinema - in quel caso siamo stati in molti - né in tv. Leggo qualche commento di persone che stimo che non è fatto male, un buon documentario di quegli anni. Fu l'allora segretario comunista, fallita la stagione del compromesso storico, con il rapimento e la morte di Aldo Moro, a porre la "questione morale" e a quel tempo si rafforzò, fino a diventare leggenda, la vulgata della sinistra "diversa perché migliore". Francamente, ventenne frequentatore della mia circoscrizione in qualità di osservatore dell'unico consigliere liberale (!!) eletto, non avevo esattamente questa percezione. Ad essere sincero, quello cui assistevo più spesso era una inciuciata pazzesca tra i DC e i socialisti, mentre i comunisti variavano a seconda dei settori. In alcuni casi (commercio in primis), si combinavano perfettamente con gli altri due, raggiungendo sempre un compromesso "utile" (bisognava vedere per chi), in altri (scuola, asili nido) no. 
L'unica persona che ricordo con stima di quella breve esperienza, devo ammettere, era comunista (uno di quelli non ideologici,  sinceramente convinto del dovere dei cittadini di impegnarsi civicamente perché la cosa pubblica funzionasse meglio).  Però era UNO ! (si potrà dire, gli altri manco quello...).
Invece per lustri è andata avanti 'sta fola di quelli onesti, che stavano tutti da una parte, e gli "altri", tutti dall'altra.
Negli ultimi anni decine se non centinaia di rappresentanti politici, a vario titolo, del mondo dem, hanno fatto compagnia ai loro colleghi di altri schierameni nell'essere sottoposti ad indagini, processi, condanne.
Da ultimo,, vera, colossale, ciliegina  sulla torta, la vicenda del malaffare (la mafia, checché assurdamente dicano gli ermellini della Cassazione, sfidando il buon senso oltre che il ridicolo, lasciamola a cose più gravi, dove si contano i morti...) romano. All'inizio si sperava che la cosa riguardasse solo la destra - in modo che la "narrazione" dei "migliori" potesse sopravvivere - , puntando sul fatto che Carminati ha un passato di estremista di quell'area e Alemanno era stato l'ultimo sindaco. Presto si è visto che NON era e NON è così, e gli uomini del PD coinvolti sono addirittura di più rispetto agli altri (comunque presenti, nessuno lo nega).
Su questa vicenda picchia pesantemente il Corriere della Sera - non il Fatto grillino, per dire - e all'articolo scartavetrante di Roncone di ieri su Marino ( leggi post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/e-anche-il-corriere-della-sera-mollo.html ), segue oggi questo, non sarcastico ma parimenti pesante, di Monica Guerzoni. 
Ma forse, come dicono i renziani, è una questione di ponentino. 
So' i romani che so' così...
 


L’eclissi del Pd romano stretto tra tribù e veleni
«Sembra di essere nella Chicago anni 30» 
 

di Monica Guerzoni 
ROMA «Il Pd usato come un taxi, le cordate, il tumore delle correnti... Una Roma che somiglia alla Chicago Anni ‘30». Walter Verini azzarda un paragone da brivido e rispolvera le bande che si accordavano per spartirsi il territorio. «E quando non ci riuscivano» ricorda l’ex braccio destro di Veltroni evocando Al Capone, «c’era la strage di San Valentino».
Dopo gli arresti, nel Pd romano è l’ora dei veleni, delle vendette incrociate, dello scaricabarile tra correnti nemiche. E ci si chiede come abbia potuto, il partito che ha nel dna i geni di Enrico Berlinguer, degenerare fino a non vedere quelle mani che trescavano con la destra eversiva e pescavano nel pozzo nero del malaffare. Quali volti, quali storie hanno scandito la mutazione antropologica e favorito le infiltrazioni criminali? Perché, fino a un anno fa, i «dem» non si facevano scrupoli di andare a cena con Buzzi o accettare soldi da lui? Lionello Cosentino, ultimo segretario prima del commissariamento, si difende: «Io amico di Buzzi? Ci conosciamo da vent’anni. Sembra che tutti noi abbiamo avuto rapporti con la mafia, perché nessuno sapeva che Salvatore fosse diventato parte di una banda di ladri. Ma io non ho mai chiesto favori e non ho parenti assunti dalle coop». Qualcuno però i parenti li ha piazzati. Fabio Melilli, segretario del Lazio, chiese allo «spicciaproblemi» di Buzzi, Luca Odevaine, un aiuto per far lavorare la figlia: «Un errore, ma è stata solo una telefonata».
Tessere e voti comprati, iscritti fantasma, risse nei circoli, primarie taroccate con i rom in coda ai gazebo, volanti ai seggi per sospetti brogli... I vecchietti prelevati al centro anziani di Trastevere per votare per il renziano Tobia Zevi e persino i consiglieri che fanno le carte di identità agli elettori in cambio di un voto. E poi, in un crescendo wagneriano, i «dem» sorpresi a braccetto con Carminati e Buzzi, gli arresti, il mesto corredo di favori, pubblici o privati. «Nelle primarie per il Parlamento — denunciò Marianna Madia — ho visto vere associazioni a delinquere». E Roberto Morassut invita il Pd a «presentare ai romani le scuse per questa brutta storia e ripartire da un congresso».
A sentire i renziani è tutta colpa della «grande famiglia» ex ds, i cui pilastri romani (Zingaretti, Bettini, Cosentino, Miccoli...) avrebbero «ucciso» il rinnovamento. «Il Pd in questi ultimi due anni si è occupato troppo di beghe interne, il che ci ha fatto male» è l’analisi di Lorenza Bonaccorsi. Ma il Pd nazionale non c’entra, si sgolano i dirigenti del nuovo corso. E addebitano il decadimento ai segretari capitolini. Il primo fu Riccardo Milana, le cui presunte spese faraoniche fecero accumulare i primi buffi, lievitati al milione e 200 mila euro di oggi. I giornali della destra si esercitano sul tema «manette rosse» e l’ex ds Chiti chiede aiuto a Berlinguer, implorando i compagni di non smarrire quel patrimonio di «onestà e impegno politico non asservito alle corruttele». Troppo tardi. Su 125 circoli del Pd, Orfini ne diversi di quelli «cattivi», perché fittizi o in guerra per il controllo del territorio. C’è chi parla di bande, chi di tribù e racconta di quando Daniele Ozzimo, la ex moglie Micaela Campana e Umberto Marroni facevano incetta di voti al Tiburtino, terra di conquista di Carminati e Buzzi .
Mirko Coratti, l’ex presidente dell’assemblea capitolina in carcere (anche) per corruzione aggravata, è approdato nel Pd portandosi dietro da Forza Italia e Udeur un vistoso pacchetto di voti: 6565 nel 2013. «È entrato quando il segretario era Miccoli, ma il Pd non c’entra — scacciano le ombre al Nazareno — Mirko s’è fatto sempre gli affari suoi». Molti soldi, molte preferenze. Per il Campidoglio ne servono almeno 4000, il che vuol dire da 100 a 200 mila euro. Per il Lazio le spese lievitano. Racconta Tommaso Giuntella: «Mi offrirono di candidarmi in Regione, ma quando mi dissero che serviva anche un milione rinunciai». Buzzi disse di avergli dato 140 voti alle primarie e il presidente dell’assemblea del Pd smentisce: «Mai conosciuto...». Ma i veleni scorrono come il «biondo» Tevere. Gli ex ds accusano la Bonaccorsi di aver imbarcato gli orfani di Coratti. «Cattiverie» smentisce l’onorevole renziana e butta il trasformismo alla vaccinara sulle spalle di «chi non ha governato la vocazione maggioritaria». Alfredo Reichlin è attonito: «Da dove sono saltati fuori i nomi di cui si legge? Il mondo politico che conoscevo, fino a Bettini e Veltroni, non c’è più».
Il degrado comincia nel 2008, quando Veltroni e Rutelli perdono le elezioni e sul tetto di Roma si insedia la destra di Alemanno. Invece di fare opposizione, gli sconfitti trattano con i nuovi arrivati e i loro amici poco raccomandabili. «Hanno avuto paura di perdere le poltrone», geme Ileana Argentin. Parole chiave: consociativismo e spartizione. Sotto accusa la manovra d’aula (poi abolita da Marino) che divideva la torta tra i consiglieri. Tra gli indiziati c’è Umberto Marroni, allora capogruppo, rimproverato da chi non lo ama di «essersi accordato con Alemanno in cambio delle briciole».

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