Tre sono le considerazioni che mi sembrano emergere principalmente :
1) Il gollismo in Francia "nasce" paradossalmente con Pompidou, cioè con l'uomo che succede al grande generale e RIESCE a far sopravvivere il movimento creato da De Gaulle nonostante il ritiro del Capo carismatico. La possibilità di un partito italiano popolare , moderato e liberale , potenzialmente largamente maggioritario nel nostro paese (PDL e Terzo Polo oggi , secondo le intenzioni di voto, prenderebbero più del 40 % dei voti ) , sarà verificabile solo dopo che Berlusconi non sarà più sulla scena.
2) La peculiarità tutta italiana nella politica moderna di partiti "personali". In Italia ce ne sono due, il PDL e la Lega. I loro creatori , Berlusconi e Bossi, sono in evidente crisi e se si trattasse di compagini politiche normali sarebbe più facile discutere il loro eventuale avvicendamento, l'elezione di un nuovo leader. Viceversa, nei casi di specie, è forte la sensazione di una sorta di "cupio dissolvi", della serie "muoia Sansone con tutti i filistei". Del resto l'immagine evocata da Alfano che descrive Berlusconi come il sole al cui tramonto nessuno della attuale classe dirigente del PDL potrà sopravvivere, la dice lunga....
3) La cridi di Berlusconi non è dovuta all'attacco giudiziairio (che pure Polito dichiara EVIDENTE ) né alla crescita dell'opposzione, che anzi la deriva del PD a sinistra apre spazi insperati al centro destra che potrebbe recuperare Casini e comunque la parte moderata dell'elettorato che avrà reticenza a votare formazioni così sbilanciate sulla gauche. La crisi di Berlusconi è POLITICA : il paese che non cresce, le riforme che non ci sono state e infine la crisi economica-finanziaria affrontata in modo molto "antico", con le solite tasse e le spese e gli sprechi difficilmente scalfibili e solo su "ricatto" europeo.
Personalmente condivido tutti e tre le considerazioni dell'ex senatore del PD.
Buona Lettura
Buon costume e buon senso
La democrazia fu inventata - in «circoli anglofoni» - per consentire il ricambio dei governanti senza spargimento di sangue. Da Hammamet a palazzo Grazioli, le nostre ere politiche sembrano invece destinate a finire nel dramma, con i protagonisti inseguiti dalla giustizia e scagliati dall'altare del potere alla polvere del ludibrio.
È lo spettacolo di questi giorni. L'epoca di Berlusconi sta terminando in un modo molto peggiore di quanto avrebbe meritato la sua rivoluzione politica. È grazie ad essa, per esempio, se oggi tutti concordiamo sul fatto che non vi si possa mettere fine con golpe parlamentari o giudiziari. Ma, d'altro canto, l'agonia rischia di essere insopportabilmente lunga e pericolosa, perché è perfino meglio nessun governo (come dimostra il caso belga) che un governo finito.
In una democrazia matura, il dilemma sarebbe risolto così: il partito che ha vinto le elezioni si rende conto che perderà le prossime se non cambia leader, e dunque lo cambia. È successo in Gran Bretagna con la Thatcher prima e con Blair poi, in Francia con Chirac, e in Spagna con Zapatero. Serve anche a proteggere il leader uscente dal calcio dell'asino, magari giudiziario. Qualche volta ha funzionato e la transizione è stata morbida (da Thatcher a Major, da Chirac a Sarkozy); qualche volta no (il Labour non si è più ripreso dall'addio a Blair). Però la lotta politica si svelenisce, la democrazia torna al lavoro, ci si butta il passato alle spalle.
Questa soluzione presuppone che il partito di maggioranza sia libero di agire e sia fornito dell'istinto di sopravvivenza. Ma il nostro problema è che sia il Pdl sia la Lega, le due forze di governo rimaste, sono partiti personali, e Berlusconi e Bossi ne sono i padri-padroni. Sapranno emanciparsi da questa condizione di immaturità democratica, e vivere di vita propria? O preferiranno seguire la sorte del creatore? Il Pdl è pieno di gente consapevole del fatto che il gollismo è veramente nato con Pompidou, che serve cioè un successore per fare di una scintilla una storia. Sta a loro agire, e presto. Perché, con tutto il rispetto, se Angelino Alfano pensa davvero che «dopo Berlusconi non ci sarà nessuno di noi», che ci sta a fare al vertice di un partito destinato a sparire? Che sia questione di vita o di morte, del resto, ce lo dice proprio chi oggi invece si muove: Formigoni già parla di una nuova stagione in cui «sacrificare il nome stesso del Pdl».
La vera causa di questo epilogo è la crisi del debito e del Pil, incubata in un decennio che per otto anni ha visto Berlusconi a Palazzo Chigi. È nel modo insufficiente e caotico con cui si è tentato di tamponarla. È in una maggioranza che non si è mai ripresa dalla secessione di Fini, e oggi è troppo raffazzonata per essere capace di grandi cose. È nel dualismo con Tremonti e nel soliloquio di Bossi. La causa è politica, e richiede rimedi politici. Senza i quali, anche il Pdl rischia di diventare un partito a tempo perso.
Nessun commento:
Posta un commento