lunedì 14 novembre 2011

NON E' STATO UN REGIME

Continuano i commenti e le reazioni all'episodio di sabato, l'adunata in piazza del Quirinale di qualche migliaio di tifosi anti berlusca a festeggiare e lanciare monete.
Io non me la prenderei troppo. Certo piacere a chi ci si è trovato in mezzo non avrà fatto ma alla fine non erano poi così tanti e insomma perché togliere la soddisfazione a quella parte di tifosi che all'epoca di Craxi erano solo bimbetti?
Come spiegano gli psichiatri conta la percezione della realtà, e se tante persone, poveracce, hanno vissuto questi anni come se fossero in un regime - pure manifestando ogni volta che volevano, facendo girotondi, godendosi Santoro, Floris, Mineo, Berlinguer, fondando giornali con la sola ragione sociale dell'anti caimano, andando a votare regolarmente a volte pure vincendo - bisogna compatirli, non condannarli. Quelli che sono stati male sono stati loro.
Quindi no al Minzolini che dedica addirittura l'editoriale del TG1 alla cosa, oltretutto continuando nell'equivoco dell'essere LUI la risposta di destra alla faziosità di sinistra nella RAI. Ad un errore non si risponde con un errore. E Minzolini , da quel posto, il biasimo ad una parte se lo deve tenere per sé. Presto tornerà ad essere un giornalista come gli altri e potrà esprimersi liberamente.
Nel suo articolo di oggi Pierluigi Battista ricorda opportunamente cose dette da molti:
1) Berlusconi non è stato un dittatore, né è stato abbattuto un regime
2) Bisogna andare oltre, e per farlo si ha bisogno di quella parte politica, il PDL, che ancora riconosce in Berlusconi il suo Leader. "sfrugugliarla" non è pratico, al di là del giusto o meno.
Prima di lasciarvi alla lettura diretta dell'articolo del notista del Corsera, ultima annotazione en passant:
Berlusconi si è dimesso, Monti è stato nominato. Borse giù e spread su.
Il miracolo del nominato al momento non è riuscito. Ma "domani è un altro giorno", magari va meglio.
Buona Lettura


“Una vera tregua senza rese dei conti Niente vittimismi né eterni processi”  

No, la tregua non può essere così: con gli schiamazzi, gli insulti, il lancio delle monetine, le umiliazioni, con le imitazioni farsesche di una piccola Piazzale Loreto da teatro. Berlusconi è uscito di scena, è festa per il popolo dei suoi avversari, è ovvio. Ma il governo Monti ha bisogno anche del Pdl. Il partito di Berlusconi deve pagare un prezzo elevato, non c'è bisogno di mettere al confino simbolico i milioni di suoi militanti ed elettori. L'Italia è sull'orlo del precipizio: dopo lo champagne, vediamo se è possibile salvarla, senza mortificare i responsabili di un regime che non c'è mai stato. Il nuovo governo non può che reggersi sul consenso parlamentare del Pd, del Terzo polo e del Pdl. È il frutto di uno sforzo concorde, non può trasformarsi in una grottesca resa dei conti. Porre il veto a Gianni Letta, che è stato uno degli artefici della svolta di un Pdl recalcitrante a qualunque prospettiva che non fossero le elezioni subito, regala una soddisfazione simbolica, ma non è una scelta saggia, specialmente se «politici» dell'altra parte faranno parte del governo con ruoli di responsabilità. Il programma che è il cardine del nuovo governo richiederà scelte difficili, comporterà provvedimenti difficili da digerire. Chi lo sottoscrive dovrà adottare comportamenti coraggiosi, in materia di liberalizzazioni, di pensioni, di mercato del lavoro, di pubblico impiego, di dismissioni consistenti del patrimonio ora inerte dello Stato, di fisco. Nessuno può essere messo sul banco degli imputati della Storia. E, del resto, nessuno ha i titoli per ergersi politicamente a giudice dei misfatti altrui.Le rese dei conti, poi, hanno senso nella fine dei regimi e delle dittature. Il berlusconismo sarà pure stato il concentrato delle cose peggiori, come dicono, ma non è stato né una dittatura, né un regime. Paragonare il giorno della sua caduta al 25 aprile è un'insensatezza storica. Con il rischio che tutto diventi parodia. Parodia, il regime. Parodia, il «popolo» in piazza. Parodia, la gogna. Parodia anche il richiamo a Piazzale Loreto, che fu «macelleria messicana» deplorata da molti degli stessi dirigenti della Resistenza, mentre l'altra sera, davanti al Quirinale e a Palazzo Grazioli, della Resistenza c'erano soltanto le note di Bella ciao che suonavano come il jingle di una pubblicità. Se dunque tra i dirigenti del Pdl serpeggia un eccesso di vittimismo, ipotizzando una Piazzale Loreto nei fischi di una minoranza, non ha nemmeno senso predicare da una parte l'urgenza, la drammaticità, la responsabilità di un governo che deve fare poche ma essenziali cose per evitare che l'Italia affondi, per poi mettere sotto processo politico una parte ancora politicamente importante e decisiva del nuovo scenario che si profila. La caduta del berlusconismo, ovviamente, lascerà macerie anche all'interno del partito che lui ha forgiato e diretto come un Capo assoluto. Ma il centrodestra non è stato cancellato e soprattutto non è stato espulso con decreto unilaterale dall'area della legittimità politica. Il linguaggio della vendetta e della ritorsione, del resto, è quanto di più lontano dalle stesse intenzioni del capo dello Stato e del premier incaricato. Perciò una pulsione estremista che concepisse il nuovo governo come il terreno di rappresaglie e rese dei conti non dovrebbe trovare spazio e alimento nel discorso pubblico. E nemmeno i riti stanchi dell'umiliazione di chi scambia la piazza del Quirinale per Piazza Tahrir. Senza il senso delle istituzioni. Senza il senso del ridicolo.

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