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venerdì 13 aprile 2018

BUFFON, DA ICONA DELLO SPORT A DEMONIO. EQUILIBRIO MAI ?

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La mia reazione a quanto successo a Madrid l'ho scritta ieri e non mi ripeto. Se a qualcuno interessasse, la trova nel post : https://ultimocamerlengo.blogspot.com/2018/04/tra-el-robo-e-liban-sbagliato.html
Sono rimasto piuttosto colpito dalla crocefissione di Buffon, anche da parte di persone che astrattamente (sono amici virtuali, sul web) stimo. 
Non che il capitano della Juve e della nazionale (record di presenze, un titolo mondiale, un secondo posto in Europa) non possa essere criticato e non possa stare umanamente antipatico (a me no, ovviamente, ma, per dire, non ne condivido la cifra altamente retorica), ma io ho letto cose che investono la persona e questo mi inquieta. 
Scusate, ma noi lo conosciamo così bene Pierluigi Buffon uomo ?
Direi di no. Limitiamoci al giocatore. E allora i pregi sono largamente superiori ai difetti.
E' andato sopra le righe, anche tanto, in quest'ultima occasione ? Probabile.
Questo annulla il buono fatto e riconosciutogli dall'intero mondo sportivo per lustri ?
Anche no.
Zidane è famoso per la testata alla finale mondiale del 2002 ? Certo, tutti la ricordiamo, eppure quanti pensano che Zidane sia quello e quanti invece lo ammirano come il grandissimo campione di Juve e Real, che ha regalato un campionato del mondo alla Francia ? 
Quindi caro Gigi, uomo che sei stato capace, da campione del mondo e più forte portiere del momento ( molti sostengono della storia del calcio), di andare in serie B con la Juventus mentre tutte le grandi squadre ti avrebbero coperto d'oro, non ti preoccupare di certi commenti.
Tu puoi avere sbagliato, anche influenzato dalla consapevolezza che sei alla fine della carriera e non avrai rivincite (e probabilmente anche dal sospetto che quell'arbitro non fosse in buona fede) , ma resterai nell'immagine di tutti (quasi va) uno dei più grandi portieri della storia del calcio e un'icona di sportività (tanto che a Madrid, nonostante il momento e l'espulsione, all'uscita dal calcio il Bernabeu ti ha applaudito).
Hanno detto che hai gettato la maschera...io non lo penso.
Certe fragilità le hai sempre mostrate, ammesse  e anche commentate.
Viceversa sono gli altri che hanno tolto la loro : il solito livore antijuventino, tipico dei tifosi (non gli sportivi) di calcio, anche se gli piace il rugby...
Di seguito il pensiero di Aldo Cazzullo, chiamato a rispondere ad alcuni lettori del Corsera, al solito ragionevole e pacato (merce ormai no rara, inesistente).

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Caro Aldo,
molte le critiche a Buffon dopo il suo furibondo sfogo. Ai critici la più convincente risposta, tuttavia, l’hanno data gli spettatori madrileni che hanno applaudito il portiere all’uscita dal campo e l’abbraccio di Ronaldo.
Pietro Mancini
Un rigore al 92esimo è bruttissimo e Buffon ha sbagliato. A quando il Var?
Gaspare B.
Buffon sapeva perfettamente che le sue affermazioni avrebbero creato polemiche a non finire. Buffon, quindi, ha fatto bene a farle!
Lorenza Pasini


Cari lettori,
L’impresa della Juve, il rigore e la reazione di Buffon sono stati l’argomento più discusso del giorno. Non credo si possa e si debba essere troppo severi con il capitano. Me lo ricordo nel 2002 negli spogliatoi del Mondiale in Corea, dopo l’eliminazione della Nazionale per mano dell’arbitro Moreno; era disperato ma lucido, attento a non esagerare, sempre disponibile con i giornalisti. Me lo ricordo poi felice come tutti nella notte berlinese dell’Olympiastadion, sofferente in Sudafrica nel 2010 dove dovette dare forfait per l’ernia, e poi giustamente arrabbiato dopo la beffa in Brasile del 2014, quando l’Uruguay ci sbatté fuori dal Mondiale anche grazie all’arbitro. Quel giorno fu espulso Marchisio per un’entrata scomposta, e non fu sanzionato il morso di Suarez (che a ogni occasione, anche martedì con la Roma, si conferma un uomo da poco) a Chiellini.
Buffon fu l’unico a fermarsi a parlare, a spiegare, a prendersi le colpe, evitando vittimismi; con quel suo modo di fare un po’ sopra le righe, che è la chiave della sua esplosività, quindi del suo successo. Tutti nel mondo del calcio conoscono la sua sportività; altrimenti Ronaldo non l’avrebbe abbracciato negli spogliatoi. Al Bernabeu ha sbagliato qualche termine, ma la sostanza del suo discorso era comunque chiara: se lo stesso fallo fosse stato commesso nell’area del Madrid, l’arbitro non avrebbe fischiato. C’è pure la controprova: all’andata un altro arbitro non fischiò un fallo anche più netto su Cuadrado all’ultimo minuto. Detto questo, è legittima anche la reazione del tifoso anti juventino (cioè di tutte le altre squadre) che dice in sostanza: il Real Madrid è la Juventus d’Europa.

venerdì 30 marzo 2018

OMAGGIO A PIERO OSTELLINO, GRANDE GIORNALISTA, GRANDE LIBERALE

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Mi era sfuggita la morte di Piero Ostellino, uno degli ultimi grandi liberali.
Colpa mia, sicuramente, perché praticamente tutti i giornali il giorno successivo alla morte - avvenuta  lo scorso 10 marzo  - gli hanno dedicato il giusto omaggio. 
Però avendo mancato la notizia quel giorno, non ho avuto modo di recuperare, perché nessuno ne ha più parlato.
Di Fabrizio Frizzi, tv e giornali hanno parlato per tre giorni, come fosse morto un capo di stato.
Ovvio che la popolarità di un uomo di tv non è comparabile con quella di un giornalista, per quanto bravo e importante com'era Ostellino.
Però noi liberali forse dovevamo celebrarlo di più, mentre il ricordo di un bravo presentatore, persona sicuramente per bene, ma come ce ne sono per fortuna a decine di migliaia, è esagerato sia divenuto una celebrazione.
E questo lo penso in assoluto, non per un parallelo che non ci sta, anche perché sarebbe uno sgarbo ad Ostellino.
Mi dispiace poi che gli ultimi anni della prestigiosa penna del Corriere della Sera siano stati grandemente amareggiati dal "tradimento" proprio del suo giornale, con il quale non rinnovò il rapporto di collaborazione per avarizia dell'editore.
Le bandiere non esistono più da nessuna parte, però molti hanno del Corsera l'idea, sbagliata, di un giornale "diverso".
Se magari in passato è stato vero, certo ora non più.
Ho trovato sul sito della Fondazione Hume questo ricordo di Dino Cofrancesco dedicato da Ostellino, e lo condivido volentieri.
Grande Ostellino, che la terra ti sia lieve, come scrive sempre in questi casi un altro grande giornalista, Gianni Mura. 





Addio Ostellino. Ha fatto del liberalismo una bandiera
 di Dino Cofrancesco

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Il grande giornalista contribuì a fondare il Centro Luigi Einaudi. Ha esercitato lo spirito critico su tutto, dall’economia alla Costituzione
Piero Ostellino sarà ricordato non solo come un grande giornalista – della razza di Giovanni Ansaldo, Indro Montanelli, Enzo Bettiza, Alberto Ronchey – ma, altresì, come una delle figure più eminenti del liberalismo italiano dell’ultimo Novecento. Non a caso nel 2009, a Santa Margherita Ligure, gli fu assegnato dal Centro Internazionale di Studi Italiani dell’Università di Genova, il Premio Isaiah Berlin che era stato conferito a prestigiose personalità della cultura come Amartya Sen, Giuseppe Galasso, Ralf Dahrendorf, Benedetta Craveri, Mario Vargas Llosa.

Ad assicurare a Ostellino un capitolo importante nella storia dei difensori della società aperta non sono soltanto i suoi libri, dai reportage sulla Russia e sulla Cina, dove era stato corrispondente del Corriere della Sera dal ’73 all’80 – vedi soprattutto Vivere in Russia, del ’77, e Vivere in Cina, dell’81, entrambi editi da Rizzoli, che nulla hanno da invidiare alle analisi classiche di Michel Tatu, di Arrigo Levi, di Hélène Carrère d’Encausse – ai due ultimi, Il dubbio. Politica e società in Italia nelle riflessioni di un liberale scomodo (Rizzoli, 2003) e Lo Stato canaglia. Come la cattiva politica continua a soffocare l’Italia (Rizzoli, 2009) – ma, soprattutto, una particolare cifra pubblicistica che potrebbe definirsi «liberalismo quotidiano».

Con tale espressione mi riferisco alla vocazione più autentica di Piero che era quella di mostrare come i liberali classici – da Montesquieu all’amatissimo David Hume, da Luigi Einaudi a Friedrich von Hayek – fossero, anche nella società tecnologica di massa, delle guide imprescindibili per comprendere i vizi e le virtù non degli uomini, ma dei sistemi politici e degli assetti economici che condizionano, in positivo o in negativo, la loro vita. In questo era davvero figlio del vecchio Piemonte. Ricordo con quanto compiacimento mi diceva che, passando da Torino, si era fermato al Ristorante del Cambio, a Piazza Carignano, quello preferito dal Gran Conte. Quel luogo era il simbolo dei suoi grandi amori, il Risorgimento – nel quale, a differenza di tanti suoi amici liberisti, trovava le sue radici – e l’Italia liberale, appunto, quella che ci aveva ricongiunto, per dirla con Carlo Cattaneo, all’Europa vivente. Einaudi aveva spiegato che cos’è il liberalismo in economia in articoli, esemplari per la loro chiarezza, che partivano dal mercatino di Dogliani per illustrare la complessità dello scambio di beni e di servizi in una società complessa. Ostellino è andato oltre, ha insegnato a vedere, in una prospettiva liberale, le più diverse esperienze del vissuto quotidiano.

Non c’è campo, dalla politica al diritto, dall’economia all’etica sociale, dallo sport al mondo dello spettacolo, dalla religione alla scienza, che non abbia attivato la sua attenzione e la sua inesausta curiosità e voglia di capire e di far capire. Col risultato di iscriversi d’autorità tra gli implacabili dissacratori dei costumi di casa degli italiani, del senso comune costruito ad arte dagli ingegneri delle anime, dei miti che hanno segnato la political culture della Repubblica nata dalla Resistenza e dall’antifascismo. Ostellino non è mai stato tenero con la Costituzione più bella del mondo. Soprattutto ne Lo Stato canaglia, l’ha definita un «papocchio» nato da un compromesso tra le due Resistenze, quella democratica e quella comunista. «Una Costituzione che riconosce i diritti individuali ma li subordina all’utilità sociale, al benessere collettivo, cioè a una serie di astrazioni ideologiche che non sono nemmeno affermazioni di carattere giuridico». Si tratta di rilievi non nuovi, ma Ostellino, sempre controcorrente, ha accompagnato alla critica liberale della Costituzione la difesa intransigente di un liberalismo inteso come teorica delle libertà e non dei diritti, a cominciare dalla libertà d’impresa impensabile senza la proprietà privata.

«La libertà individuale non può sopravvivere senza la proprietà protettiva, ma può sopravvivere senza la proprietà produttiva (capitalistica e di investimento). (…) E ai fini della libertà politica non occorre il benessere: si può essere liberi in povertà». Sono tesi di Giovanni Sartori che Ostellino non avrebbe mai potuto condividere. Così come non avrebbe mai potuto condividere la parola d’ordine «più Europa». La Costituzione proposta dagli europeisti che «auspicano una severa governance dell’Unione europea che rimetta in rigo i poco virtuosi stati membri», scriveva otto anni fa, «ripropone il modello delle Costituzioni programmatiche del Novecento, che non regolavano proceduralmente poteri e compiti dello Stato, ma si proponevano di cambiare gli uomini». E cambiare gli uomini era per lui, come per Croce, un «peccato contro lo Spirito».

mercoledì 21 marzo 2018

ALLORA SARKOZY, CHE C'E' ? NON RIDI PIU' ?

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Ricordate il sorriso di ironico compatimento tra Merkel e Sarkozy nei confronti di Berlusconi, allora premier dell'Italia ? 
Io sì, molto bene.  Quello più sardonico era quello dell'allora presidente francese, mentre la cancelliera sembrava anche un tantino imbarazzata. 
Del resto Sarkozy era uomo ruvido, di sole certezze, non avvezzo alla diplomazia. 
Anche straordinariamente disinvolto e avventato, come testimoniò la drammatica vicenda libica.
Fu lui, in passato amico di Gheddafi ( e che amico, se le accuse si riveleranno fondate), a decidere che era arrivato il momento di far cadere il rais, appoggiando la ribellione di Bengasi. 
Il caos libico, le conseguenze drammatiche anche per il (non) controllo dei flussi migratori, li abbiamo visti e li vediamo. I francesi magari un po' meno, capaci di incriminare una loro guardia alpina rea di aver soccorso dei profughi clandestini tra le nevi del passo del Monginevro ( https://ultimocamerlengo.blogspot.com/2018/03/salva-delle-vite-incriminato-per.html   ) .
Bene, da parecchio tempo la ruota è malamente girata per l'ex leader della destra gollista, che non fu rieletto al secondo mandato (perse nel 2012 con quell'ameba di Hollande, uno che nemmeno ci ha provato a ricandidarsi, nel 2017) , che ha provato a rientrare in gioco alle ultime primarie del centro destra, perdendo nettamente da Fillon, e ora con le accuse, da tempo formulate, di finanziamenti illeciti provenienti nientemeno che dal demone Gheddafi...
Gli è rimasta Carla Bruni, e devo dire che non ci avrei creduto.
Resta però che l'uomo non ride più...

LaStampa.it



FRANCIA, L’EX PRESIDENTE SARKOZY IN STATO DI FERMO.

L’accusa: “Finanziamenti illeciti dalla Libia”
Lo scrive il quotidiano Le Monde. «Interrogato per la campagna elettorale del 2007»



 



L’ex presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, è in stato di fermo presso gli uffici della polizia giudiziaria di Nanterre, nelle periferie di Parigi. Lo riporta il quotidiano francese Le Monde. 

RISCHIA L’INCRIMINAZIONE 

Sarkozy è stato convocato per essere interrogato nell’ambito dell’inchiesta sui possibili finanziamenti da parte della Libia alla campagna elettorale presidenziale che nel 2007 lo portò all’Eliseo. È la prima volta che viene interrogato su queste accuse, dopo l’apertura dell’inchiesta nel 2013. Lo stato di fermo può durare fino a 48 ore, dopodiché Sarkozy potrà essere presentato davanti al magistrato dove rischia l’incriminazione. 
  
INTERROGATO IL SUO FEDELISSIMO 

Anche l’ex ministro e fedelissimo di Sarkozy, Brice Hortefeux, è stato interrogato questa mattina. Hortefeux, precisano i media, è stato interrogato in libera audizione e contrariamente a Sarkozy non è in stato di fermo. 

L’INCHIESTA: SOSPETTE TANGENTI PER 5 MILIONI 

Nel 2012 il sito Mediapart aveva pubblicato documenti che parlavano di finanziamenti del leader libico Muammar Gheddafi alla corsa all’Eliseo di Sarkozy: ci sarebbero bustarelle per 5 milioni di euro in denaro contante, Un’accusa da lui sempre smentita. L’ex capo di Stato, che si è ritirato dalla vita politica dopo la sconfitta alle primarie del novembre 2016 del centrodestra, è stato già rinviato a giudizio per non aver rispettato le regole sul finanziamento della sua campagna elettorale del 2012, avendo speso circa 20 milioni in più rispetto al tetto dei 22,5 milioni consentiti per legge. 
  
L’UOMO-CHIAVE ARRESTATO A GENNAIO 

A gennaio era stato arrestato, all’aeroporto londinese di Heathrow, il 58enne uomo d’affari francese Alexandre Djouhri per un mandato di arresto internazionale emesso dalla Francia: sarebbe stato lui a fare da tramite per il denaro con cui l’ex leader libico Muammar Gheddafi avrebbe finanziato la campagna elettorale di Sarkozy del 2007, quando venne eletto presidente. L’udienza per l’estradizione inizierà il 17 aprile. Nel 2011 fu proprio la Francia di Nicolas Sarkozy a spingere per l’attacco alla Libia che avrebbe poi accelerato il rovesciamento del regime di Gheddafi.
  
IL PREMIER: “NON COMMENTO” 

Il premier francese Edouard Philippe, intervistato questa mattina dai media francesi, ha detto di non voler fare «alcun commento» sul fermo di Sarkozy ma ha evocato una «relazione intrisa di rispetto». 

venerdì 16 marzo 2018

STAVOLTA LA CAMPANA SUONA PER IL COMPAGNO INGROIA



Chi ricorda Tonino Ingroia ?  Era l'eroe della procura di Palermo, quello del teorema della trattativa tra Stato e Mafia, il magistrato che andava ai congressi dei partiti post comunisti perché un cittadino è libero di esprimere le sue opinioni politiche, e che nel 2013 fondo' un suo partito, Rivoluzione Civile, appoggiato  dalle   formazioni nostalgiche del comunismo che fu, che prese una legnata che lasciò tramortito fondatore ed adepti, con conseguente immediato scioglimento.
Finita ingloriosamente la brevissima carriera politica attiva, Ingroia smise anche di fare il PM, e questa è stata una cosa magnifica, e si è messo a fare l'avvocato e altro.
In questo altro, grazie all'ex governatore siciliano Crocetta, l'amministratore unico della società partecipata regionale Sicilia e Servizi spa. 
Bene, oggi su La Stampa di Torino leggo che "su delega della Procura della Repubblica di Palermo, i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo hanno sequestrato oltre 150 mila euro a Antonio Ingroia e ad Antonio Chisari, per i ruoli ricoperti rispettivamente di amministratore unico e revisore contabile della società partecipata regionale Sicilia e-Servizi spa (oggi Sicilia Digitale spa), entrambi indagati per una duplice ipotesi di peculato".
Naturalmente per Ingroia vale la presunzione di non colpevolezza prevista dalla Costituzione, ancorché così poco osservata da lui quando era purtroppo un magistrato, e quindi attendiamo gli sviluppi.
Certo, come spesso accade ad un certo tipo di comunisti, era molto generoso con se stesso, e comunque è un esempio utile per il popolo giustizialista : occhio ad essere insofferenti verso le garanzie, non si sa mai per chi suona la campana...

LaStampa.it

 PECULATO, SEQUESTRATI 150 MILA EURO A INGROIA

Le indagini avrebbero accertato che il 3 luglio 2014 l’ex pm si sia “autoliquidato” circa 117 mila euro a titolo di indennità di risultato per la precedente attività di liquidatore della Sicilia e-Servizi spa


Su delega della Procura della Repubblica di Palermo, i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo hanno sequestrato oltre 150 mila euro a Antonio Ingroia e ad Antonio Chisari, per i ruoli ricoperti rispettivamente di amministratore unico e revisore contabile della società partecipata regionale Sicilia e-Servizi spa (oggi Sicilia Digitale spa), entrambi indagati per una duplice ipotesi di peculato.




Il provvedimento di sequestro preventivo è stato emesso dal gip del Tribunale del capoluogo di regione, su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo. Le contestazioni mosse agli indagati traggono origine dalla natura riconosciuta alla faspa di società in house della Regione e dalla conseguente qualifica di incaricato di pubblico servizio rivestita da entrambi. 



Ingroia, in particolare, dapprima liquidatore della società dal 23 settembre 2013, è stato successivamente nominato amministratore unico dall’assemblea dei soci, carica che ha ricoperto dall’8 aprile 2014 al 4 febbraio 2018. Le indagini avrebbero accertato che il 3 luglio 2014 Ingroia si è “auto liquidato” circa 117.000 euro a titolo di indennità di risultato per la precedente attività di liquidatore, in aggiunta al compenso omnicomprensivo che gli era stato riconosciuto dall’assemblea, per un importo di 50.000 euro. 



L’auto-liquidazione del compenso, indebita secondo gli inquirenti, avrebbe di fatto determinato un abbattimento dell’utile di esercizio del 2013 da 150.000 euro a 33.000 euro. La violazione della normativa nazionale e regionale in materia di riconoscimento delle indennità premiali ai manager delle società partecipate da pubbliche amministrazioni sarebbe stata avallata dal revisore contabile Antonio Chisari, che, in base alla disciplina civilistica, avrebbe dovuto effettuare verifiche sulla regolarità dell’operazione.




Ingroia si sarebbe, inoltre, indebitamente appropriato di altri 34 mila euro, a titolo di rimborso spese sostenute per vitto e alloggio nel 2014 e nel 2015, in occasione delle trasferte a Palermo per svolgere le funzioni di amministratore, nonostante la normativa nazionale e regionale, chiarita da una circolare dell’assessorato regionale dell’Economia, consentisse agli amministratori di società partecipate residenti fuori sede l’esclusivo rimborso delle spese di viaggio. Ingroia arebbe adottato un regolamento interno alla società che consentiva tale ulteriore rimborso indebito. Anche in questo caso la violazione della normativa vigente sarebbe stata avallata da Chisari, indagato in concorso con Ingroia anche per questa seconda ipotesi di peculato.



martedì 23 gennaio 2018

PERCHE' MAURO ANETRINI SENATORE DELLA REPUBBLICA

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In un altro post ho scritto perché non sono d'accordo con Mauro Anetrini sulla questione del vincolo di mandato degli eletti in Parlamento. 
Ho anche detto, sposando l'analisi di Ernesto Galli della Loggia, riportata nello stesso post, che sarei anche io per la libertà del rappresentante del popolo in un sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali ristretti. La ragione è semplice, e governa principalmente i sistemi anglosassoni : la possibilità concreta di una conoscenza almeno minimale del candidato e  di controllarne l'operato per decidere se rivotarlo o meno all'elezione successiva (ho scritto anche che non mi dispiace il Recall, il sistema USA per il quale è anche possibile revocare il mandato ad un eletto che troppo si è discostato dagli impegni assunti con i suoi elettori). 
Ciò ricordato (chi vuole può leggere l'intero articolo : https://ultimocamerlengo.blogspot.com/2018/01/galli-della-loggia-e-un-vero-sistema.html), qui voglio dire perché sarei felice di poter votare Mauro Anetrini come senatore della Repubblica e perché se fossi in Salvini promuoverei la candidatura del valente avvocato nel collegio di Torino e Piemonte. 
Anetrini non è un leghista, ma un liberale storico. 
E' questo incompatibile con la Lega ? Credo di no.
Per quanto Salvini si sia discostato da Bossi, non penso che una politica economica basata sul sostegno, inteso come minore tassazione (e infatti la flat tax di Salvini è MOLTO ambiziosa) , minori lacci burocratici, più libertà d'impresa, specie per le piccole e medie aziende, per professionisti e lavoratori autonomi, non possa rientrare nel programma economico di un partito come la Lega.
E quindi ci siamo.
Dopodiché non è male, a mio avviso, che un partito come la Lega, dai media descritto come fortemente populista, anti europeista, lepenista, presenti candidature che convincono gli elettori moderati del centro destra di Torino e dintorni che la realtà non è così estrema come rappresentata.
Già Fontana, candidato governatore della Lombardia, è un po' in questa scia, perché non un liberale doc in Piemonte ?
Anetrini tra l'altro è uomo trasversalmente stimato ed apprezzato, per storia personale, per cultura, per le sue battaglie condotte per una giustizia giusta. 
Ecco, oltre ad essere un uomo verticale, Anetrini è anche un grande giurista, ed avere un uomo di elevato spessore tecnico in un settore delicato come quello della Giustizia, specie con il programma ambizioso di riforma che Salvini professa, mi sembra un' ottima cosa.
Parliamo di qualcuno che saprebbe - finalmente - scrivere un testo di legge corretto, spiegarlo e difenderlo in commissione giustizia prima, in aula poi e chissà, anche davanti alla Consulta.
Insomma veramente tanta roba, come si usa dire. 
Molte qualità dunque, più che abbastanza per candidarlo, se fossi in Salvini, e per votarlo, se fossi Torinese/piemontese.
Accadrà ? 
Sarebbe bello, e conosco tante persone, specie tra gli avvocati ma non solo (addirittura tra i magistrati !, che lo stimano ancorché non approvandone i progetti), che condividono questo augurio. 

martedì 3 ottobre 2017

ANCELOTTI ESONERATO COL SORRISO : "NELLA VITA SUCCEDE DI PEGGIO". UN GRANDISSIMO

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I miei amici lettori sanno che l'allenatore preferito del Camerlengo è, per distacco, Carlo Ancelotti. Le vittorie, numerose e in tutti i paesi dove ha allenato (oltre l'Italia, Inghilterra, Francia, Spegna e Germania, insomma, tutta l'Europa che conta ) , testimoniano la sua bravura di tecnico, ma quello che a me piace di più è l'Ancelotti uomo : una classe rara  ( con la macchia dell'addio al PSG per correre nelle braccia del Real : lì non fu proprio specchiato...) in una persona rimasta semplice nonostante successo e ricchezza.
Sono ovviamente rimasto dispiaciuto per lui per l'esonero da parte del Bayern, e anche stupito dal fatto che stavolta non sono stati i vertici societari (in passato qualche problema lo aveva avuto con Abramovich e Florentino  Perez, ma del resto, chi non li ha avuti con due così ?? ) a decretare la fine del rapporto bensì i boss dello spogliatoio (Robben, Ribery, Muller...).
La dote primaria di Carletto è sempre stata proprio la difficile gestione dei campionissimi, tanto da essere uomo amato da uno come Cristiano Ronaldo e prima Terry, Gerard, per non parlare di tutti i campionissimi dell'ultimo Milan stellare ( lustri orsono ormai).  Ebbene stavolta, stando ai rumors, la cosa non gli è riuscita. 
Bene, come ti reagisce il nostro emiliano dop ?  Recriminazioni ? Polemiche ? Accuse ?
Nemmeno una.
Solo sorrisi e saggezza ( "nella vita succede di peggio"), mentre se ne va a Gerusalemme a mantenere la promessa di presenziare un evento sportivo realizzato per i bambini delle varie religioni di quelle terre. 
Un grandissimo, sempre.  
Il mio sogno, vederlo sulla panchina azzurra, spero si avveri.
Magari presto...


Il Corriere della Sera - Digital Edition

Ancelotti si sente in pace «Tranquilli, ora mi faccio dieci mesi di vacanza»
di Davide Frattini
A Gerusalemme per insegnare calcio ai bambini
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GERUSALEMME I bambini arabi si sfidano a calcio nei cortili sulla Spianata delle Moschee, i religiosi protestano perché contendersi la palla in quello che è il luogo più conteso del pianeta — venerato dai musulmani e dagli ebrei — viene considerato un gesto sacrilego. Di posti per giocare sulle pietre antiche di Gerusalemme però ce n’è pochi, le mura circondano le vie troppo strette della Città Vecchia, i giardinetti mancano, qualcuno monta le altalene e le reti sui tetti piatti, sopra la calca e il rischio delle violenze tra israeliani e palestinesi.
Così questo rettangolo verde risalta ancora di più in mezzo alle lastre rosate. È un campo da calcio, da basket, da tennis, ogni campione ha voluto tirarci sopra le sue righe bianche, sportivi come Javier Zanetti, Danilo Gallinari, Novak Djokovic che hanno sostenuto la raccolta fondi per realizzare la struttura. Costruita sui terreni del Patriarcato, sta nel quartiere armeno e armeno è il sacerdote che prova a dirigere con il fischietto il traffico di ragazzini che ogni giorno si presenta con le scarpette al Jerusalem Sports Playground. È come un oratorio delle diverse religioni, aperto a tutti.
L’ospite d’onore arriva poco dopo il tramonto, lo accolgono con le maglie delle tante squadre dove ha giocato o che ha guidato, delle tante con cui ha vinto, in Italia e all’estero, fino a collezionare 19 trofei in 5 Paesi diversi. Per rispetto nessuno tira fuori quella del Bayern Monaco, gentilezza forse eccessiva, Carlo Ancelotti sembra sentirsi già in vacanza: «Nella vita succede di peggio» dice. È volato apposta da Londra per questo evento, ha voluto mantenere la promessa fatta quando dei tedeschi era ancora l’allenatore. «Non è che ci siamo messi d’accordo perché mi garantissero del tempo libero e potessi venire qui a Gerusalemme», scherza con Luca Scolari, l’anima e l’ideatore del progetto italiano inaugurato un anno fa. «Carlo mi ha aiutato a realizzare questo sogno, ha appoggiato l’idea di Assist for Peace fin dall’inizio e mi è stato vicino nei momenti duri», spiega.
A pochi giorni dall’esonero Ancelotti si ritrova seduto in panchina, sulle lunghe assi di legno verde attorno al campetto, e osserva i bimbi giocare mentre gli raccontano che il monaco armeno ha un buon piede, il tocco lieve nonostante i chili di troppo. Assicura di non aver perso a 58 anni l’entusiasmo che trova riflesso ora nei ragazzini, «altrimenti smetterei. Invece ho voglia di tornare ad allenare, non subito, in Italia possono stare tranquilli. Vedremo la prossima stagione. Mi aspettano dieci mesi di riposo». Mesi in cui — sembra assicurare — il campionato lo seguirà solo da spettatore: «Per quel che ho visto, sono contento per il Napoli e sono contento per Maurizio Sarri».
La stanza del Cenacolo non è lontana, a qualche viuzza di distanza qua dietro, ma di Giuda e di traditori, di stelle del Bayern che ne avrebbero chiesto la crocifissione preferisce non parlare: «Adesso è il momento di riflettere e restare in silenzio». D’altronde «anche in campo è meglio tacere», come ripete a chi gli fa notare che i bambini ebrei, musulmani, cristiani parlano lingue diverse, a volte non si capiscono: «Basta correre e passarsi la palla, a far comunicare è sufficiente lo sport».

Che per Ancelotti resta la scuola migliore per imparare a vivere insieme e «a me ha insegnato a superare i limiti, ad andare avanti e oltre».

mercoledì 9 agosto 2017

LUCA RICOLFI : RISULTATI DI RENZI ? PENOSI

Ogni tanto vado alla ricerca di scritti e/o esternazioni di Luca Ricolfi, uno dei miei analisti preferiti (forse il primo da un po' in qua). Purtroppo, da quello che posso dedurre, sono cessate le varie collaborazioni "fisse" - prima era a La Stampa, poi su il Sole 24 Ore, passando per Panorama - e così la "produzione" si è alquanto ridotta.
Ho trovato questa intervista, nemmeno recentissima, sul sito "CAPIRE LA CRISI", dove comunque qualche commento puntuto e interessante ancora riferibile all'attualità lo si trova.
E così gli interventi "penosi" di Renzi, comunque preferibili allo "statalismo" di Monti, e la mancata seduzione per il fenomeno Macron, leader favorito da circostanze politiche particolari e difficilmente ripetibili, con una Le Pen che nonostante lo schieramento di tutto l'establishment nazionale ed internazionale, ha ottenuto un voto popolare da non sottovalutare se si vuole capire l'aria che perdura nel Continente.
Buona Lettura

Luca Ricolfi a Capiredavverolacrisi: “Renzi ha promesso di tutto ma i risultati sono penosi”

Luca Ricolfi a Capiredavverolacrisi: “Renzi ha promesso di tutto ma i risultati sono penosi”

Luca Ricolfi, sociologo e docente di Analisi dei dati all’Università degli Studi di Torino, è una delle voci più ascoltate ed influenti del dibattito pubblico italiano. Dopo aver concentrato le proprie ricerche, fra l’altro, sul tema dei populismi e delle politiche economiche bollate con questo nome, concede un’intervista al nostro sito.
Il professor Ricolfi ha più volte sostenuto e dimostrato che i governi che hanno esteso il perimetro dell’intervento pubblico in economia hanno peggiorato la situazione che avevano trovato all’inizio del mandato, mentre dall’estero abbiamo molti esempi di Stati che hanno tenuto una linea di condotta opposta, ottenendo ottimi risultati. Purtroppo l’esecutivo di Matteo Renzi e quindi quello guidato da Paolo Gentiloni fanno parte della prima categoria.
Professore, lei sostiene che il populismo per come lo intendiamo oggi sia nato almeno negli anni 80. Guarda caso proprio il decennio in cui in Italia inizia a lievitare il debito: che connessione c’è, se ve ne è una, fra i due fenomeni?
“Non mi sembra vi sia un legame causale, anche se non ho molti dubbi sul fatto che un’eventuale vittoria delle forze populiste tenderà ad aggravare i problemi del debito pubblico.”
Quali i fattori della nascita del populismo? E che responsabilità porta la sinistra?
“L’incapacità della sinistra di rappresentare il popolo, in Italia inizia a metà degli anni ’70, ma il populismo italiano nasce solo 20-25 anni dopo, con la Lega, Berlusconi, la Rete, l’Italia dei valori. Sono le due grandi crisi, quella del 1992-1995 e quella del 2007-2014, le vere levatrici del fenomeno populista in Italia.”
Dopo un decennio in cui la sinistra europea si è innamorata del neoliberismo e ha contribuito a delimitare l’intervento pubblico in economia, l’aumento di spesa è tornato ad essere una bandiera: com’è possibile?
“La sinistra, almeno in Italia, ha sempre contribuito ad aumentare la spesa pubblica, fin dai tempi di Prodi-D’Alema-Amato. Negli anni ’90 fingeva di non farlo, mentre ora lo fa a carte scoperte, con la scusa della crisi e della necessità di “rilanciare la crescita”, “sostenere le domanda interna”, mettere in atto “politiche espansive”.”
Renzi rivendica il taglio delle tasse come risultato del proprio governo, ma l’intervento pubblico in economia non accenna a diminuire, così come le imposte
Sotto Renzi tasse e spesa pubblica non sono né aumentate né diminuite in modo sostanziale in rapporto al Pil, mentre il rapporto debito/Pil è un po’ aumentato, perché il reddito ristagna e il deficit resta prossimo al 3%. Un risultato penoso, rispetto alle magnifiche imprese promesse e sbandierate, ma tutto sommato meno peggio rispetto ai risultati dei predecessori, soprattutto Monti, sotto il quale l’interposizione pubblica è molto aumentata.”
Quali gli interventi più dissennati?
“Il bonus da 80 euro (con esclusione dei cosiddetti incapienti, ovvero le persone che non guadagnano abbastanza da poter beneficiare di uno sgravio fiscale); la decontribuzione generalizzata, ovvero estesa anche verso le imprese che diminuiscono l’occupazione; i vari bonus e mance elettorali, come i 500 euro ai diciottenni. Gentiloni, non si discosta molto dal suo predecessore, salvo su un punto: sull’immigrazione, grazie al ministro Minniti, questo governo è leggermente meno propenso a nascondere la testa sotto la sabbia.”
In Francia ha vinto Macron nonostante il fronte opposto continuasse ad accusarlo di voler smantellare lo stato sociale: che segnale è?
“Macron è stato abile a non essere troppo preciso su quel che farà una volta eletto. Ma soprattutto ha beneficiato di alcune circostanze favorevoli e difficilmente replicabili: un partito socialista alla frutta grazie alla modestia del presidente uscente Hollande; un partito repubblicano votato al suicidio grazie a un candidato travolto dagli scandali come Fillon; una storia d’amore da copertina grazie alla simpatica moglie Brigitte.
Il segnale che esce dalle urne francesi, a mio parere, non è che la Francia vuole smantellare lo Stato sociale, ma che – come era prevedibilissimo – di fronte alla “cattiva” Le Pen ha preferito affidarsi al più rassicurante Macron. Si è ripetuto quel che era successo nel 2002, quando la santa alleanza dei benpensanti, di destra e di sinistra, aveva fermato il padre della Le Pen.
Per me la vera notizia non è che il gettonatissimo e appoggiatissimo Macron abbia vinto, ma il fatto che – nonostante avesse quasi tutto l’establishment contro – Marine Le Pen abbia raccolto più di 1/3 dei voti dei francesi.”

venerdì 21 luglio 2017

LETTERA DI MAURO ANETRINI ALL'ONOREVOLE COSTA

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Enrico Costa è uno dei "traditori" del Popolo delle Libertà, che trasmigrò nel nuovo centro destra inventato da Alfano per raccogliere i sostenitori del governo Letta -e poi Renzi, e poi Gentiloni...- quando il Cavaliere aveva deciso di ritirare la fiducia, causa voto al Senato per la sua decadenza da senatore (in realtà lui poi anticipò l'esito di quel voto, dimettendosi prima, se non ricordo male).
Sappiamo le giustificazioni degli alfaniani : senso delle istituzioni, l'Italia bisognosa di stabilità...
Sono più o meno sempre le stesse le ragioni dei "responsabili".
Il fatto che siano stati eletti con voti che mai avrebbero avuto se non perché schierati con la formazione che abbandonano non li sfiora.
Poi però le elezioni tornano, malgrado loro, che ovviamente non farebbero rivotare mai gli italiani, e allora scatta il terrore che gli elettori non abbiano capito, e quindi apprezzato, quel "profondo senso dello stato" che li ha convinti a cambiare bandiera, e quindi non li rieleggeranno, accusandoli piuttosto di poltronismo inveterato.
DI qui il panico di una parte, che sa che mai sarà accolta (o riaccolta) su sponde più sicure, e l'agitarsi di altra che spera nel "perdono".
Le posizioni di Costa su varie questioni - stepchild adoption, riforma del processo penale, ius soli, mi hanno visto e mi vedono d'accordo con lui, e lo ritengo il "meno peggio" dei transfughi.
Ma il fatto resta, e la lettera che gli dedica un amico vero, sodale di idee liberali, Mauro Anetrini, merita di essere letta e meditata


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Lettera ad un amico.
Caro Enrico,
credo che la nostra vecchia amicizia legittimi me a rivolgerTi due parole e consenta a Te di prenderle per quello che sono, lo sfogo di un amico affezionato e sincero....
Tu hai sbagliato; hai sbagliato due volte. La prima, quando, pur eletto con i voti del centrodestra, hai scelto di sostenere direttamente ed in prima persona il Governo dei nostri avversari. Non ho mai pensato, neppure per un solo istante, che tu abbia seguito Angelino Alfano per occupare una poltrona: ho troppa stima di Te e so bene che faresti mai mercimonio delle Tue idee per guadagnarTi un posto al sole. L'errore è stato politico, perché sei andato a sedere in un Consiglio dei Ministri nel quale si tentava (sic! ed inutilmente) di realizzare un programma del tutto incompatibile con le idee Tue e dei Tuoi elettori.
Hai sbagliato, poi, una seconda volta, quando hai deciso di fare marcia indietro, indossando i panni del figliol prodigo che torna alla casa del Padre, dopo avere dilapidato il patrimonio delle idee, consentendo all'avversario di farsene scudo per giustificare azioni del tutto illiberali.
Questo, perdonami, amico mio, è l'errore più grave, che non sarà né compreso né scusato da coloro che, come me, Ti hanno voluto e continuano a volerTi bene. E' un errore politico che dimostra quanto fosse inutile e politicamente dannosa la scelta di saltare il fosso e quanto sia, a questo punto, inspiegabile il Tuo appello ai principi liberali. Che del PD tutto possa predicarsi meno che l'adesione alle nostre idee è addirittura superfluo ricordare: è un partito che nasce dalla fusione di tristi epigoni democristiani e comunisti alla disperata ricerca di un autore in grado di scrivere un copione da portare in scena. Noi, quel copione, lo avevamo già e sapevamo fin dall'inizio che in quei lidi sarebbe stato ignorato, se non sdegnosamente cestinato.
Non mi dire, per favore, che il Paese aveva bisogno di stabilità e che occorre avere senso istituzionale. Raramente ho visto tanta incertezza e mancanza di senso della Repubblica.
Ho detto della Repubblica e non dello Stato, perchè, come sai, a noi la parola Stato fa venire l'orticaria.
Ti auguro che il Padre Ti accolga e sia munifico con Te. Ricorda, se puoi, le pagine finali del capolavoro di Orwell – 1984 - e sappi che affidarsi anima e corpo al giudizio di chi hai abbandonato sarebbe il terzo errore. Quello letale.
Con immutato affetto.
mauro

martedì 23 maggio 2017

TUTTI A PIANGERE FALCONE, MA QUANTI MAGISTRATI HANNO SEGUITO LE SUE ESORTAZIONI ?

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La beatificazione di qualcuno che muore è una regola pressoché costante, con le sue eccezioni ovviamente. Quando poi questo qualcuno muore assassinato, e dalla mafia, l'eccezione non può operare, anche a costo di dover rivelare un'ipocrisia di livelli veramente vergognosi.
E' quello che accade alla casta magistratuale, segnatamente il CSM e l'anm ( per i non addetti, il consiglio superiore della magistratura e l'associazione nazionale magistrati, di fatto il sindacato delle toghe pregiate) ogni volta che "tocca" celebrare Giovanni Falcone.
Con tutta la scarsa simpatia - eufemismo - che ho per la d.ssa   Boccassini, non posso non riconoscerle coraggio e franchezza assoluti ed encomiabili nell'accusare i colleghi, con toni asprissimi, il giorno delle celebrazioni successive all'attentato. Non gliele mandò certo a dire, e loro giù, testa chinata, in silenzio, non avendo nulla da replicare. A distanza di 25 anni, per fortuna, ancora quella vergogna non viene taciuta, e il mea culpa, sempre tardivo ma doveroso, continua.
E sì perché Giovanni Falcone, in vita, non fu certo considerato l'eroe civile, che effettivamente fu, dai suoi colleghi.
Molta invidia, sicuramente, ma anche  ostilità per un procuratore della Repubblica che considerava, udite udite, gli avvisi di garanzia strumenti da usare con estrema cautela (non come per esempio era usa fare la procura di Milano, che si "pregiò" di inviarne uno al presidente del consiglio in carica proprio durante un importante summit internazionale), predicava una cultura garantista (non a caso Falcone aveva idee liberali) e sosteneva l'opportunità della separazione delle carriere !
Un eretico a tutto tondo e come tale veniva trattato dai suoi.
Poi è morto assassinato, insieme alla moglie, anche lei magistrato, e la sua scorta.
E allora i detrattori, i corvi (e gli sciacalli), hanno iniziato a piangerlo.
Ma senza che i suoi moniti e sproni abbiano trovato seguito alcuno da chi è venuto dopo di lui.
Anzi

Di seguito, una breve riflessione di Bianconi, del Corriere della Sera. Più completa, e incisiva, la memoria di Filippo Facci, che trovate in un altro, passato, post del blog : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2012/05/falcone-certo-che-ho-paura-limportante.html



DOPO 25 ANNI
 

Il ricordo di Falcone,
parziale riscatto
di una storia amara

Nella stessa aula del Consiglio superiore della magistratura dove più volte fu chiamato a discolparsi come un imputato, il potere giudiziario al suo più alto livello celebra il «servitore dello Stato» assassinato nella strage di Capaci


foto Ansa foto Ansa

  
Davanti al presidente della Repubblica che lo definisce «un punto di riferimento in Italia e all’estero per chiunque coltivi il valore della legalità e della civiltà della convivenza», si realizza il parziale riscatto di una storia densa di conflitti, trappole e amarezze: nella stessa aula del Consiglio superiore della magistratura dove più volte Giovanni Falcone fu chiamato a discolparsi come un imputato, il potere giudiziario al suo più alto livello celebra il «servitore dello Stato» assassinato 25 anni fa nella strage di Capaci, e le sue doti di imparzialità, indipendenza ed equilibrio.

Ma in vita, quando era l’uomo simbolo di un’antimafia già foriera di divisioni e polemiche, andò diversamente.
All’indomani della storica vittoria nel maxi-processo a Cosa nostra il Csm gli negò la nomina a capo dell’Ufficio istruzione di Palermo, dove intendeva proseguire un lavoro che invece fu interrotto; poi arrivarono le calunnie del Corvo e le insinuazioni sul fallito attentato all’Addaura, quindi la mancata elezione allo stesso Csm, le accuse di essersi venduto al potere politico e infine il muro per sbarragli la strada verso la neonata Superprocura.
Un’ostilità reiterata che solo l’esplosione del 23 maggio 1992 fece cessare. Di tutto questo il Csm di oggi sembra fare ammenda, e offre una sorta di risarcimento postumo al magistrato.
La frase più citata di Falcone diventa quella sugli avvisi di garanzia che non possono essere distribuiti «come coltellate», pronunciata quando gli rinfacciarono di tenere nascoste nei cassetti le prove contro i politici collusi, e che oggi torna utile per altre vicende.
Altri ricordano le sferzate verso un Csm «verticistico e corporativo, cinghia di trasmissione di decisioni prese altrove», che pure si possono adattare all’attualità.
Con il rischio strisciante di nuove strumentalizzazioni che non aiuterebbero la ricostruzione e la memoria di una vicenda su cui è opportuno non smettere interrogarsi.

venerdì 19 maggio 2017

ANCELOTTI SU CARDIFF : LA JUVE PIU' SOLIDA, IL REAL PIU' QUALITA'

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I miei amici di fede bianconera mi rimproverano la mia tiepidezza nei confronti dell'attuale mister bianconero, Massimiliano Allegri, che pure in tre anni ha vinto tanto, centrando traguardi importanti, comunque vadano questi ultimi 15 giorni della stagione.  Con lui infatti la Juve ha vinto tre coppe Italia consecutive, tris storico, due scudetti (con rimonta incredibile lo scorso anno, quando ad un terzo della stagione eravamo forse decimi ! ) , ad un passetto dal terzo che sarebbe anche il sesto consecutivo (altro record assoluto, e ben più prestigioso dell'altro citato) e due finali di Champions League.
Se anche non si centrasse il famoso triplete, un palmares fantastico.
Non c'è dubbio.  Si tratta di fatti, non di opinioni.
Opinabile invece è il modo in cui la squadra gioca, e a me, in genere, la Juve di Allegri non piace troppo.  Ci sono spezzoni di partite - quasi mai intere - in cui si vedono cose egregie, per velocità, intensità, qualità delle giocate, ma, appunto, si tratta di momenti, anche prolungati, ma contingentati.
L'uomo è molto ragioniere, questa la sensazione, probabilmente anche a ragione : se non ci si amministrasse non si arriverebbe alla fine dell'anno competitivi su tutti i fronti. Eppure altre squadre, in passato, sono state più "generose" nel darsi, riuscendo a vincere nonostante il più gravoso dispendio di energie : parlo di Barcellona, Real Madrid e Bayern, che hanno realizzato accoppiate e anche triplette prestigiose (scudetto e Champions, a volte aggiungendo la Coppa nazionale) senza staccare praticamente mai il piede dall'acceleratore. L'Inter di Mourinho è invece l'altro esempio, quello "ragionieristico". Gli interisti sono giustamente felici del triplete del 2010, gli altri ricordano il furto al Barcellona (a parte il pullman davanti alla porta nerazzurra al Camp Nou, rimasto nell' aneddotica calcistica Risultati immagini per pullman inter barcellona davanti alla porta) e il mezzo al Bayern in finale, così come il campionato prima dominato, poi "gestito" in modo precario, tanto da essere scavalcati dalla Roma a poche giornate dalla fine, e alla fine riacciuffato non senza polemiche (more solito, i romanisti parlano di furto, ma questo lo fanno sempre quando perdono).
Insomma, nessuno si è lucidato gli occhi guardando quella Inter, e solo i suoi tifosi se la ricordano.
Mentre il Barcellona di Messi, Xavi, Iniesta ce lo ricordiamo tutti, così come il Real di Ronaldo, Ramos, Marcelo, Modric...
Il mio Mister preferito, i lettori lo sanno, è e resta Carlo Ancelotti, uno senza dogmi tattici, che si adegua alla rosa che si trova, convinto che gli uomini che ne fanno parte "fanno i giocatori, non sono giocatori, ma persone".
E sull'esonero (molti juventini dovrebbero abbassare la testa contriti per la demente avversione che gli votarono per due anni) della Juve " è un'esperienza, come col Real. Nessun rancore, l'esonero fa parte della carriera"
Solo per frasi come queste, è il numero 1.
Ma non solo.
Di seguito, la lunga e bella intervista sul Corriere della Sera al neo vincitore della Bundesliga (che si va ad aggiungere ai tanti titoli vinti in altre quattro nazioni : Italia, Inghilterra, Francia e Spagna !).


Ancelotti: «Le squadre che vincono sono quelle col fatturato più alto»

«I giocatori “fanno” i giocatori, non “sono” giocatori.

La Juve può vincere il triplete, lo vorrei per Buffon. Il Bayern col Real ha subito un’ingiustizia, serve la Var»

  
Carlo Ancelotti (Reuters)
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«Ma lo sa quante squadre hanno fatto il triplete? Il Bayern nel 2013, l’Inter nel 2010, il Barcellona due volte e poche altre. È un’impresa, ma la Juve è messa bene: la Coppa Italia era uno snodo delicato e l’ha superato di slancio».
Ancelotti vince la Bundesliga: una carriera all’insegna dei trionfi
Vittoria in Bundesliga con il Bayern
Carlo Ancelotti, lei di trofei se ne intende: con la Bundesliga vinta alla guida del Bayern Monaco, ne ha conquistati 19 in 5 Paesi diversi. Questo le ispira un po’ di grandeur?
«Diciamo che non ho trovato squadre scarse: Milan, Chelsea, Psg, Real, Bayern. Ma comunque mi inorgoglisce, anche perché quando sono andato via dall’Italia avevo un po’ di preoccupazione: io in vacanza all’estero volevo sempre tornare a casa prima possibile... E invece sono ancora qui: il calcio ormai è universale».
C’è ancora qualcosa che le dà un brivido nel suo lavoro?
«Mi sveglio sempre con la voglia di andare al campo e preparare qualcosa per poi vederla realizzata alla domenica: è la cosa più bella. Non mi vedrei ad allenare tre giorni al mese, come in una Nazionale».
Ha superato le 1.000 panchine. Quando ha iniziato lo avrebbe mai immaginato?
«Mai. Dopo un Pescara-Reggiana 4-1 ho detto al mio assistente: “Ho deciso, smetto”. Lui mi ha risposto, “sei matto, tieni duro”. Ho tenuto duro».
Vincere qui cosa ha di diverso?
«La Bundesliga era l’obiettivo minimo, ma la soddisfazione c’è. Domani mi fanno il bagno con la birra e forse canterò pure. Certo c’è il rammarico per come sono andate le due coppe, in particolare la Champions».
L’eliminazione col Real ai quarti è stata un trauma?
«È stata un’ingiustizia. Nella storia rimarrà che il Real ha battuto il Bayern. E basta. Ma quello che è successo a Madrid al ritorno lo hanno visto tutti. E non è stato qualcosa di normale. Mettiamo la Var, perché è necessaria».
Juve-Real con che spirito la guarderà?
«Con grande interesse, simpatizzando per chi giocherà meglio. La Juve per me è soprattutto Buffon, che è stato un mio giocatore: la vittoria sarebbe il coronamento di una carriera stratosferica. E Andrea Agnelli era un ragazzo quando c’ero io: la Juve con lui è tornata ad essere un modello, grazie anche allo stadio».
Se pensa al Real pensa a Ronaldo?
«Non solo: Ramos, Modric, Marcelo, Benzema e altri. Mi sono trovato molto bene con i giocatori e forse ho pagato proprio questo».
Zidane l’ha sorpresa?
«Per niente. È intelligente e conosce benissimo il calcio».
Lei, Allegri, Zizou: si dice che siate soprattutto dei «gestori», quasi in modo dispregiativo. Che ne pensa?
«Tutti gestiscono una squadra, poi ci sono quelli che danno un’identità tattica molto ben definita e creano una tendenza, come Guardiola».
Conta di più il rapporto con la squadra?
«La chiave è creare un’idea di gioco in base alle caratteristiche dei giocatori e convincerli a seguirla. È un problema di coinvolgimento, non di imposizione. Io sono sempre stato accusato di buonismo, ma non è quello il punto: la questione è di aver a che fare con delle persone, non con dei bambini».
Il Bayern cambierà molto?
«Nessuna rivoluzione, il gruppo è molto solido. Smettono Lahm e Alonso, ma i giovani crescono».
Il mercato italiano lo guardate?
«Certo: quanto è la clausola di Belotti? Ecco, il mercato è caro dappertutto. E in Italia stanno uscendo giocatori di qualità, anche per il prossimo Mondiale: Verratti è maturato, come Insigne. È uscito Gagliardini e la difesa è sempre granitica».
A proposito di difesa: nella Juve si è creata «un’alchimia speciale» come l’ha definita Chiellini. Può portare al Triplete?
«Sì. È un sistema di gioco che si può sviluppare solo per il sacrificio dei giocatori e questo spinge tutti a dare di più, un po’ come il mio Milan dei trequartisti. Devo dire che Mandzukic per me è qualcosa di sorprendente: tenace lo è sempre stato, però è diventato tatticamente perfetto».
L’altro lato della medaglia può essere una convinzione eccessiva, come se il Real fosse un avversario qualsiasi?
«È impossibile sottovalutare il Real. Non so chi la spunterà, ma sarà molto equilibrata. Le due squadre si assomigliano come idea di gioco: forse gli spagnoli hanno più qualità e la Juve più solidità».
È d’accordo con Allegri quando dice che l’allenatore migliore è quello che fa meno danni?
«Sì. I danni li puoi fare se porti un’idea di gioco di cui sei convinto solo tu».
L’ha sorpresa di più il trionfo di Conte al Chelsea o la difficoltà di Guardiola al City?
«Quando sposi Guardiola non sposi un risultato, ma un’idea, una filosofia. Quindi devi andare avanti. Conte ha fatto il miracolo, perché è riuscito a motivare una squadra, cambiandone completamente la filosofia e passando ai 3 difensori. La sua forza è quella di essere convincente».
Per le milanesi-cinesi è stato un altro anno deludente. Che idea si è fatto?
«Il Milan non è partito per vincere il campionato, mentre l’Inter ha fatto investimenti importanti. E ha deluso».
Il Milan senza Berlusconi che effetto le fa?
«Mi fa pensare che tutte le cose hanno un inizio e una fine: anche il miglior presidente nella storia rossonera. Mi auguro che i nuovi abbiano le potenzialità per riportare in alto il Milan e per farlo servono i soldi: le idee contano, ma sei vuoi Higuain e non hai i soldi, come lo prendi?”.
Senza le milanesi ad alto livello la Juve vincerà ancora a lungo?
«Le squadre che vincono sono quelle col fatturato più alto, di lì non si scappa».
La Champions ha detto qualcosa di nuovo?
«C’è stata più qualità offensiva generale, nessun difensivismo esasperato. Neanche dell’Atletico Madrid».
Chi è la sorpresa?
«Mbappé. E Dybala, se lo consideriamo una sorpresa».
Un consiglio a Totti?
«La cosa migliore è che non siano gli altri a dirti di smettere. Se lui si sente di continuare lo faccia: può andare da un’altra parte, come fece Del Piero».
La Juve per lei è una ferita?
«No, è un’esperienza, come il Real: non ho rancori, credo che l’esonero faccia parte della carriera».
Sulla sua panchina c’è una data di scadenza?
«Non ho alcuna intenzione di smettere finché mi diverto: guardavo Ferguson a 2000 panchine e pensavo che fosse un mostro, ma il calcio fa provare emozioni uniche. E cambia in continuazione. Per questo aver giocato ti serve relativamente: rispetto a 20 anni fa è tutto diverso».
Il suo segreto qual è?«Avere cura delle persone. I giocatori “fanno” i giocatori non “sono” giocatori. Sono persone».
Che fa, cita Sartre?
«No, guardi io sono anche un po’ ignorante, ma la realtà è questa. Piuttosto, con l’esperienza vedo che gioisco meno per i momenti belli e soffro di più per quelli difficili. È strano e non so perché. Ma è così».
Quindi dopo gli errori dell’arbitro Kassai col Real ha sofferto il doppio: esiste un peso politico delle squadre?
«No. Esistono arbitri bravi e meno bravi. Tutti possono sbagliare, ma non così, a questi livelli. L’arbitro di Juve-Real è di Monaco e non ci arbitra mai: una volta ha fatto un errore entrato nella storia, ma è uno che sbaglia molto poco».
Perché Zidane fa giocare così poco Morata?
«Perché Benzema è il miglior centravanti per giocare con Ronaldo».
La Juve non vince la Champions da 21 anni: è un handicap o uno stimolo?
«Una statistica. Quel che conta è il coraggio che serve in queste partite, per dimostrare tutte le tue qualità».
Lei dove la vedrà la finale?
«In ferie, a Vancouver. Saranno le 11.45 del mattino. Poi cucinerò: in quello sì che sono davvero bravo».