giovedì 29 marzo 2012

BATTISTA SCRIVE QUELLO CHE PENSA O QUELLO CHE SPERA? SUL GOVERNO MONTI IL DUBBIO E' LECITO

Io apprezzo Pierluigi Battista, già vicedirettore del Corriere della Sera e tuttora valentissimo editorialista di punta del giornalone di via Solferino . Però a volte resto perplesso di fronte ad articoli che trovo stranamente "buonisti". Mi sembra che gli venga meglio la parte "polemica" (magari per tutti i giornalisti è così).
Allora, a Battista il governo TECNICO PIACE. A lui come a molti. Intanto già il solo fatto che abbia messo in seconda fila i biasimevoli partiti che si contendevano la seconda repubblica è meritorio, e questo ci può stare.
E poi perché veramente pensa che Monti possa finalmente fare quelle riforme necessarie al nostro paese. E qui invece le perplessità, da quello che si è visto finora, aumentano.
Ma non è questo il tema oggi. La questione trattata è l'escalation della tensione tra il Premier e il PD, con un botta e risposta mica male, che riporta un pochino indietro nel tempo. E Battista, come aveva fatto con Berlusconi, a cui aveva riconosciuto responsabilità da "STATISTA" per le dimissioni nonostante godesse ancora teoricamente della fiducia parlamentare, e del sostegno a Monti costato l'alleanza con la Lega, ora cerca di fare con Bersani, pur di salvare la nave del governo in carica.
La sensazione, sia allora che oggi, è che il "nostro" non scriva quello che realmente pensa, ma ha un obiettivo, che in assolutissima buona fede ritiene bene per il paese, e dà il suo contributo per questo...
Ma giudicate da soli...ecco l'articolo

Troppe parole fuori registro

Non può finire con una «scazzottata» tra tecnici e politici. Anzi, non può nemmeno cominciare questa esibizione muscolare che rischia di compromettere le cose buone fin qui fatte da un governo tecnico sorretto da partiti politici responsabili. E di vanificare la serietà con cui gli italiani, con tutte le tensioni e le asprezze che necessariamente accompagnano un passaggio così tormentato della vita nazionale, stanno affrontando colpi e sacrifici durissimi.
Si deve fermare l' escalation verbale che ieri ha raggiunto il culmine con il duello tra il presidente Monti e il segretario del Pd Bersani. Non servono le parole sprezzanti nei confronti dei partiti, equiparati, come traspare da alcune risposte del ministro Fornero, a distributori di «caramelle», paladini di spese facili e regalie fortunatamente arginate dal rigore intransigente di un provvidenziale governo tecnico. Non si può però nemmeno assecondare la nuova tendenza dei partiti, in particolar modo del Pd, a sgomitare per la riconquista del palcoscenico e a liquidare come «prepotenza» tecnica la legittima scelta di decidere, di consultare chi di dovere, senza però farsene ostaggi, di arrivare a una conclusione senza passare per la consuetudine paralizzante della ritualità concertativa. Monti non dovrebbe reagire, proprio mentre rappresenta degnamente l'Italia in Estremo Oriente, maltrattando l'immagine dei partiti. I partiti non pensino che il baratro sia oramai lontano e che possa riprendere con spensierata irresponsabilità la festa di prima. I tecnici hanno bisogno dei partiti e non possono pretendere i benefici di un'assoluta autosufficienza. Ma i partiti devono ancora cominciare a riflettere sulle ragioni di una sconfitta storica della politica, sul grado di dissolvimento e sul discredito che il ruolo della politica ha oramai raggiunto nell'opinione pubblica.
Lo sforzo, ancora una volta, deve essere comune. Lo sforzo di chi governa per continuare nell'azione intrapresa qualche mese fa in un momento drammatico, per non lasciarsi sedurre dalla spirale della comunicazione a effetto e per rispettare ancora di più le difficoltà di chi, nella società, è alle prese con una tassazione elevatissima, con l'angoscia della perdita del lavoro, con le retribuzioni che si assottigliano. Lo sforzo dei partiti che lo sostengono di non voler chiudere frettolosamente con l'epoca della responsabilità, di archiviare al più presto il governo tecnico e di prepararsi a una competizione elettorale confusa e rissosa, come al solito. Uno degli effetti benefici del governo tecnico, tra l'altro, è stato la rapidità con cui si è disinnescata l'esasperazione mediatica della «dichiarazionite», l'agitarsi convulso, iper-loquace e inconcludente che ha scambiato il bipolarismo per un ring in cui trionfa chi urla in modo sgangherato.
La «sobrietà» tecnica, dopo aver riportato la discussione politica su un terreno meno astruso e verboso, non può poi rilassarsi e imitare, sia pur alla lontana, uno stile comunicativo di ripicche e di ritorsioni verbali che lasciano solo una scia di rancore e di incomprensione. L'evocazione allusiva dei «cazzotti» scriteriatamente menzionati da Bersani rischia poi di accelerare un'abitudine che credevamo sepolta insieme alle liturgie della Seconda Repubblica. Un salto all'indietro, le cui ripercussioni dovranno essere neutralizzate. Da tutti. In un soprassalto di responsabilità, come è accaduto nei mesi scorsi.

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