mercoledì 11 aprile 2012

IERI TANGENTOPOLI, OGGI PARTITOPOLI: VENT'ANNI E NON SENTIRLI...

"La delusione del presente, fa venire meno la fiducia nel futuro e alimenta il rimpianto del passato". 
E' una frase che spesso mi viene in mente. Sempre quando sento rimpiangere la prima repubblica. Nato nel 1960, ho solo letto della nascita repubblicana e del suo primo ventennio. Certo non furono anni incruenti, specie i primi due lustri del dopoguerra, però il saldo lo definirei senz'altro positivo, e uomini come De Gasperi, Einaudi, Amendola, De Nicola, Nenni e magari pure Togliatti (faccio una certa fatica a includerlo lo ammetto...) avevano uno spessore mai più ritrovato nella classe politica italiana. Ma dagli anni 70 in poi francamente io vedo solo una decisa involuzione, dei partiti e dei nuovi leader. Il termine partitocrazia nasce allora, così come quello di governo balneare, crisi al buio, "inciucio", "consociativismo" , catto-comunismo, politica dei due forni....
Francamente non so cosa si possa rimpiangere, oltre alla giovinezza, di quel periodo. Quello dopo, della seconda repubblica, non è stato meglio? Vero, ma solo perché ha rappresentato un "continuum" rispetto al passato, nonostante le promesse di rottura e di riforma in senso liberale, anti burocratico-statale. Si sono rivelate pie illusioni, ma dire che si sia peggiorato....Diciamo che grazie al giochetto del debito pubblico, inventato proprio negli anni 70 e MAI più smesso, abbiamo conosciuto epoche di benessere di cui oggi viene presentato il conto, come sempre quando quel benessere si fonda sui "buffi" e non sulla ricchezza effettiva.
Un'Italia che poteva essere dignitosa e serena ha voluto essere "ricca", avere , diffusamente, la possibilità di servizi gratuiti a pioggia per tutti, pensioni alte e presto, stipendi per lavori improduttivi, auto, moto, case, viaggi, ristoranti , tv, pc, iphone, ipad.....Tutte belle cose certo, e non c'è nessun male ad averle o desiderarle. Ma la maggior parte di queste, quasi tutte direi, non sono vitali. Eppure lo sono diventate, e per darcele, per farci contenti, lo Stato che ha fatto? Si è indebitato....facendoci credere che i debiti SUOI, non fossero i nostri. Certo ha iniziato ad aumentare le tasse, ma un po' per volta, e poi sempre elargendo da un lato (posti, pensioni baby, "pasti gratis"), accettando che venissero evase, un po' o tutte, dall'altro. E tutti contenti. Fino a quando non si è potuto più. La prima volta che il giocattolo si è rotto fu ai primi degli anni 90, e infatti , causa la grave crisi economica, scoppiò tangentopoli e finì la prima repubblica.
Sparirono tutti partiti che l'avevano costituita, ne nacquero di nuovi. L'unico partito sopravvissuto fu la Lega, allora neonato, nei panni del bambino che ha il coraggio di dire che il re è nudo, che appoggiò Mani Pulite, che mostrò il cappio in Parlamento...Adesso sono i suoi militanti che stanno con le scope in mano per fare pulizia in casa propria, e il cappio lo mostrano ad alcuni dei loro dirigenti, come il Trota o la Mauro. Nemesi storiche.
La prima repubblica finì con una crisi economica e tangentopoli, la seconda sempre con una crisi e con Partitopoli.
Però c'è chi sottolinea una differenza: le tangenti venivano richieste per finanziare i partiti, erano un illecito a "fin di bene"....qui i soldi vengono razziati per soddisfare le tasche personali.
La differenza obiettivamente c'è, a parità di illegalità.
Solo che io non ho memoria di questi uomini specchiati ancorché pronti a violare la legge per amor di partito, ma di tanti "marioli" come Craxi definì incautamente Mario Chiesa, il primo pizzicato col sorcio in bocca...
Posso anche convenire con Antonio Polito, che appunto nell'articolo, che ora posterò, sottolinea questa differenza, che questi di oggi siano PEGGIO. Ma che quelli fossero disinteressati, no, proprio no.
Sulla conclusione di Polito , chiudere i rubinetti del soldi pubblici, così tanti che nemmeno sanno che farsene da regalarli al Trota di turno, ovviamente non ci può essere che il plauso unanime e convinto.
Di noialtri, perché vedrete che i partiti non lo faranno.
Buona Lettura

DA TANGENTOPOLI A PARTITOPOLI
La fine della Seconda Repubblica

Da Severino Citaristi a Francesco Belsito. L'abisso che divide e il filo che unisce Tangentopoli e Partitopoli è tutto nella storia di questi due tesorieri, l'uomo della cassa dello Scudo crociato e l'uomo della cassa di «The family». Citaristi laureato alla Cattolica, Belsito neanche a Malta. Citaristi partigiano, Belsito buttafuori. Citaristi di professione editore, Belsito autista. Citaristi 74 avvisi di garanzia, condanne per sedici anni di carcere, 128 miliardi di lire di tangenti e mai un soldo trovato nelle sue tasche. Belsito... beh, lo sapete.
Se Tangentopoli fu l'atto fondativo della Seconda Repubblica, bisogna dedurre che Partitopoli ne è l'atto conclusivo. In poche settimane sono usciti di scena i due leader, Berlusconi e Bossi, che si offrirono all'Italia per ripulirla da quel sistema dei partiti, colpevole di essersi divorato lo Stato. E per quanto diverse siano le cause dell'addio, con loro finisce il Ventennio.
Ma questa Partitopoli è diversa da Tangentopoli.Vent'anni fa i partiti non rubavano, estorcevano. Questo era il sistema delle tangenti. I soldi del finanziamento pubblico erano insufficienti per tenere in piedi complessi sistemi correntizi, spropositate ambizioni di potere, gigantesche macchine di apparato. Così i partiti li cercavano fuori dallo Stato utilizzando le leve dello Stato. Ricattavano il sistema delle imprese: se vuoi l'appalto, paga la tangente. Non a caso il pool di Milano usò il reato di concussione come grimaldello per entrare in Tangentopoli, accusando chi incassava di «concutere», cioè di estorcere; e concedendo invece a chi pagava l'attenuante dell'esservi stato costretto.
Oggi invece i partiti ricevono senza sforzi molto più di quanto serva loro per finanziare anche la più opulenta vita politica. Stavolta i soldi non vengono dagli imprenditori, ma direttamente dallo Stato, cioè dai contribuenti, grazie a quella legge sul rimborso spese che rimborsa anche quando non ci sono le spese, anche quando non c'è più la legislatura, anche quando non c'è più nemmeno il partito. Poi, certo, ci sono sempre le tangenti, su un piano più locale o personale, raccolte da cacicchi che non hanno accesso alla distribuzione centrale delle risorse e dunque si arrangiano per foraggiare le loro compagnie di ventura. Ma quello che colpisce, nello scandalo Lusi come in quello Belsito, è piuttosto l'enormità di fondi pubblici a disposizione di partiti che non sanno che farsene, come la Lega, o che non esistono, come la Margherita. Le forze politiche sono oggi così ricche (più di due miliardi e mezzo di euro ricevuti in vent'anni) che devono industriarsi a investire i soldi in eccesso, quasi fossero delle piccole finanziarie, al punto che Belsito comprava titoli in Tanzania e a Cipro perché, come disse elegantemente Bossi quando lo protesse e lo salvò, i Btp italiani erano a rischio default.
Si può dire che Tangentopoli agì dal lato della domanda, mentre Partitopoli agisce dal lato dell'offerta. Questo, non solo la storia e lo stile personale, spiega l'abisso che separa Lusi e Belsito da Citaristi o da Vincenzo Balzamo, il tesoriere del Psi che morì d'infarto poco dopo aver ricevuto il primo avviso di garanzia. Perché è in questo basso impero dove si nuota nell'oro che l'avidità si fa più privata e più impudica, e i soldi se ne vanno in Porsche e in caviale, in argent de poche e badanti. La politica guadagna più di quanto fattura, è un'azienda che fa profitti. Il mezzo ha prevalso sul fine. Oggi sì che si ruba: e chiunque rubi di certo non ruba per il partito.
Ma per quanto più pacchiano e miserando, lo scandalo di Parentopoli non è meno grave di Tangentopoli. Anzi, per la democrazia italiana lo è forse di più. Questi partiti, nessuno dei quali nella Seconda Repubblica ha osato chiamarsi «partito» - con la recente eccezione del Pd - proprio per non confondersi con i partiti di Tangentopoli che pretendevano di aver sostituito, sono finiti come quelli nel disdoro e nella vergogna. Ed è un bel problema, perché al momento sono gli unici che abbiamo. È probabile che dovremo inventarcene dei nuovi, per dar vita a una Terza Repubblica. Ma, per l'intanto, c'è da fare subito una cosa: affamare la bestia. Chiudere il rubinetto dei soldi pubblici e vedere chi sopravvive.

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