Nella mia modestia, avevo scritto - http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/05/germania-una-guida-senza-appeal-di.html - che sicuramente in Italia e in altri paese mediterranei questa cosa sarebbe stata strumentalizzata per parlare del vento di sinistra, dei socialdemocratici tedeschi che, vincendo le prossime elezioni del 2013, salveranno l'Europa dall'egoismo austero della Merkel.
Facile profeta: non erano passate nemmeno 24 ore e nella trasmissione della sinistra demagogica già c'era il tribuno che plaudiva la Kraft, che parlava di "bambini da non lasciare indietro"....
Sempre ieri però, più saggiamente, qualcuno sul Corsera ricordava come una cosa è parlare di debito in CASA PROPRIA, un'altra è consentirlo a casa d'ALTRI.
E i tedeschi, su questo, sembrano molto compatti, perché interrogati sulla Grecia, da mo' l'avrebbero mollata al suo destino!
E non è che per Spagnoli e Italiani farebbero discorsi diversi. Magari dovranno cambiare destinazioni turistiche, riscoprendo le regioni dell'ex impero: le coste serbo-croate.
Sul tema, ritorna con grande chiarezza ed efficacia Antonio Polito, che in sostanza invita a non farsi troppe illusioni: se qualcosa potrà essere concesso, in fatto di soldi, sarà sul piano degli investimenti produttivi, NON del welfare (i bambini da non lasciare indietro appunto....), che Schoroeder, un socialdemocratico, ebbe il coraggio di tagliare per salvare il suo paese e perdendo per questo le elezioni.
Statisti, che qui non si vedono.
Buona Lettura
Illusioni e ambiguità
Quando un presidente francese affretta la cerimonia
dell’insediamento per correre a Berlino, come accadrà oggi a Hollande, c’è poco
da discutere su dove sia il centro del potere europeo anche dopo la vittoria
socialista in Francia. La Merkel è certamente ferita dalle urne, ma gli
elettori del Nord Reno- Westfalia non hanno votato contro l’austerità in Grecia
o in Italia. Semmai hanno votato contro l’austerità nel loro Land, di gran
lunga il più indebitato di Germania, preferendo restare nelle più generose mani
della governatrice socialdemocratica Kraft.
L’incontro di oggi a Berlino non dovrebbe dunque suscitare
troppe aspettative di una svolta nella crisi europea. Bisognerà fare attenzione
alle ambiguità lessicali. Merkel ha ammorbidito il suo linguaggio, è pronta a
dare a Hollande ciò che aveva già deciso di concedere presentandolo come un
«protocollo per la crescita »; Hollande è pronto a incassare e a venderlo ai
francesi come la riscrittura del «patto fiscale». Per lei la crescita sono le
riforme strutturali di cui parla Draghi, per lui innanzitutto iniezioni di
spesa pubblica. Troveranno un compromesso, magari sui project bond, usando i
soldi già stanziati dei fondi strutturali e del bilancio della Ue, e lo
chiameranno «patto per la crescita ». Ma quello che dovrebbe essere chiaro fin
d’ora, soprattutto a noi italiani, è che più spinta alla crescita non vorrà
dire meno rigore. Anzi: per poter investire, si dovrà risparmiare.
Nuove risorse pubbliche potrebbero infatti venire oggi
soltanto da più tasse o da più debiti. Forse alla fine la Germania ci
concederà, una tantum, di pagare i fornitori della Pubblica amministrazione
senza che la spesa venga calcolata come nuovo debito; ma è molto improbabile
che arrivi a breve la golden rule, e cioè la possibilità di mettere tutta la spesa
per investimenti produttivi fuori dal calcolo del deficit. Al prossimo vertice
europeo se ne comincerà al massimo a parlare, perché prima va deciso quali sono
investimenti produttivi e quali invece sono spese travestite. La Germania non
vuole aprire scorciatoie per i furbi nel patto appena scritto. E va notato che
tra le proposte di Hollande mancano proprio quelle più radicali come la golden
rule o gli «eurobond ». Il nuovo presidente francese è in realtà partito molto
basso, e, come sempre avviene al suk europeo, rischia di avere anche meno di
quanto chiede. E una ragione c’è: la crisi greca.
La tragedia nazionale in corso ad Atene può infatti aprire
un gorgo capace di risucchiare molti altri Paesi. Se per Spagna e Italia il
contagio rischia di venire da una crisi di fiducia sul debito, come dimostra
l’impennata degli spread, per la Francia può avvenire attraverso il sistema
bancario, molto esposto con la Grecia. Hollande scoprirà che c’è un solo modo
per proteggersi dai mercati: stare attaccato alla Germania.
Come ha scritto ieri Franco Venturini, il voto tedesco non
autorizza dunque a credere in una svolta keynesiana. In Germania non esiste un
«partito della spesa». Anzi, si potrebbe aggiungere che l’ennesima batosta
della sinistra radicale di Linke, nostalgica dell’assistenzialismo dell’Est, e
la sorprendente tenuta dei liberali, alleati del cancelliere, dimostrano
piuttosto il contrario. In Germania non è nato nessun partito anti-euro o
anti-austerità, come nel resto d’Europa. I sondaggi dicono che il 70% dei
tedeschi non darebbe un soldo ai greci se prima non eleggono un governo che
rispetta i patti. E la Spd non è certo un partito sbarazzino. Nel 2005 Schröder
perse le elezioni, a causa del successo della sinistra estrema, proprio perché
aveva portato a compimento un duro programma di riforme del welfare che
trasformarono la Germania da «malato d’Europa» in Paese del «secondo miracolo
economico». Dopo di lui fu un ministro delle Finanze socialdemocratico,
Steinbrück, a inserire il vincolo del pareggio di bilancio nella Grande
Coalizione guidata dalla Merkel. I partiti popolari tedeschi sanno essere
impopolari, quando serve. Se qualcuno si è dunque convinto che stia per tornare
l’epoca dei pasti gratis, si sbaglia. Alexis Tsipras, il leader della nuova
sinistra greca, li propone letteralmente per gli studenti e metaforicamente per
tutti i concittadini. Ma la sua idea che si possa restare nell’euro senza
rispettare le regole europee è il contagio greco che la Germania teme più di
ogni cosa. E farà di tutto per impedirlo.
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