venerdì 22 giugno 2012

UNIONE POLITICA EUROPEA? MAGARI NON E' UNA BUONA IDEA


L'Europa Unita, quella che non c'è, sarà qualcosa, se e quando realizzata, di più liberale e democratico? E' lecito pensare di no. Certo, gli europeisti pensano ad una Europa federata, sul modello degli USA, o della Svizzera. Vasto programma, in considerazione che quei due paesi, tra loro diversissimi - e la Svizzera appare migliore - hanno origini a loro volta molto lontane da quella che è la storia del vecchio continente. Io insisto spesso sull'elemento dell'unica lingua, rispetto alla Babele tuttora presente nella UE, oggi, a 17, figuriamoci a 27 e oltre. Poi c'è un discorso di cultura, di nazionalismi, che noi italiani sottovalutiamo perché , colonizzati fino al 1860, non possediamo questi valori ("dis", oggi?). Ma per gli altri paesi è diverso ! Anzi, in molti paesi c'è un fortissimo REGIONALISMO, come in Spagna, con baschi e catalani insofferenti ai castigliani, o in Belgio (il Belgio !!!!) tra fiamminghi e valloni. In Italia, dove, ripeto, senso della nazione non c'è, e ci sono motivi storici ben precisi, variamente illustrati proprio lo scorso anno nei vari libri e saggi usciti in occasione del 150° anniversario della Unità, facile che per i lombardo veneti, per non parlare delle regioni alpine, sia molto più allettante recuperare vecchi sintonie germano asburgiche che continuare a far finta di essere compatrioti delle regioni del sud. La gente sta insieme o per "sangue" (lo chiamano anche "amore"), e da noi questa cosa è poco sentita, o per convenienza.  Mancando entrambe le cose....
Insomma , l'Europa è stata, è e forse continuerà ad essere, se sopravvive a questa che è la prima vera grande crisi dell'idea unitaria, una costruzione elitaria, che cala dall'alto, e sempre più contestata e contrastata nonostante goda del favore pressoché totale dei mezzi di informazione.
Il pericolo, come scrisse Ernesto Galli della Loggia ma anche Panebianco, è che questo verticismo acuisca la distanza e il distacco dei cittadini europei che percepiscono il sorgere di uno Super Stato niente affatto democratico, se non nell'apparenza (anche in Russia , in Cina, addirittura in Corea si vota....), ma di fatto "imperiale", dove la nostra volontà conta nulla e la nostra libertà è una generosa concessione del Super Monarca.
Sul tema, Gabriele Manzo ha scritto un lunghissimo articolo, intitolato appunto "CONTRO L'UNITA' POLITA EUROPEA", che ha diviso sapientemente in due parti. Qui posto la seconda, che esorto assolutamente a leggere. Non perché sia da condividere, ma perché fa utilmente PENSARE.



.......Da liberale, ritengo una spesa pubblica che intermedia la metà del pil nazionale incompatibile con ogni pretesa di libertà individuale; e chiunque riesca a spingere la nostra classe politica a ridurre questa quota incontra il mio favore. Seguendo tale strada dovrei esultare di fronte alle ingerenze della signora Merkel, ed esser quanto mai contento dell’idea di unione politica che, di fatto, levando potere ai nostri politici, trasferendolo nelle mani di politici, realizzerebbe probabilmente un’idea di finanza pubblica più vicina alla mia. Ed in una prospettiva di breve termine è sicuramente così.

Il problema è che mi spaventa, anzi, mi terrorizza l’idea d’un potere centrale sempre più esteso, sempre più irresistibile, sempre più nebuloso ed impermeabile alle istanze dal basso.

Il concetto di unità, di centralismo, unito ad una volontà pianificatrice che agisce con il dichiarato intento di perseguire (e far perseguire) un fine comune, è quanto di più distante ci sia da ordine liberale, che in primo luogo vuole tutelare la libertà e la possibilità di scelta degli individui.

Il liberalismo è, tutto sommato, una dottrina semplice, che cerca di tutelare la libertà delle persone mediante la concorrenza: concorrenza sul mercato, certamente, ma anche concorrenza istituzionale.

Lo stato si pone come negatore di questo meccanismo concorrenziale, dal momento che detiene il monopolio della violenza.

Il passaggio dall’età medievale all’età moderna può essere letta, tra le altre cose, come il passaggio da un mondo policentrico, in cui i centri di potere (a partire da i due più importanti, il sacro romano impero e la chiesa cattolica, scendendo giù nei feudi, nelle città libere, nei regni, nei monasteri), ma anche i diritti stessi, che si declinavano in modo differente a seconda dei luoghi, dei contesti e delle persone (e così si aveva il diritto feudale, il diritto regale, il diritto canonico  il diritto imperiale ecc ragion per cui le persone era soggette contemporaneamente a tutta una serie di diritti in reciproca concorrenza), erano vari e in competizione tra loro, ad un mondo monocentrico, nel quale in un dato territorio a dettar legge è uno solo, lo stato, detentore, come dicevamo, del monopolio della violenza.

Questa superiorità dell’uno sui molti è un leitmotiv che attraversa trasversalmente nei secoli la cultura europea; e la ritroviamo, ad esempio, nel De Monarchia di Dante, quando dice:

“Quindi è meglio che il genere umano sia governato non da più, ma da uno solo, cioè dal Monarca, che significa appunto principe unico [...] E siccome tra due termini posti a confronto soltanto tra loro quello che è migliore si identifica con «il migliore», ne consegue che tra quell’«uno» e quei «più» il primo non solo è più accetto a Dio, ma è anche «il» più accetto. Dal che si deduce che il genere umano si trova nella condizione più perfetta quando è governato da uno solo, e che quindi la Monarchia è necessaria per il buon ordinamento del mondo”[2]

Si possono addirittura cercare le origini di questa presunta superiorità in ambito etimologico, prendendo il termine diavolo (diabolein); questo viene dal greco “dia ballo”, che significa separare, dividere (allontanarsi dall’unità quindi). Significativa la ricaduta linguistica: il suffisso dus, due, connota in senso peggiorativo:dis-prezzare, dis-mettere, dis-conoscere, ecc

Tutto questo testimonia una idea fortissima circa la superiorità dell’uno sul molteplice. Sempre Dante dirà “più ci si allontana dall’uno  più ci si allontana dal bene”. 

Insomma, dietro il tentativo sempre più marcato di ridurre le diversità verso un’unità sempre più ampia (tutte le varie costruzioni sovranazionali, dall’Onu all’Ue, dalla Nato al Wto, esattamente in questa direzione mirano a controllare, sottomettere e pacificare aree sempre più estese del globo), vi è una tendenza plurisecolare, difficile da liquidare con semplici analisi di tipo economico.

In conclusione: perché credo che mantenere una molteplicità di stati sia preferibile rispetto ad avere pochi grandi stati, o addirittura un unico grande stato, magari nominalmente anche federale? Essenzialmente perché la pluralità consente di sfuggire alla morsa, al giogo del potere. Se gli stati sono tanti, ed in reciproca concorrenza, avremo che questi si contenderanno le risorse, intese come capitale umano, materiale e finanziario; e queste saranno libere, nel momento in cui la propria giurisdizione di riferimento peggiori i servizi, aumenti le imposte, i regolamenti, o limiti la libertà degli individui, di spostarsi verso una giurisdizione più favorevole, e questo senza che ci sia la necessità di oltrepassare un oceano. Tanto più un potere è concentrato ed esteso, tanto più diventa difficile sottrarsi al suo dispotismo. E poco importa che questo potere sia scelto mediante libere elezioni: avere la possibilità di concorrere (in maniera per lo più marginale…) alla scelta del nostro despota, non ci rende per questo meno schiavi.

L’Unione Europea, viceversa, non nasce per federare stati in reciproca concorrenza tra loro (sulla scia degli Stati Uniti o, ancora meglio, della repubblica federale svizzera), ma nasce con l’obiettivo opposto: vincolare, restringere, regolamentare ogni tentazione concorrenziale.

La stessa idea di armonizzazione fiscale è stata, fino ad ora, intesa come “portare tutti al livello più elevato” (piuttosto che scendere tutti verso il meno elevato)

Il capitalismo di mercato, che ha in sé una missione di distruttività creatrice (Schumpeter), una tendenza a distruggere il vecchio e l’obsoleto, per far posto al nuovo, al più efficiente, è il nemico giurato dell’Unione Europea; essa nasce per scongiurarne gli effetti destabilizzanti; per difendere i paesi in primo luogo dalla concorrenza tra di essi, e poi dalla concorrenza proveniente dai paesi esteri più dinamici.

Il progetto è esplicitamente declinato in ottica solidaristica, in vista del perseguimento di un ideale comune.

Ma un’idea di società di questo tipo, ci insegna von Hayek, è quanto di più lontano ci sia dall’ideale di società libera, dove il fine non deve esser stabilito dall’alto, da un’élite di illuminati burocrati; ma  l’unico fine dev’essere il lasciare gli individui liberi di scegliere i propri fini da perseguire (o come è scritto nella costituzione americana, lasciare gli individui liberi di perseguire la propria felicità).

L’unico modo per vincolare tutti i membri ad un fine è quello di controllare tutti mezzi, o gran parte di essi; cosa che è riuscita molto bene alle nazioni europee; non solo esse intermediano metà del prodotto interno lordo, ma grazie ad una regolamentazione sottile e minuziosa, si è reso possibile il cercare di fare qualsiasi cosa  senza l’esplicito consenso dell’autorità centrale; il motto dell’UE potrebbe essere “tutto quel che non esplicitamente consentito è vietato”.

 Tutto questo sarà portato ad un livello superiore di efficacia nel momento in cui si affermasse l’unione politica dei popoli europei.

Quel che spero è che questa direzione che conduce dalla pluralità all’unità non si compia fino in fondo, e che avremo la capacità di renderci conto che la diversità, la pluralità e le differenze sono un patrimonio da salvaguardare, non una minaccia; esse sono la garanzia per una civiltà di libertà, mentre l’unità è, da sempre, la parola d’ordine dei collettivismi in ogni tempo.

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