mercoledì 4 luglio 2012

PENSARE IN GRANDE SI PUO'


Non ci credo, però già è bello leggerlo. Anche da noi si parla di diminuire gli impiegati pubblici!!!!
IL 20% dei dirigenti e il 10% dei normali. Ovviamente non è che questa gente verrà licenziata, si parla di prepensionamenti, come al solito (ma del resto, gettarli in mezzo la strada ? facciamo i messaggi pubblicitari per non abbandonare gli animali e poi lasciamo senza lavoro gente che assai difficilmente dopo anni di stato saprebbe riciclarsi altrove e a cui fu promesso stipendio basso poco lavoro e posto sicuro), però l'importante è che si inizi e magari tra qualche era avremo lo Stato "Leggero" di cui si parla tanto.
Ovviamente i sindacati sono sul piede di guerra, la Polverini (l'abbiamo preferita alla Bonino come capo della regione, Dio ci strafulmini a noi laziali ) dice che piuttosto che tagliare le spese alle regioni e agli enti locali, meglio l'aumento dell'IVA......Eh, ma devono tornare le elezioni pure per te Renata....per te e per il tuo "amico " Alemanno....Sulla spending Review ci sarebbe da piangere e quindi meglio ridere....Tutti assistiamo alle inefficienze e agli sprechi quotidiani della macchina statale, poi però, quando ci si mette mano, tutto diventa "indispensabile", sembra che si voglia tagliare sempre dalla parte sbagliata...
Bondi è un buon mastino, sicuramente meglio dei ministri nominati da Monti che poi deve aver capito di aver sbagliato e ha chiamato l'uomo duro della Parmalat. I giornalisti lo descrivono magro, vestito anonimamente, quasi pallido, mentre Catricalà e Grilli si presentano azzimati e abbronzati. E infatti il primo FORSE qualcosa farà, finora gli altri due, insieme a Giarda, sono stati perfettamente in sintonia con l'incapacità di chi li aveva preceduti.
Il timore che tutto finisca come per le liberalizzazioni (i tassisti ancora ridono), la riforma del lavoro (una boiata pazzesca, l'ha definita il leader di Confindustria, ma prima di Squinzi, nella sostanza ancorché non nella forma, così si erano espressi Alesina, Giavazzi, Ichino, solo per parlare dei moderati...), con il governo che parte in tromba e poi rimane sconfitto dalle corporazioni di vario livello.
Però il Monti degli ultimi giorni sembrerebbe un po' più determinato. A Bruxelles ha fatto dire al Ministro Danese "pensate di sequestrarci ?" visto che Super Mario aveva annunciato che era necessario proseguire ad oltranza, fino a quando non fossero state date delle risposte alle domande italiane. E ieri ai sindacati pare non sia stato dato grande margine di "concertazione". Sono stati informati di come intende procedere il governo, ma al momento non si prevedono tavoli di consultazione.
E anche questo fa venire qualche brivido di gioia.
Sentire un Premier che dica alla Camusso che " potrà informarsi dal ministro di competenza", bé , non è cosa di tutti i giorni.
Questa nuova "grinta" vedremo se è reale o un bluff.
In Spagna gli scioperi il governo li affronta, forte del voto popolare avuto solo pochi mesi fa.
Per Monti è diverso. Lui NON ha il voto degli elettori, però i partiti, comunque intimoriti dalla situazione economica, dai mercati, dall'Europa e anche da Napolitano, brontolano ma nessuno sembra prendersi la responsabilità di mandarlo via.  Certo, finora sono anche riusciti a fargli fare belle marce indietro, come nella riforma del lavoro, e probabilmente il PD pensa che anche stavolta di riuscire a ridimensionare la cosa.
Poi però Bersani mi spiega come pensa di fare a governare questo paese con una spesa pubblica pari al 60% del PIL nazionale....
Sul tema dei tagli coraggiosi, e di come si potrebbe cambiare propria l'idea di Stato con essi, ha scritto Davide Giacalone a cui vi lascio

Bersaglio grosso
E’ più facile colpire un orso che un passero. La doppietta del governo si accanisce su un bersaglio piccolo, tremando fra le mani di chi non riesce a tarare il mirino, tant’è che i tagli necessari ammontano a 4.2 miliardi per Antonio Catricalà, fra i 7.5 e i 10 per Enrico Bondi, per collocarsi all’intermedio 6.8 di Piero Giarda. Tutto per evitare di aumentare ulteriormente l’iva di due punti, o quanto meno, per dimezzarne il già programmato e annunciato intervento. Al bersaglio grosso nessuno pensa.
L’idea di tagliare per non tassare è corretta, ma troppo limitata. Qualcuno penserà di leggere le parole di un matto, perché laddove non si riesce a fare poco è insensato proporsi assai di più. Invece credo che sia più facile ottenere molto, perché ci si proverebbe con strumenti e seguendo ragionamenti diversi. Più efficaci e promettenti. Seguite questi pochi numeri.
Marco Fortis insiste, meritoriamente, nel sottolineare che il mero parametro del rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ci penalizza. Quel tipo di misurazione è stato santificato nei trattati europei e posto a base dell’euro, ma non ha valenza generale e riconosciuta. Meglio sarebbe lavorare sul rapporto fra il debito aggregato e la ricchezza patrimoniale. Guardate la differenza: se si calcola il debito pubblico sul pil l’Italia arriva al 120%, la Francia al 90, la Germania all’83 e la Gran Bretagna all’81. Siamo messi male. Ma se si calcola il debito aggregato (Stato + famiglie + imprese), la classifica cambia: Gran Bretagna 507%, Francia 346, Italia 323 e Germania 279. Se si mette in rapporto il debito aggregato con il patrimonio, infine, risultiamo fra i più solidi e affidabili. Chi ci presta i soldi dovrebbe star più che sicuro, tant’è che, come calcola sempre l’ottimo Fortis, ove tutti i Paesi applicassero una patrimoniale (il cielo non voglia) per rientrare sotto il 60% del rapporto debito pubblico/pil, dopo la cura da cavallo gli italiani resterebbero i più ricchi, fra i grandi Paesi europei. Tutto questo per dire che c’è materiale buono per spiegare ai partner europei, come anche ai mercati, quanto l’Italia sia oggi vittima di una pericolosa manomissione. Il cui risultato sono tassi d’interesse così elevati da comportare un effettivo e pericoloso svantaggio competitivo.
Ciò, però, dice anche un’altra cosa, che ci riporta al tema della spesa statale: se i debiti pubblici sono così elevanti e quelli privati così bassi (rispetto a quelli degli altri) è segno che il nostro è un mercato statalista, una sorta di socialismo reale post-sovietico. Dentro l’Italia c’è un morbo cubano. Tale condizione è anche un’opportunità: non si deve tagliare a fette la spesa pubblica, provando a diminuirne progressivamente lo spessore, ma la si deve colpire a tocchi, perché alimenta un’idea sbagliata e regressiva di Stato. E’ vero quel che ha detto Mario Draghi, ovvero che la crisi non può non mettere in discussione il modello europeo di welfare, ma, come dimostrano i dati prima citati, da noi si tratta di una massa tumorale assai più estesa, capace di soffocare l’Italia che corre.
I debiti pubblici dei grandi europei, presi in valore assoluto, si somigliano (Germania 2.082 miliardi, Italia 1.988, Francia 1.946, Gran Bretagna circa 1900, dati relativi a previsioni per il 2013). I rapporti cambiano perché cambia il pil. Un’Italia che riprendesse a crescere scalerebbe posizioni anche in quella classifica che ci sfavorisce e ci costa. Se debellassimo il morbo cubano vedremmo crescere anche il bello della latinità, la gioia di vivere, la musica, il bel vivere, ma lo faremmo grazie alle imprese che crescono, non deprimendole per aumentare il gettito fiscale. Ci siamo riusciti in passato, possiamo rifarlo.
Quindi: provare a tagliare 4.2 miliardi è più difficile che tagliarne 42, sforbiciarne 10 più doloroso che 100, perché nel primo caso si cerca di farlo salvando l’esistente, nel secondo essendo consapevoli che va superato. Se si riesce a fare la prima cosa si evita un ulteriore aumento delle tasse, restando esattamente dove siamo (e non dico dove), nel secondo si può abbassare la pressione fiscale, restituendo irrigazione a un mercato che ha tante volte dimostrato d’essere fertilissimo. Se anziché tagliuzzare la spesa si sfoltisce lo Stato si fa cosa meno dolorosa e più promettente, al punto che quei numeri diventerebbero la premessa di un boom, questa volta sospinto non dagli investimenti pubblici, ma dalla globalizzazione.
C’è una sola cosa che c’impedisce di farlo: l’incapacità di pensarlo. Il governo commissariale, che non deve cercare voti, che non deve piatire consenso, prenda coraggio e agisca nel profondo. Poi porti il tutto davanti al Parlamento e chieda la fiducia. Sarà più serio e rispettoso di tredici decreti legge da convertirsi entro la fine di agosto, con fiducie fioccanti e riti umilianti.

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