La questione dell'ILVA è problema assai grave, visto le
decine di migliaia di persone che coinvolge. I 15.000 operai, le loro famiglie,
l'indotto industriale ma anche i cittadini di Taranto che vivono vicino alla
fabbrica e sono esposti alle emissioni nocive della stessa.
Ne abbiamo parlato diverse volte, e oggi scrive un articolo
Davide Giacalone, che può essere condiviso o meno (stavolta io in parte, non
totalmente), ma che pone l'accento sul problema ESSENZIALE : I TEMPI.
Sappiamo che la nostra giustizia affoga per LENTEZZA. Il
Vice Presidente del CSM, Vietti, parla dei freni da porre all'appello civile.
Nella sostanza potrebbe avere ragione , anche se fa pericolose premesse (tipo
che il doppio grado di giudizio non è costituzionale....bé dovrebbe esserlo,
visto che gli errori non mancano !! ), però si scorda che quando si sono fatte
proposte per snellire il contenzioso penale, i Magistrati hanno fatto muro e
lui con loro . Ricordate la NON appellabilità delle sentenze di assoluzione di
primo grado ? ATTENTATO !! E eliminare l'obbligatorietà (retorica e dannosa)
dell'azione penale ? ATTENTATO !!!
Il processo penale "breve" ? ATTENTATO !!! In
compenso le procure sollecitano il prolungamento (se non l'abolizione!!) dei
tempi di prescrizione....Vabbé....Vietti è democristiano antico, da un Hombre
così "poco vertical" che aspettarsi?
Tornando all'ILVA, quanto tempo è passato prima che il GIP
si pronunciasse in ordine all'istanza cautelare di sequestro? Tanto ! E' vero
che la questione è complessa e delicatissima, ma è anche vero che noi avvocati
sappiamo come vanno queste cose. Dunque, una vicenda del genere comporterebbe
questa imposizione : i periti nominati, TUTTI, sia quelli di ufficio
sia quelli di parte, si obbligano a sospendere qualsiasi altra loro attività
parallela
Per il tempo necessario alla redazione della perizia, loro
si dedicheranno solo ad essa, in modo da concluderla il più celermente
possibile, perché intanto che loro studiano può darsi che una fabbrica continui
ad uccidere...
Ugualmente per il magistrato.
Non va affatto così. Solo per stabilire il calendario delle
cd. operazioni peritali, si assiste allo scandalosa scena per la quale gli
esperti stanno con le loro agende in mano e cercano di conciliare, con bon ton
e rispetto degli altrui impegni, date per TUTTI compatibili.
Dopodiché arriva la perizia con conclusioni molto gravi, che
portano inevitabilmente alla misura del sequestro. La decisione, pur
gravissima, non sembrerebbe avere alternative : se quelle sono le conseguenze
delle emissioni, bè che altro fare se non chiudere ?
Invece il Ministro dell'Ambiente, (non gli imputati, non i
proprietari della fabbrica) annuncia il reclamo immediato al Riesame e
"sollecita" una decisione rapidissima...
Ora, il Tribunale del Riesame potrebbe correggere la
decisione del GIP solo ritenendola "esagerata", che vi siano elementi
nelle carte del processo che fanno ritenere lo stato delle emissioni
"sostenibile".
Se così fosse, in quale isola lontana e senza aule di
giustizia dovremmo inviare la GIP Todisco ??
In ogni caso, ricordava bene Giacalone, questo avrebbe
conseguenze minori se il tutto fosse deciso celermente. E questo invece non
avviene MAI.
Buona Lettura
Nube tossica
GIP PATRIZIA TODISCO |
Il giudice delle indagini preliminari, infatti, ha posto
sotto sequestro un’intera area industriale. All’Ilva i sigilli hanno chiuso i
parchi minerali, le cokerie, l’area agglomerazione, l’area altiforni, le
acciaierie e la gestione materiali ferrosi. Otto, tra dirigenti ed ex
dirigenti, i detenuti agli arresti domiciliari. Cinque di questi erano già
inquisiti e avevano nominato propri consulenti nell’ambito dell’incidente probatorio.
Il galateo istituzionale, l’omaggio formale alla separazione
dei poteri, non cela minimamente il disappunto del ministro dell’ambiente,
Corrado Clini. Il governo, ha detto, vuole sostenere la “continuazione delle
attività produttive e chiederò che il riesame dei provvedimenti giudiziari
avvenga entro giorni e non mesi, nel minor tempo possibile. Non possiamo
sostenere il clima di tensione economica e sociale”, precisando che la faccenda
coinvolge, fra gli altri, l’interesse di “circa quindicimila lavoratori”. Credo
che il ministro abbia ragione, ma credo anche che non abbia pesato fino in
fondo le sue parole. O forse lo ha fatto, risultando, per questo, ancora più
dure.
Il riesame dei provvedimenti cautelari, che riguardano la
libertà personale dei cittadini, la disponibilità dei loro patrimoni e, come in
questo caso, l’uso di beni e attività produttive, deve sempre essere immediato.
Se non lo è, e troppo spesso non lo è, il potere giudiziario si trasforma in
potere arbitrario. Sottolinearlo, mille volte, non significa polemizzare con la
magistratura, o volerne attaccare le funzioni, ma l’esatto contrario: se la
macchina giudiziaria non funziona e il diritto e i diritti non sono tutelati,
nulla più ha a che vedere con la giustizia. Neanche i provvedimenti per ipotesi
giusti. Inoltre, il governo non ha alcun potere d’intervento sui tempi delle
decisioni giudiziarie, meno che mai nella fissazione delle date relative a
riesami, ricorsi, udienze o sentenze. Sicché il ministro ha espresso auspici
che non possono essere impegni, con il che, però, ha dimostrato la totale
inutilità della sua azione. Ciò, detto con parole diverse, significa che il
potere giudiziario ha assunto il governo di fatto. Il che non è normale, né
accettabile, né circoscrivibile.
Sollecitando il riesame, cosa che non può fare,
sostituendosi così non solo al tribunale, ma anche alla difesa (con i
provvedimenti appena eseguiti dubito che siano già pronti i ricorsi, talché si
possa sottoporli a riesame), il ministro ha reso evidente qual è il suo
convincimento: il giudice non solo ha esagerato, ma ha sbagliato. La qual cosa
non mi scandalizza affatto, dato che trovo frutto di un disdicevole
bacchettonismo giudiziario il fatto che i magistrati possano criticare il
governo e provare a riscrivere la storia, mentre chi fa le leggi e governa non
dovrebbe mai permettersi di esprimere opinioni sull’operato dei magistrati.
Clini non solo è nel suo diritto, ma credo anche sia nel giusto. Però deve
avere il coraggio della chiarezza: mentre assicurare che il governo chiederà un
immediato riesame è delirio istituzionale e irregolarità formale, dire che
quegli stabilimenti non andavano chiusi, che quegli impianti non si possono
spegnere e che la sorte di un’area industriale non può decidersi con le misure
cautelari sarebbe degno di plauso e ammirazione. Tutto sta ad avere le idee
chiare e usare le parole giuste.
Veniamo al merito, dunque. Se i provvedimenti di ieri si
dimostreranno ben fondati e l’esito del procedimento dovesse premiarne la
tempestività, ne deriverebbe che il governo nazionale e quello degli enti
locali è nelle mani d’incapaci, di matti o di complici. A (non felice) scelta.
Perché mentre il gip chiudeva tutto e arrestava, gli uomini dei diversi
governi, l’impresa e i sindacati chiudevano un accordo che prevede non solo la
continuazione dell’attività produttiva, ma l’investimento di 336 milioni per la
riqualificazione ambientale, considerata compatibile, evidentemente, con la
sopravvivenza di quell’industria. O gli uni o gli altri, all’evidenza, hanno
preso una micidiale cantonata. E siccome non si può procedere a suon di “se” e
di dubbi, è evidente che il giudizio sul rispetto o la violazione delle leggi
non può che spettare alla giustizia. Ma non a quella delle misure cautelari,
bensì a quella delle sentenze. E’ qui il dramma, messo in luce anche dalle
parole, sbagliate, di Clini: se la distanza fra la misura coercitiva, in
assenza di giudizio, e il giudizio stesso si allarga, come sempre di più
succede, allora questo è un Paese senza certezza del diritto, nel quale non si
può investire e del quale è legittimo avere paura.
Il che riguarda non solo gli stabilimenti, ma anche le
persone, i cittadini la cui libertà è stata violata. Alcuni di loro erano già
parte nel giudizio, tanto da avere attività legali in corso. Allora: in che
consiste l’urgenza dell’arresto, visto che se avessero avuto intenzione di
scappare lo avrebbero già fatto, se avessero potuto inquinare le prove anche,
mentre l’ipotesi di reiterazione del reato (ambientale!) è cervellotica? Ancora
una volta finiscono arrestati degli imprenditori, in questo caso una famiglia.
Se si commettono dei reati, se si è giudicati colpevoli, quale che sia
l’attività che si svolge, la propria fede religiosa, il proprio livello
culturale o il colore della pelle si sconti la pena. Ma qui non c’è l’ombra di
un giudizio, siamo alla fase cautelare, e, una volta di più, si dimostra che
fare l’imprenditore, in Italia, comporta un rischio eccessivo. Compreso quello
di perdere la libertà.
Nessuno s’illuda che la faccenda riguardi solo l’Ilva e
Taranto. La nube tossica oscura il sole ovunque. E non si disperderà solo
sbrogliando, ammesso che ci si riesca, la faccenda pugliese.
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