Sul tema scottane odierno, la questione delle intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica, ho già postato due articoli (http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/08/intercettateci-tutti-non-e-piu-gradita.html , http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/08/discolpati-e-napolitano-cesso-di-essere.html ).
Nel secondo è riportata la lucida analisi di Antonio Polito, comparsa sul Corsera di oggi. Ad essa contrappongo quella di un altro opinionista che stimo molto, Davide Giacalone, che partendo da considerazioni simili - l' orrore di una legge, quella sulle intercettazioni, che consente gli obbrobri a cui assistiamo, la degenerazione di certa magistratura e di parte dell'opinione pubblica, l'ipocrisia di chi, quando gli è convenuto, ha lasciato che i cani sciolti azzannassero l'avversario e oggi gridano allo scandalo perché il morso è "Un amico" - arriva a conclusioni diverse. ORMAI, sostiene Giacalone, la frittata è fatta, e conviene alla Presidenza della Repubblica che finiscano le illazioni e che le conversazioni, secretate una ceppa !!, vengano rese note per dissipare illazioni ormai allucinate.
Bisognava pensarci PRIMA. E bisogna continuare a pensarci, perché non riaccada.
Ma QUI e ORA, è bene tagliare le unghie ai complottisti e ai diffusori di fango.
Se poi fosse vero che il Presidente avrà parlato male di Berlusconi, di Di Pietro e di alcuni magistrati....e vabbé, sarà imbarazzante, ma così è PEGGIO.
In effetti, temo che il "Nostro" abbia al solito ragione. Per il futuro ci si decida finalmente a CAMBIARE e si riportino gli italiani a pensare che SPIARE, guardare nelle mutande di tutti , non è pratica commendevole.
Oggi, si abbozzi, per l'ultima volta sarebbe da sperare.
Interessante anche la soluzione che Giacalone propone su come riformare questa materia.
Buona Lettura
Phone call(e)
Solo in uno Stato in decomposizione può capitare che
le conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica, non intento ad
organizzare un golpe, finiscano nelle carte di un processo penale e sui mezzi
di comunicazione. Non è possibile ragionare su quel che succede se non si parte
da tale banale e scontata considerazione. Detto questo, però, il difetto sta
nella legge che regola le intercettazioni, sta in un costume che ha consentito
la pubblicazione di ogni cosa, sta nella barbarie di un diritto piegato ai più
belluini istinti faziosi, sta nel non avere posto rimedio quando era evidente
che il problema avrebbe scatenato una cancrena difficile da fermare. Noi
avvertimmo, ma troppi fecero i furbi. In
questo ci sono anche responsabilità del Colle, né il constatarlo
modifica di un dito la gravità della situazione.
Napolitano è
responsabile, assieme a tutto il mondo politico e istituzionale che ha reso
impossibile la modifica di una demenziale legge sulle intercettazioni. E’ falso
che si debba scegliere fra l’intercettare a fini di giustizia e il tutelare non
solo la riservatezza di ciascuno, ma anche solo la decenza nell’esercizio di
funzioni pubbliche. E’ un dilemma tarocco, perché l’interesse collettivo chiede
sia che s’intercetti a fini d’indagine e di prevenzione, sia che non finiscano
sputtanati cittadini ancora coperti dalla presunzione d’innocenza, o le cui
parole sono del tutto prive di quale che sia risvolto penale. Per ottenere
questo risultato, scontato in qualsiasi parte del mondo civile, ci sono
strumenti adeguati. Ad esempio: la polizia giudiziaria è libera d’intercettare,
ma le cose che ascolta non sono mai prove (se non in casi eccezionali), ma solo
piste che devono portare all’acquisizione di prove, il che comporta che il
testo delle intercettazioni non deve mai essere depositato in nessun fascicolo
giudiziario, dove, invece, vanno le prove e non le chiacchiere, sicché da
quello non possono traslocare sulle pagine dei giornali. E’ una soluzione che
tiene assieme entrambe le esigenze, senza in nulla nuocere alla sicurezza e
alla dignità collettive.
Ma non si è voluto
adottare una simile soluzione, perché fin qui si è goduto nell’usare questa
mondezza giudiziaria per infamare l’avversario politico di turno. Un costume
incivile ha piegato il diritto agli interessi di fazione e un guardonismo
collettivo s’è impadronito della società italiana, fino a teorizzare che se si
ascolta tutto si ha una più realistica rappresentazione della realtà. Neanche
per sogno. Se si ascoltano tutte le parole di due amanti non si ha il dettagliato
racconto di un amore, ma la scurrile descrizione di un altalena fra violenza e
perversione. Di perverso, però, c’è solo la voglia di guardare dentro le
mutande altrui, alla ricerca di una verità che, di certo, non si completa e
incarna da quelle parti.
Giorgio Napolitano,
sia detto con tutto il rispetto che si deve all’incarico che ricopre, non s’è
sottratto a questa sciocca e vile acquiescenza ai costumi triviali. Non si
sottrasse da presidente della Camera, quando non ebbe il coraggio di leggere le
denunce di chi dava la vita pur di avere diritto di parola, né ha ritrovato
successivamente quello smarrito senso del dovere e delle istituzioni. Ma
sarebbe cedere troppo al medesimo errore dire, oggi, che chi la fa se
l’aspetti, perché chi è ancora in grado di ragionare in termini istituzionali
non può non vedere che l’attacco al Quirinale non compensa affatto gli errori
anche da questo commessi, ma li aggrava e porta ad uno stadio di
pericolosissima tensione.
Detto ciò, una volta
che l’errore si è commesso, si deve stare attenti a non favorire il nascere e
il prosperare dei ricatti: se i testi di quelle telefonate esistono, se
qualcuno li ha in mano, il solo modo che esiste per togliere loro il potenziale
distruttivo è che divengano di dominio collettivo. Quando Antonio Di Pietro
anticipa il contenuto di alcune conversazioni, quando afferma che ci sono anche
insulti diretti a delle persone, è segno che quelle carte sono già finite in un
lurido canale di scolo. Da lì vanno sottratte. Quindi, ritengo che il presidente
della Repubblica abbia fatto bene a sollevare il conflitto d’attribuzione,
rivolgendosi alla Corte costituzionale, perché da quello dipende non la sua
sorte personale, ma l’integrità del posto che ricopre. Solo temporaneamente. Al
tempo stesso, però, proprio perché è irrimediabile la condizione che si è
creata, e la cosa più grave consiste nel fatto che taluni abbiano quei testi
(fuori dalle sedi di giustizia) e altri no, converrebbe al Colle essere la
fonte della loro divulgazione. Con disgusto, con esecrazione, ma pur sempre
pubblicizzazione.
Non è in gioco solo
un equilibrio istituzionale (e scusate se è poco), ma la sicurezza di ciascun
individuo, la libertà dei cittadini, la civiltà collettiva. Si chiuda questa
piaga e si cancelli una legge pessima, senza avere paura di riforme di cui, in
un mondo normale, si dovrebbe essere fieri.
Nessun commento:
Posta un commento