venerdì 31 agosto 2012

ORMAI LA COSA E' ANDATA TROPPO AVANTI. PER FERMARE IL FANGO E I SOSPETTI MEGLIO FAR SMETTERE I SUSSURRI VELENOSI E DIRE LA VERITA'

I lettori del Camerlengo conoscono ormai il più frequente taglio dei post del blog. A volte si tratta solo di mie considerazioni, più spesso sono il mio parere su un tema del giorno di cui propongo, di seguito ad una sorta di introduzione, il commento di editorialisti, esperti, opinionisti che stimo e il cui pensiero e riflessioni mi piace condividere coi miei amici.
Sul tema scottane odierno, la questione delle intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica, ho già postato due articoli (http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/08/intercettateci-tutti-non-e-piu-gradita.html ,   http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/08/discolpati-e-napolitano-cesso-di-essere.html ).
Nel secondo è riportata la lucida analisi di Antonio Polito, comparsa sul Corsera di oggi. Ad essa contrappongo quella di un altro opinionista che stimo molto, Davide Giacalone, che partendo da considerazioni simili - l' orrore di una legge, quella sulle intercettazioni, che consente gli obbrobri a cui assistiamo, la degenerazione di certa magistratura e di parte dell'opinione pubblica, l'ipocrisia di chi, quando gli è convenuto, ha lasciato che i cani sciolti azzannassero l'avversario e oggi gridano allo scandalo perché il morso è "Un amico" - arriva a conclusioni diverse. ORMAI, sostiene Giacalone, la frittata è fatta, e conviene alla Presidenza della Repubblica che finiscano le illazioni e che le conversazioni, secretate una ceppa !!, vengano rese note per dissipare illazioni ormai allucinate. 
Bisognava pensarci PRIMA. E bisogna continuare a pensarci, perché non riaccada.
Ma QUI e ORA, è bene tagliare le unghie ai complottisti e ai diffusori di fango.
Se poi fosse vero che il Presidente avrà parlato male di Berlusconi, di Di Pietro e di alcuni magistrati....e vabbé, sarà imbarazzante, ma così è PEGGIO.
In effetti, temo che il "Nostro" abbia al solito ragione. Per il futuro ci si decida finalmente a CAMBIARE e si riportino gli italiani a pensare che SPIARE, guardare nelle mutande di tutti , non è pratica commendevole.
Oggi, si abbozzi, per l'ultima volta sarebbe da sperare.
Interessante anche la soluzione che Giacalone propone su come riformare questa materia.
Buona Lettura

Phone call(e)
Solo in  uno Stato in decomposizione può capitare che le conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica, non intento ad organizzare un golpe, finiscano nelle carte di un processo penale e sui mezzi di comunicazione. Non è possibile ragionare su quel che succede se non si parte da tale banale e scontata considerazione. Detto questo, però, il difetto sta nella legge che regola le intercettazioni, sta in un costume che ha consentito la pubblicazione di ogni cosa, sta nella barbarie di un diritto piegato ai più belluini istinti faziosi, sta nel non avere posto rimedio quando era evidente che il problema avrebbe scatenato una cancrena difficile da fermare. Noi avvertimmo, ma troppi fecero i furbi. In  questo ci sono anche responsabilità del Colle, né il constatarlo modifica di un dito la gravità della situazione.
Napolitano è responsabile, assieme a tutto il mondo politico e istituzionale che ha reso impossibile la modifica di una demenziale legge sulle intercettazioni. E’ falso che si debba scegliere fra l’intercettare a fini di giustizia e il tutelare non solo la riservatezza di ciascuno, ma anche solo la decenza nell’esercizio di funzioni pubbliche. E’ un dilemma tarocco, perché l’interesse collettivo chiede sia che s’intercetti a fini d’indagine e di prevenzione, sia che non finiscano sputtanati cittadini ancora coperti dalla presunzione d’innocenza, o le cui parole sono del tutto prive di quale che sia risvolto penale. Per ottenere questo risultato, scontato in qualsiasi parte del mondo civile, ci sono strumenti adeguati. Ad esempio: la polizia giudiziaria è libera d’intercettare, ma le cose che ascolta non sono mai prove (se non in casi eccezionali), ma solo piste che devono portare all’acquisizione di prove, il che comporta che il testo delle intercettazioni non deve mai essere depositato in nessun fascicolo giudiziario, dove, invece, vanno le prove e non le chiacchiere, sicché da quello non possono traslocare sulle pagine dei giornali. E’ una soluzione che tiene assieme entrambe le esigenze, senza in nulla nuocere alla sicurezza e alla dignità collettive.
Ma non si è voluto adottare una simile soluzione, perché fin qui si è goduto nell’usare questa mondezza giudiziaria per infamare l’avversario politico di turno. Un costume incivile ha piegato il diritto agli interessi di fazione e un guardonismo collettivo s’è impadronito della società italiana, fino a teorizzare che se si ascolta tutto si ha una più realistica rappresentazione della realtà. Neanche per sogno. Se si ascoltano tutte le parole di due amanti non si ha il dettagliato racconto di un amore, ma la scurrile descrizione di un altalena fra violenza e perversione. Di perverso, però, c’è solo la voglia di guardare dentro le mutande altrui, alla ricerca di una verità che, di certo, non si completa e incarna da quelle parti.
Giorgio Napolitano, sia detto con tutto il rispetto che si deve all’incarico che ricopre, non s’è sottratto a questa sciocca e vile acquiescenza ai costumi triviali. Non si sottrasse da presidente della Camera, quando non ebbe il coraggio di leggere le denunce di chi dava la vita pur di avere diritto di parola, né ha ritrovato successivamente quello smarrito senso del dovere e delle istituzioni. Ma sarebbe cedere troppo al medesimo errore dire, oggi, che chi la fa se l’aspetti, perché chi è ancora in grado di ragionare in termini istituzionali non può non vedere che l’attacco al Quirinale non compensa affatto gli errori anche da questo commessi, ma li aggrava e porta ad uno stadio di pericolosissima tensione.
Detto ciò, una volta che l’errore si è commesso, si deve stare attenti a non favorire il nascere e il prosperare dei ricatti: se i testi di quelle telefonate esistono, se qualcuno li ha in mano, il solo modo che esiste per togliere loro il potenziale distruttivo è che divengano di dominio collettivo. Quando Antonio Di Pietro anticipa il contenuto di alcune conversazioni, quando afferma che ci sono anche insulti diretti a delle persone, è segno che quelle carte sono già finite in un lurido canale di scolo. Da lì vanno sottratte. Quindi, ritengo che il presidente della Repubblica abbia fatto bene a sollevare il conflitto d’attribuzione, rivolgendosi alla Corte costituzionale, perché da quello dipende non la sua sorte personale, ma l’integrità del posto che ricopre. Solo temporaneamente. Al tempo stesso, però, proprio perché è irrimediabile la condizione che si è creata, e la cosa più grave consiste nel fatto che taluni abbiano quei testi (fuori dalle sedi di giustizia) e altri no, converrebbe al Colle essere la fonte della loro divulgazione. Con disgusto, con esecrazione, ma pur sempre pubblicizzazione.
Non è in gioco solo un equilibrio istituzionale (e scusate se è poco), ma la sicurezza di ciascun individuo, la libertà dei cittadini, la civiltà collettiva. Si chiuda questa piaga e si cancelli una legge pessima, senza avere paura di riforme di cui, in un mondo normale, si dovrebbe essere fieri.

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