Considerato il vero leader degli ex comunisti italiani fino all' elezione di Veltroni segretario del neonato PD nel 2008, è il grande elettore di Bersani nel 2009. Tuttora uno dei maggiorenti del partito, è il principale sostenitore dell'alleanza della sinistra riformista con il centro moderato ( una continuazione rivisitata e modernizzata del compromesso tra comunisti e cattolici promossa da Moro e fatta propria da Berlinguer).
Tutti i candidati perdenti contro quelli della sinistra radicale nelle primarie per le elezioni a sindaco nelle grandi città ( Milano, Napoli, Genova, Palermo) erano d'alemiani, per corrente o condivisione del progetto dell'ex leader "maximo".
Oggi, a 63 anni e oltre 25 di politica ai vertici, è il principale obiettivo della campagna di rottamazione di Renzi. A parte questo, pur conservando grande autorevolezza nel fronte del PD (Bersani , per quanto emancipatosi dal grane elettore, ha comunque idee contigue a D'Alema ) , ha perso forza , in un partito che, pur avendo rivirato decisamente a sinistra, o forse proprio per questo, è estremamente frammentato tra correnti opposte che ricordano la DC dagli anni 70 in poi. Lì però il collante era il POTERE. Che il PD non ha (ancora per lo meno).
Tutta questa premessa per introdurre l'intervista oggi pubblicata sul Corriere della Sera.
SI potranno criticare le parole di D' Alema, ma certo hanno il pregio della chiarezza.
Riassumendo: 1) Renzi deve riflettere sul fatto che sia sponsorizzato dalle forze avverse alla sinistra, la sua proposta politica, svecchiamento a parte, non è chiara 2) bene un sistema elettorale uninominale però proporzionale, con sbarramento e premio di maggioranza consistente (oggi che pensa di vincere of course ndC, ieri era uno scandalo ) 3) alleanza con SEL alle urne e con l'UDC dopo, "come in tutti i paesi del mondo" (quali ? in tutti si parte per vincere e governare da SOLI, poi non sempre questo è possibile e allora pososno essere realizzate delle alleanze. Ma il sistema è congegnato perché sia probabile che UNO vinca. Non come da noi, paese dei mille pariti e partitini, dove è praticamente IMPOSSIBILE) 4) Agenda Monti punto di partenza irrinunciabile. SI conserveranno le cose fatte ( sì ? Fassina, Vendola, Fiom, Cgil d'accordo ? ) e poi se ne faranno altre, all'insegna dello sviluppo del lavoro e della giustizia sociale ( siccome il debito non si può toccare, nuove tasse ? ).
Certo mancano delle domande scomode, che il giornalista ( Roberto Zuccolini) non ha ritenuto di fare. Peccato. Una di queste era se conosce il parere di Casini , indicato come futuro alleato di governo nel caso del previsto successo elettorale, in ordine alle prospettate patrimoniali (ben tre, per Vendola, e comunque date per sicure da gran parte dei capi PD ) . Oppure come conciliare le riforme e l'agenda Montiana con l'avversione di Vendola che non solo non vuole seguirla, l'agenda, ma anzi vuole disfare quanto fin qui stato fatto ( previdenza e lavoro).
Ha ragione D'Alema quando dice che la seconda Repubblica è stata caratterizzata da coalizioni finalizzate a vincere le elezioni e sfibratesi il momento dopo. Solo il secondo governo Berlusconi, emerso dalle elezioni vinte nel 2001, durò fino al 2006 ma con grande fatica, per il contrasto tra la Lega e l'UDC di Follini principalmente ( non solo ) , e senza riforme incisive proprio per la non affidabilità della pur consistente maggioranza numerica in Parlamento. Però non si comprende come un'alleanza tra PD, SEL e UDC offra un panorama diverso....Anche perché solo all'interno del PD attuale c'è rappresentato tutto e il suo contrario! Lasciando pure perdere la componente Liberal, che ha buona visibilità sui giornali ma conta ormai zero (i vari Morando, Ichino, Tonini , i giovani Serracchiani, Civati ) , più forte e significativo lo scontro proprio tra i socialdemocratici e catto-progressisti (comunisti?) del partito (Bersani, D'Alema, Fassino e dall'altra parte Bindi, Letta, Franceschini), definiamoli i pragmatici, e la sinistra filo Fiom e Cgil, i giovani turchi di Fassina, Orsini, Damiano. Bel pasticcio no?
Tutta questa frammentazione si realizza in un'epoca dove alla fin fine la sovranità nazionale è assai compressa dalle esigenze economiche, con l'approvazione del fiscal compact (che infatti Vendola e Fassina vogliono abrogare) e con la prospettiva di trattati futuri che , in funzione di una maggiore unità politica europea, prevedano appunto una riduzione delle autonomie nazionali. Senza contare le condizioni poste dalla BCE per fruire di aiuti finanziari.
Infine, fa ridere la risposta alla domanda sulla veridicità della spartizione delle cariche future all'interno del gruppo dirigente PD ( Veltroni alla Camera, Bersani Presidente del Consiglio, Bindi al Senato ....) " I ministri li decide il capo dello Stato". Sì, su proposta del Presidente incaricato. Senza contare che questa è un'0altra stortura del nostro sistema, che prevede un esecutivo troppo debole, e che andrebbe corretta, a proposito di "governabilità".
Buona Lettura
PARLA D'ALEMA
ROMA - Massimo
D'Alema non è tranquillo. Anzi, è decisamente inquieto. Per la crisi, che deve
essere «la prima preoccupazione di tutti», governo e partiti. Ma anche per il
«degrado» del dibattito politico che ruota «attorno alle persone e non alle idee»
e che è il terreno fertile per lo sviluppo di fenomeni di antipolitica come il
grillismo. «È un dovere fare presto la legge elettorale e poi andare alle urne,
in tempi ragionevoli, in modo che si evitino pericolosi vuoti istituzionali». E
quindi, al massimo a metà marzo, in modo che «non ci si trovi nella situazione
in cui manchi un governo ed un presidente della Repubblica nella pienezza dei
suoi poteri». Cioè, con Napolitano a nominare il nuovo esecutivo. Nel suo
ufficio di presidente del Copasir, ai piani alti di Palazzo San Macuto, D'Alema
sta preparando un incontro con l'ambasciatore armeno per parlare del
Nagorno-Karabakh. Ma lo assillano i titoli dei giornali che sono sul suo
tavolo, con le prime pagine che insistono su un'altra guerra, piuttosto
nostrana, quella delle primarie. Parlano quasi tutte di Matteo Renzi. E lui non
riesce a digerirlo. Non la candidatura in sé, ma la campagna già lanciata dal
sindaco di Firenze, che «appare essere rivolta non alla costruzione di una
prospettiva di governo, ma esclusivamente contro il gruppo dirigente del Pd e
tutti i potenziali alleati di governo del centrosinistra».
Intanto però non si
fa che parlare di Matteo Renzi, fuori e dentro il Pd.
«Registro con
amarezza che sembra essere sostenuto soprattutto da quelli che il Pd al governo
non lo vogliono, a partire dalle personalità politiche e dai giornali che fanno
riferimento al centrodestra. Tutto questo dovrebbe preoccupare Renzi, anche
perché non credo che fosse il suo progetto».
C'è chi, come Rosy
Bindi, mette in dubbio lo svolgimento delle primarie.
«Non mi sembra ci
siano preoccupazioni di questo tipo. Mentre invece mi chiedo che fine abbiano
fatto le primarie del Pdl. L'errore è che la sfida è partita senza parlare dei
problemi del Paese. La situazione sociale ed economica è drammatica. Tante
persone si interrogano sul futuro loro e dei propri figli e invece si assiste
ad uno scontro tutto interno al ceto politico. C'è una curiosa distorsione del
dibattito sul rinnovamento. Mentre Berlusconi si ricandida, sembra che questo
passi per la cacciata dal Parlamento dell'intero gruppo dirigente del
centrosinistra».
Ma non esiste
comunque un problema generazionale?
«Certo che esiste,
tanto è vero che la segreteria di questo partito è affidata ad una nuova generazione
e intendiamo proseguire su questa strada».
Il potere reale,
dicono, resta nelle mani dei vecchi dirigenti.
«Non è vero nel modo
più assoluto. Ci sono, come è naturale, esponenti che per la loro storia hanno
un peso nella vita politica e nel rapporto con l'opinione publica. Ma questo
dovrebbe essere considerato una risorsa. E comunque non è un problema che si
possa affrontare con misure di carattere amministrativo o disciplinare. Anche
noi quando eravamo giovani, ci siamo misurati con una classe dirigente
autorevole. Abbiamo discusso, non abbiamo pensato di stabilire per regolamento
che doveva essere cacciata».
È più vicino Renzi o
Bersani all'agenda Monti?
«Monti è diventato
presidente del Consiglio grazie ad una scelta generosa e responsabile di
Bersani che ha rinunciato alle elezioni e ha privilegiato gli interessi del
Paese. Monti può governare grazie al sostegno di Bersani e del nostro partito.
Cosa proponga Renzi nei contenuti ancora non l'ho capito».
Lei lo ha giudicato
non in grado di fare il presidente del Consiglio. In questo modo non lo
delegittima anche come sindaco?
«Ho detto che per
governare il Paese in un momento così difficile e unire il Pd e il
centrosinistra la persona più adatta è Pier Luigi Bersani. Non mi pare che ci
sia nulla di offensivo nei confronti di Renzi. E non capisco cosa c'entri il
Comune di Firenze. Ci sono tanti bravi sindaci che in questo momento non
sarebbero adatti a fare il presidente del Consiglio».
Ma con che regole
vanno fatte le primarie?
«Spetterà ad altri
definirle. L'importante è avere regole che impediscano manipolazioni e
inquinamenti, come negli Stati Uniti dove esiste l'albo degli elettori. Albo a
cui tutti possono iscriversi e quindi sono primarie aperte a tutti».
Si riuscirà a fare
la riforma elettorale?
«Si tratta di un
dovere. Il miglior sistema è il collegio uninominale. Il sistema tedesco lo
comprende. Va senz'altro accompagnato da circoscrizioni piccole e una
correzione maggioritaria che sia l'effetto combinato di uno sbarramento e di un
significativo premio di maggioranza».
Al partito o alla
coalizione?
«Noi proponiamo alla
coalizione. Poi si vedrà, stanno trattando».
Ma le alleanze vanno
fatte prima o dopo il voto?
«In tutto il mondo
si fanno dopo. Prendiamo l'esempio della Gran Bretagna: Cameron ha chiesto il
voto per il suo partito, poi non avendo l'autosufficienza ha fatto un'alleanza
con i liberali di Clegg. In ogni caso il Pd ha già detto con chiarezza con chi
si vuole alleare. Il vero problema non è quando si dichiarano le alleanze, ma
se esse funzionano ai fini del governo. Abbiamo sperimentato per venti anni
alleanze che poi non sono state in grado di governare. Dovremmo aver capito la
lezione».
Dichiarerete la
vostra alleanza con l'Udc prima del voto?
«Lo abbiamo già
detto. Bersani ha spiegato che vogliamo l'unità dei progressisti con Sel ma
riteniamo che il governo debba nascere dall'alleanza con i moderati».
La campagna per i
diritti civili portata avanti da Vendola, come il matrimonio gay, non rischia
di diventare tema di campagna elettorale?
«Certamente sarà un
tema della campagna elettorale e credo che il Paese debba fare un passo avanti
sul tema dei diritti civili. Tuttavia penso che la crisi economica e sociale
imporrà altre priorità. Il problema è non fare di questi argomenti una
discriminante ai fini della costituzione di una maggioranza di governo. Sono
temi che dividono trasversalmente le forze politiche e sui quali deve
svilupparsi un confronto libero. Non dimentichiamo che la legge sul divorzio e
la 194 sull'aborto furono ottenute con il voto contrario del maggior partito di
governo, la Dc».
Lei è favorevole?
«Io personalmente
non ho nulla in contrario, ma penso che se si vuole trovare una soluzione
condivisa non si può non tener conto, nel nostro Paese, anche della sensibilità
del mondo cattolico».
All'estero si guarda
con preoccupazione al dopo Monti. Ci vorrebbe un Monti bis?
«L'agenda Monti è un
punto di partenza irrinunciabile. Non arretreremo sul rigore, non intendiamo
smontare le riforme. Detto questo noi abbiamo una nostra agenda che va dal
lavoro alla giustizia sociale e alla riduzione delle disuguaglianze. Monti ci
ha dato la possibilità di tornare ad avere una voce in Europa. Ma ricordo che
noi in passato abbiamo governato con Ciampi, Prodi e Padoa-Schioppa. In Europa
lo sanno».
Esistono patti
segreti nel centrosinistra per spartirsi le cariche dopo il voto?
«È una sciocchezza.
I ministri li nomina il Capo dello Stato».
Monti o Prodi al
Quirinale?
«La scelta non è
nelle disponibilità di un partito. E poi non conosco nessuno che sia stato
proposto da un solo partito e poi eletto».
Riferimento
autobiografico?
«Come è noto anch'io
sono stato candidato, ma non venni eletto perché il centrodestra giudicò la mia
scelta troppo politica. Io ne presi atto e presentammo la candidatura di
Napolitano con senso di responsabilità, facendo, come si è visto, cosa utile e
positiva per il nostro Paese».
È favorevole ad una
legge che regoli la pubblicazione delle intercettazioni?
«A suo tempo il
governo Prodi presentò un ddl sulla materia. Se lo avessimo approvato saremmo
al riparo da certi abusi. Oggi la priorità è la legge contro la corruzione. E
non è che abbiamo infiniti mesi di fronte a noi, dato che c'è la riforma
elettorale e ci sono i provvedimenti sulla crescita. Bisogna andare alle
elezioni in tempi ragionevoli: se dovessimo eleggere il Presidente prima del
nuovo governo si creerebbe un vuoto di potere troppo lungo».
È stata ironica la
recensione al libro di Veltroni, come sostengono alcuni?
«La verità è che ho
letto il libro e mi è piaciuto. Con Veltroni ho avuto, ho e avrò tanti motivi
di dissenso politico, ma non ho mai avuto ragioni di rissa personale. Un giorno
ti può piacere un romanzo, un altro si può discutere sulle primarie...È la
normalità della vita. E della vita politica».
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