domenica 9 settembre 2012

PADRE E FAMIGLIA MAFIOSI? VIA DA CASA, PER AVERE UN CITTADINO MIGLIORE. GIUSTO. TUTTI I TOTALITARISMI HANNO QUESTO BUON PROPOSITO

È di qualche giorno fa la notizia di quel giudice del Tribunale dei minori che ha disposto l'allontanameno del  figlio di un appartenente alla 'ndrangheta per sottrarlo all'influenza familiare e quindi provare a riuscire ad evitargli  un futuro apparentemente segnato. Leggendo stralci delle motivazioni del giudice, si aveva il ritratto di una situazione effettivamente disastrosa. In realtà il ragazzo, un 16enne, era già privo del padre, ucciso in un regolamento di conti, e pareva ormai avviato a seguire le orme paterne, con la madre del tutto incapace ( e forse nemmeno volenterosa in questo senso) di determinare una inversione nelle scelte del figlio. In questa ottica  tra l'altro, c'è chi osserva come il senso di appartenenza familiare , di "sangue", e assai più forte nella regione calabrese rispetto a quelle confinanti, Sicilia e Campania, dove pure notoriamente la Famiglia ha un peso rilevante.


Sia come sia, il presidente responsabile del Tribunale dei Minori preso atto che: "....i fratelli sono stati tutti arrestati e condannati per associazione mafiosa e omicidi, l’adolescente è segnalato spesso a tarda notte in compagnia di pregiudicati, infila assenze a raffica a scuola da cui infine viene ritirato, parla di sé «con una certa rassegnazione a una vita segnata», la madre «non appare idonea a contenerne la pericolosità come comprovato dalla sorte degli altri figli», e «neppure il contesto parentale allargato» (nonni, zii) «offre garanzie per l’educazione del giovane», avendo la «famiglia » di appartenenza «un ruolo di spicco nella criminalità organizzata del territorio di residenza».


concludeva decidendo per un  «un provvedimento limitativo della potestà genitoriale»;  nominando  al 16enne un curatore speciale, visto «il conflitto di interessi tra lui e la madre incapace di indirizzarlo al rispetto delle regole civili e tutelarlo »; e a ritenere «indispensabile affidare il minore al servizio sociale per inserirlo subito in una comunità da reperirsi fuori dalla Calabria, i cui operatori professionalmente qualificati siano in grado di fornirgli una seria alternativa culturale».

Date le premesse, sembrerebbe tutto giusto.

Eppure qualcosa non mi torna. Credo sia il PRINCIPIO. Ora, prescindiamo dal fatto che una cosa del genere assomiglia un po' ad una deportazione. Ben sapendo che la famiglia del ragazzo avrebbe ostacolato in molti modi l'attuazione pratica del provvedimento (già sono pervenuti alle strutture sociali una sfilza di certificati medici di "impossibilità" da parte degli assistenti sociali che avrebbero intanto dovuto iniziare a seguire il ragazzo, chissà lo stato di salute del curatore speciale...), il Giudice DI Bella ha pensato bene di mandarlo fuori dalla Calabria. Un Confino. Per il suo bene, ma sempre un Confino.

Si potrà dire che l'alternativa è peggiore. Nel caso di specie è possibile, anzi probabile. Però allora dovremmo essere ancora più efficaci. 16 anni non è già troppo tardi ? Visto la fine dei fratelli farlo prima dell'adolescenza ? a 8 anni ? prima ancora ?

E non sarebbe più efficace, come deterrente al mettere al mondo figli che saranno criminali come i padri e i nonni, stabilire per legge che i condannati di mafia et similia non possano fare figli? E in caso di contravvenzione a questa legge, toglierli affidandoli allo Stato? Vi sembra mostruoso, ovviamente. Eppure PERCHE' NO se il mio intento è evitare di lasciare che la NATURA e il CASO abbiano comunque un loro peso nella vita degli individui?

In fondo a Sparta (ma è solo l'esempio più noto), i figli che nascevano non perfetti venivano immediatamente uccisi, perché non sarebbero stati dei soldati - in una città guerriera - e comunque solo di peso per la collettività. Sempre a Sparta ( e anche questa cosa viene applicata in tante tribù aborigene oggi nel mondo) , quanto prima i figli venivano sottratti alle madri e cresciuti collettivamente, perché la loro unica "famiglia" era la Città, lo Stato, non già i genitori.

L'intento del Giudice Di Bella è buono, in buona fede. Senza dubbio. Ma la strada intrapresa è pericolosa. Sia nel caso concreto, ma soprattutto, lo ribadisco, come introduzione di un principio che rifiuto. Lo Stato ETICO, che detta delle regole uniformi e totalizzanti, che non si limitano a regolare la convivenza sociale, la vita tra "vicini" e "concittadini" (quello è lo Stato di Diritto), No, lo Stato Etico stabilisce come le persone per bene devono essere e quindi traccia il percorso non perché questo POSSA accadere, ma perché DEBBA.

I totalirismi hanno avuto tutti questa premessa.

Riflessioni difficili, che oggi hanno avuto il conforto di un uomo colto e conoscitore della Storia e del Mondo avendo avuto un ruolo di privilegiato osservatore della società sovietica.

Rispondendo ad un lettore che appunto chiedeva la sua opinone in ordine a questa materia Segio Romano ha scritto:


"  Le confesso che la mia prima reazione, dopo la lettura dell’articolo di Luigi Ferrarella sul Corriere del 5 settembre, è stata uno spontaneo confronto tra la vicenda calabrese e la politica educativa degli Stati autoritari o totalitari. Vi sono fondamentali differenze, naturalmente.

Il magistrato calabrese vuole allontanare i bambini da un ambiente criminale in cui le lealtà familiari e tribali sono più importanti del doveri civili. I regimi autoritari e totalitari, invece, vogliono sottrarli alle famiglie degli oppositori o dei ceti sociali maggiormente sospetti, formare esseri umani ideologicamente «corretti », pronti ad accusare i loro genitori, devoti soltanto al partito e allo Stato.

Accadde in Unione Sovietica, soprattutto all’epoca delle grandi purghe. Accadde nella Italia fascista, anche se con metodi molto più umani, quando il regime cercò d’inquadrare i giovani nelle istituzioni del partito per creare una generazione di «uomini nuovi». Dopo l’attentato a Hitler del luglio 1944, la Gestapo rastrellò i figli e i nipoti dei congiurati, inviò gli adulti nei campi di concentramento e mise a pensione i più piccoli in famiglie impeccabilmente germaniche. La figlia dell’ambasciatore Ulrich von HassellDetalmo Pirzio Biroli) ritrovò i suoi due bambini, dopo la guerra, in una casa di contadini tirolesi dove avevano disimparato le lingue della loro infanzia (italiano e tedesco) e parlavano soltanto il dialetto della regione. Fra questi casi e quello calabrese, quindi, nessun confronto è apparentemente possibile.

Eppure appartengono tutti, nonostante le differenze, alla filosofia dello Stato etico, vale a dire di quello Stato in cui le autorità ritengono di potere intervenire nella vita privata dei cittadini per dettare le regole morali e civili dei loro comportamenti quotidiani.
Mentre lo Stato liberale cerca per quanto possibile di ridurre i suoi interventi, lo Stato etico ha un catechismo politico a cui ricorre ogni qualvolta i suoi sudditi si allontanano dalla retta via.


So che vi sono situazioni in cui i comportamenti morali offendono i sentimenti della maggioranza della società e che uno Stato democratico non può ignorare la maggioranza degli elettori. Ma credo che l’Italia durante gli ultimi anni sia stata, soprattutto nelle questioni che interessano la Chiesa, molto più Stato etico che Stato liberale.

Fra due prospettive— permettere che i bambini crescano in una famiglia mafiosa o affidarli alle cure di uno Stato-famiglia—confesso di preferire la prima


Preferenza condivisa.

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