domenica 21 ottobre 2012

CARMELA E' LA CENTESIMA DONNA UCCISA NEL 2012. CHISSà SE L'ASSASSINO VINCE QUALCOSA



Un tempo era la gelosia, ora non più. Gli uomini non uccidono più (quasi...meglio ) perché sono stati traditi. Uccidono perché sono LASCIATI. DI questo argomento mi sono occupato tante volte.
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/03/signora-dacci-oggi-la-nostra-vittima.html

 Per quanto sia uomo incapace di vivere con le donne, ho sempre avuto una grandissima attenzione per l'altra metà del cielo, e e i rapporti più profondi, sinceri, affettuosi alla fine li ho sempre avuti più con loro che con gli amici, che pure sono preziosi. E quindi ho letto coloro che mettevano in guardia dall'elevare un fenomeno orrendo, quello dell'omicidio delle donne, ad un fatto di genere. Gli uomini NON uccidono le donne, visto che a farlo sono un'infinitesima parte di loro. E oltretutto non si può nemmeno dire che in Italia ci sia una violenza superiore rispetto ai paesi del Nord Europa. In Danimarca e Norvegia - sono rimasto sbalordito nel leggerlo - le percentuali sono superiori...Ok, d'accordo. Non generalizziamo per gusto della notizia cruenta. Però che da ANNI, si sia consolidata questa media di una donna che muore ogni tre giorni nel nostro paese non è una percezione, è UN FATTO.
La ragazza di Palermo, di 17 anni, uccisa per aver cercato di difendere la sorella dall'ex che l'aveva aggredita, è la numero 100 quest'anno. Il ragazzo , confessando, ha parlato di raptus...Si vede che contava che gli venisse visto che uscendo si era portato il coltello...La sorella, che si è salvata, rimanendo probabilmente sfigurata sul volto e certamente nell'anima, ancora non sa che Carmela non c'è più. Sa solo che le ha salvato la vita.
Adriano Sofri ha scritto oggi su Repubblica una pagina profonda e triste.
Vi lascio alla sua lettura




Cento donne

Per registrare il passaggio della centesima donna assassinata nell’anno –quando mancano due mesi e undici giorni - la sorte ha scelto due sorelle ragazze, la minore che fa da scudo all’altra e muore al suo posto. E un assassino di 22 anni, che va a cercarle con il coltello in tasca, e prima ha pubblicato sulla sua pagina di facebook, in una cornice colorata riempita di angioletti e cuoricini, parolette sulla “perdita di qualcuno che ami”. “Parole –leggo nei primi commenti- che stridono con il delitto…”. Temo di no, che non stridano. Temo che “la perdita di qualcuno che ami” significhi, per quello sciagurato, la scelta della “sua” ragazza di lasciarlo. Ammazzarla, perderla per sempre a se stessa e al mondo, è per lui il risarcimento della perdita. Fra quei pensierini –sdolcinatezza e coltello vanno volentieri assieme- c’era anche questo: “Se potessi esprimere un desiderio… non chiederei un amore perché un amore si conquista…”. Si dice così in amore, conquistare: salvo ripensare al senso terribile che il verbo prende all’improvviso. Non tanto all’improvviso, del resto, nè “all’ennesima lite”, se c’era quel coltello pronto alla riconquista.
Il centesimo assassinio di donna ha questi tratti tremendamente penosi, che lo sottraggono all’abitudine e alla statistica. E tuttavia appartiene anche al catalogo degli altri che l’hanno preceduto e che lo seguiranno, quasi un assassinio di donna ogni due giorni. Qui sono due ragazze di Palermo, amate, brave, belle. Ma la violenza di cui sono vittime è un’epidemia che accomuna donne ammazzate, qualunque età abbiano, qualunque rango. Liceali con la media del nove e prostitute romene. Non sono loro a somigliarsi, ma i loro carnefici, uomini che uccidono donne, uomini che non sanno resistere alla perdita, e se ne consolano ammazzando, uomini che amano troppo per lasciar esistere fuori dal loro guinzaglio la donna che amano, uomini troppo orgogliosi per sopportare la ferita alla loro vanità. Sono tanti i siti che tengono il conto degli accessi e dei dettagli di questa epidemia, e si moltiplicano i libri che li ricapitolano. E però si moltiplicano anche violenze e uccisioni. Nell’estate appena passata, donne assassinate selvaggiamente erano incinte, anche alla vigilia del parto. L’orrore ha varianti infinite, e un'unica radice. Sono quasi sempre crimini di mariti, fidanzati, amanti, a volte padri e fratelli. Uomini che, una volta divenuti padroni di una donna –alla sua nascita, o al suo assenso, o alla sua conquista- non accetteranno più di esserne espropriati, da lei o da un rivale: che è lo stesso, perché ai loro occhi lei non esiste per sé, ma solo per un altro padrone. Hanno dalla loro, i poveri assassini di donne, una millenaria compassione, un’aura di grandiosità fatale e mai davvero sfatata, sicchè ancora del loro gesto passano per vittime, anche quando, appena ieri, il codice abbia rinunziato a esonerarli se non a render loro onore. Quel pregiudizio anzi si rinvigorisce in proporzione al modo in cui cresce la libertà e la voglia di libertà delle donne. Non è più, non solo, un resto dell’uomo antico, è anche un tratto dell’uomo all’ultimo grido. Cala il numero degli omicidi, cresce quello dei femminicidi. Guardate quanto generosamente si impiega il termine: raptus. Anche quando si sono fatti chilometri con un coltello scaldato nella tasca.
Non so ancora se a Palermo la giovane vittima mancata –e con quale mutilazione dovrà sopravvivere, la metà di lei- avesse subìto minacce e le avesse confidate o denunciate. Nella maggioranza di queste tragedie è la norma, e nemmeno il più forte disgusto per la galera, quando non sia un modo necessario a impedire il male fatto ad altri, mi impedisce di pensare che, per le minacce e le molestie accertate vere e gravi di uomini alle “loro” donne, occorra trattarle come violenze –fino all’omicidio- già compiute. Salvo piangere il giorno dopo su una donna trucidata in un raptus con 50 coltellate dal “suo” uomo cui, tutt’al più, era stato consegnato un foglio che lo diffidava dal frequentare il quartiere della “sua” donna.

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